Newarab.com. Di Naim Jenah. Profilazione demografica, preclusione di scelta, residenza e movimento, stato di sicurezza: sulla base dei tre fondamenti della segregazione, l’Apartheid israeliano è peggiore di quello sudafricano. (Da InvictaPalestina.com).
Per un sudafricano, una visita in Palestina (compresa la sua parte israeliana) può essere un’esperienza traumatica; il ricordo di un passato caratterizzato da discriminazione, “segregazione”, furto di terra ed estrema violenza e controllo da parte dello Stato. Eppure, anche sapere che ci sono somiglianze tra il passato sudafricano e il presente palestinese è una preparazione insufficiente per l’esperienza che ci pervade dall’arrivo fino alla partenza. Perché le analogie tra Israele è il Sudafrica dell’Apartheid, sono anche peggiori di quanto sembra.
Per essere onesti, però, sulle nostre spiagge non si sono mai visti soldati che camminavano abitualmente con i fucili a tracolla come si potrebbe trovare durante una passeggiata su una “tranquilla” spiaggia di Tel Aviv.
Non è difficile comprendere l’angoscia e la rabbia di Denis Goldberg, processato con Nelson Mandela e altri nel processo per tradimento di Rivonia, che fu rilasciato dal governo dell’Apartheid sudafricano e mandato in esilio in Israele nel 1985. Dopo essere arrivato lì, disse che Israele era l’equivalente mediorientale dell’Apartheid sudafricano. Poi ha lasciato Israele per vivere in Gran Bretagna perché non poteva tollerare le politiche oppressive di Israele. Fino alla sua morte nel 2020, ha anche sostenuto la campagna di boicottaggio contro Israele.
Ciò che Goldberg ha capito immediatamente quando è arrivato in Israele è stato ripetuto da numerosi afro-sudafricani nel corso dei decenni, come l’ex Presidente del Sudafrica, Kgalema Motlanthe, o l’arcivescovo Desmond Tutu: “Sono stato profondamente addolorato durante la mia visita in Terra Santa; mi ha ricordato così tanto quello che è successo a noi africani in Sudafrica”.
Le pratiche di Israele, sia nei Territori Palestinesi Occupati che all’interno dello stesso Israele , costituiscono Apartheid secondo Amnesty International, Human Rights Watch, B’Tselem e numerose organizzazioni palestinesi. Ma per i sudafricani l’Apartheid israeliano è molto più personale, più emotivo, più comprensibile di quanto potrebbe suggerire il diritto internazionale. Dopotutto, abbiamo coniato il termine “Apartheid” e l’abbiamo visto diventare una delle nostre esportazioni più famose.
Per noi, l’Apartheid era (ed è) un modo sistematico e istituzionalizzato in cui le persone vengono discriminate sulla base della loro “razza” o etnia, e dove diritti e privilegi maturano per le persone sulla base della loro “razza” o etnia. In Sudafrica, ciò significava che i sudafricani bianchi erano privilegiati rispetto ai sudafricani di colore; nel contesto palestinese e israeliano, significa che gli ebrei sono privilegiati rispetto ai non ebrei. Le politiche di Israele costituiscono Apartheid sia nei Territori Occupati che all’interno dello stesso Israele.
Ebrei privilegiati rispetto ai non ebrei.
In Sudafrica, l’Apartheid è stato costruito su tre pilastri. Il primo di questi pilastri era la demarcazione formale della popolazione in gruppi razziali attraverso la Legge sulla Registrazione della Popolazione del 1950. A causa dei miei antenati, io, ad esempio, sono stato classificato “indiano”, secondo nella gerarchia razziale di “bianchi” (o, a volte, “europei”), “indiani”, “di colore” e “africani”.
I miei 12 anni di scuola li ho trascorsi in una scuola “indiana”; L’istruzione “indiana” non era buona come quella dei bianchi, ma era superiore a quella africana. Non sono sicuro per cosa avrei dovuto essere istruito; era chiaro per cosa venivano formati gli studenti africani. In un discorso del giugno 1954, Hendrik Verwoerd, ampiamente considerato come l’architetto dell’Apartheid, disse che non c’era “spazio” per un africano “al di sopra di certe forme di lavoro. A che serve insegnare la matematica a un bambino Bantu quando non può metterla in pratica?
Libertà di residenza e di movimento
Il secondo pilastro costringeva i diversi gruppi designati a risiedere in diverse aree geografiche all’interno di ogni città, paese o area rurale, e quindi limitava il movimento delle persone tra queste aree. Questa separazione fu la base del “Grande Apartheid” da parte dei suoi architetti sudafricani, che cercarono di stabilire “ghetti” (quelli che in seguito vennero, ufficiosamente, conosciuti come “Bantustan”) per i sudafricani “africani”, ciascun “ghetto” identificato con un particolare gruppo linguistico africano. Lo schema prevedeva che la popolazione africana fosse poi privata della cittadinanza e della nazionalità della “Repubblica del Sudafrica” e che la loro nazionalità fosse trasferita ai Bantustan, anche se non vi risiedevano o vi avevano mai risieduto.
Un ostacolo per questo piano erano le popolazioni “indiane” e “di colore”, che non potevano essere assegnate a un Bantustan. Il governo dell’Apartheid ha quindi deciso di includerci nel “Sudafrica bianco”, come pari minori, organizzando persino elezioni parlamentari per questi gruppi per rappresentare questi collegi elettorali in un parlamento tricamerale. La maggior parte di noi classificati come “di colore” e “indiani” ha boicottato queste elezioni per protesta, riducendo spesso l’affluenza alle urne a circa il 2%.
La centralità della questione della sicurezza.
Tutto ciò era sostenuto da un terzo pilastro: una matrice di “sicurezza” repressiva. Gli strumenti repressivi includevano la detenzione amministrativa, la tortura, la censura, l’interdizione e gli omicidi extragiudiziali , sia all’interno che all’esterno del Sudafrica. Ma la macchina repressiva non ha preso di mira solo gli attivisti o coloro che si opponevano all’Apartheid. Era illegale per me sposare una donna africana, o per me rimanere nella provincia dell’Orange Free State (Stato Libero dell’Orange) per più di 24 ore; o vivere nella Provincia del Transvaal.
La mia famiglia ha vissuto per tre anni a Johannesburg, fino a quando ho compiuto sei anni. Poi siamo dovuti tornare a Durban perché nessuna scuola a Johannesburg mi avrebbe iscritto, perché i miei genitori erano “indiani” del Natal.
L’Apartheid israeliano, sia all’interno dello stesso Stato di Israele che nei Territori Occupati , Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est, è, più o meno, anch’esso basato sugli stessi tre pilastri.
Il primo pilastro delimita le persone in due diversi gruppi: ebrei e non ebrei. Questo viene fatto attraverso la Legge del Ritorno del 1950 (lo stesso anno in cui il Sudafrica approvò la Legge di Registrazione della Popolazione, per lo stesso scopo). Definisce chi è ebreo e garantisce agli ebrei di tutto il mondo il diritto di immigrare in Israele (o nei Territori Occupati). Nei Territori Occupati, a differenza dell’Apartheid sudafricano che ha trasferito la cittadinanza degli “africani” a nuove entità politiche fittizie, i palestinesi sono privati di qualsiasi status.
La “Legge Fondamentale: Israele come Stato-Nazione del popolo ebraico” dichiara Israele uno “Stato Ebraico”, nonostante più del 20% della sua popolazione non sia ebrea. Rafforza anche l’idea, contraria a tutti i principi di democrazia, che ci sia una differenza tra cittadinanza e nazionalità. Non possiamo immaginare una situazione in cui il Sudafrica avrebbe dichiarato che i bianchi di tutto il mondo avevano la nazionalità sudafricana, mentre i sudafricani africani (compresi quelli classificati come “di colore” e “indiani”) potevano essere cittadini ma non avere la nazionalità.
Discriminazione nella vita quotidiana.
In Israele, la discriminazione include la negazione di tutti i benefici sociali, restrizioni su ciò che potrebbe essere insegnato e appreso nelle scuole, restrizioni su alcuni tipi di impieghi svolti dai palestinesi.
La legge del 2003 sulla cittadinanza e l’ingresso in Israele che vieta il ricongiungimento familiare palestinese è un altro esempio di legislazione discriminatoria. Nei Territori Occupati, ai palestinesi viene negato il diritto di lasciare e tornare nel loro Paese, la libertà di movimento e residenza e l’accesso alla terra. Questo vale anche per i palestinesi di Gerusalemme Est, che hanno uno status separato. La disparità di trattamento dei due gruppi è evidenziata attraverso l’applicazione di leggi più dure e tribunali diversi per i palestinesi rispetto ai coloni ebrei nei Territori Occupati, e attraverso le restrizioni imposte dai sistemi di permessi e documenti d’identità.
La discriminazione è illustrata anche dall’accesso all’acqua nei Territori Occupati per i palestinesi e i coloni ebrei, con i coloni a cui viene assegnata la maggior parte dell’acqua della Cisgiordania, a una frazione del prezzo che viene addebitato ai palestinesi.
Il secondo pilastro, in Israele, è sostenuto dalla Legge sulla Proprietà degli Assenti, che ha assicurato il furto di terra su larga scala. Oggi, la terra in Israele è divisa in terre nazionali, 93% della terra, e terre private, 7%. Le terre nazionali sono costituite da terre demaniali e terre del Fondo Nazionale Ebraico e sono ad uso esclusivo degli ebrei. I palestinesi possono possedere la terra solo nella categoria dei terreni privati. Quindi, il 20% della popolazione può utilizzare solo il 7% della terra, e anche in questo compete con gli ebrei per l’accesso.
E mentre Israele non ha una legge simile alla Legge Sudafricana Sulle Aree di Gruppo (South African Group Areas Act) che ha costretto diversi gruppi “razziali” a vivere nelle loro aree, diverse sentenze dei tribunali israeliani hanno avuto lo stesso effetto, impedendo alle famiglie palestinesi di vivere nelle aree ebraiche.
Poiché in Israele non esiste il matrimonio civile (tutti i matrimoni sono religiosi), è impossibile per un ebreo sposare un non ebreo. La legge israeliana sulla cittadinanza e l’ingresso in Israele impedisce persino la naturalizzazione dei coniugi dei suoi cittadini palestinesi, costringendo molte famiglie palestinesi ad andarsene.
Frammentazione dei Territori Occupati.
Il secondo pilastro nei Territori Occupati si riflette nel fatto che Israele ha frammentato i Territori ai fini della segregazione e del dominio. Comprende l’ampio furto di terra palestinese da parte di Israele in vari modi, incluso attraverso il Muro dell’Apartheid, restringendo così lo spazio a disposizione dei palestinesi e costringendoli in specifiche aree geografiche; il blocco e l’isolamento di Gaza; la separazione di Gerusalemme Est dal resto della Cisgiordania; e politiche di appropriazione e costruzione che hanno creato un’infrastruttura di insediamento che ha suddiviso la Cisgiordania in una rete di insediamenti collegati per ebrei-israeliani ed isolate enclavi palestinesi assediate.
Agli ebrei israeliani è proibito entrare in quelle enclavi (così come ai bianchi era proibito entrare nei Bantustan africani in Sudafrica), ma godono della libertà di movimento in tutto il resto del territorio palestinese. I sudafricani trovano piuttosto scioccante l’idea di strade separate; non abbiamo mai avuto strade ad uso esclusivo dei bianchi e dove i neri erano esclusi con la forza.
Il terzo pilastro su cui poggia l’Apartheid israeliano sono le sue leggi repressive di “sicurezza” e i suoi meccanismi che hanno poca somiglianza con il Sudafrica. Certo, le uccisioni extragiudiziali (anche in territorio straniero), la tortura, la detenzione amministrativa, ecc. sono simili a quelle che abbiamo affrontato in Sudafrica. Queste politiche sono sancite dallo Stato, spesso approvate dalla magistratura israeliana e sostenute da leggi militari oppressive e tribunali militari.
La “sicurezza” è effettivamente usata per giustificare le restrizioni alla libertà di opinione, espressione, assemblea, associazione e movimento dei palestinesi, e per sopprimere il dissenso e controllare i palestinesi. Tuttavia, il dispiegamento della macchina repressiva israeliana nei Territori Occupati è abbastanza sconosciuto ai sudafricani. Non abbiamo mai sperimentato, nemmeno nei giorni peggiori dell’Apartheid, elicotteri e aerei da combattimento volarci sopra, o carri armati che pattugliano, aree residenziali nei Bantustan, bombardare le nostre case e sparare proiettili e missili nelle nostre scuole.
La questione religiosa, altro punto comune.
Alcuni commentatori suggeriscono che un’altra differenza è il ruolo importante che la religione gioca nel contesto palestinese mentre non ha avuto alcun ruolo nell’Apartheid sudafricano. Questo è un errore. L’Apartheid sudafricano era giustificato sulla base della Bibbia, proprio come lo è l’Apartheid israeliano. La mia educazione “indiana”, “l’educazione Bantu” dei miei amici e l’educazione “bianca” dei nipoti di Verwoerd facevano tutti parte di quella che veniva chiamata “educazione nazionale cristiana”. La religione era uno strumento di oppressione cruciale in Sudafrica come lo è in Palestina.
I sudafricani ricordano anche che durante i giorni peggiori dell’Apartheid, e nel periodo in cui le sanzioni contro il Sudafrica erano diventate più efficaci, Israele è stato uno dei pochi Paesi che non solo non ha applicato sanzioni, ma ha contribuito attivamente a rompere l’isolamento del Sudafrica. Israele aveva stretti rapporti militari e di spionaggio con il Sudafrica e ha collaborato con il Sudafrica nello sviluppo di armi nucleari.
Mentre i parallelismi tra l’Apartheid in Sudafrica e Israele rimangono netti, per molti sudafricani, in particolare i sudafricani di colore, le politiche, le leggi e le azioni di Israele di cui siamo testimoni vanno ben oltre l’Apartheid che abbiamo sofferto in Sudafrica.
Naeem Jenah è il Direttore Esecutivo del Centro Afro-Mediorientale Sudafricano, membro del Comitato Consultivo del Centro per gli Studi Africa-Cina, Vicepresidente dell’Istituto per la Pace Denis Hurley e membro del Comitato Consultivo del Congresso Mondiale per gli Studi Mediorientali.
Traduzione di Beniamino Rocchetto per Invictapalestina.org