Dalia Khalifa: la ragazzina indistruttibile di Gaza

unnamedDonia Al-Watan(MEE) – Dalia Khalifa, nove anni, si trovava nel soggiorno della casa della sua famiglia, nel quartiere di Zaytoun, nella Striscia di Gaza assediata, quando un attacco israeliano ha colpito l’edificio durante l’operazione Protective Edge dell’estate scorsa.

All’alba del 1° agosto 2014, è stata ricoverata all’ospedale Shifa di Gaza, dove altri membri della sua famiglia, e molti compatrioti, sono stati curati.

Coperta di sangue e impossibilitata ad aprire gli occhi, con la sorellina più piccola aggrappata a lei che gridava “Ti voglio bene,” non sapeva dove si trovava e cosa aveva intorno, finché poco a poco è migliorata.

La sua storia è stata narrata da Mohammed Asad, un fotoreporter di Gaza, che si trovava nello stesso ospedale per documentare le vittime civili dell’offensiva militare di Israele.

“Quando l’ho vista, mi è tornata in mente l’immagine della ragazza afghana Sharbat Gula”, ha dichiarato Asad a MEE, in riferimento alla famosa foto di Steve McCurry pubblicata sul National Geographic.

Asad ha scattato una foto a Dalia il 9 agosto 2014, e ha notato che, nonostante le ferite da schegge sul viso, non piangeva. Il nome dato alla foto è stato “Assiyat al-Damea”, che si traduce in “quella che non piange facilmente”. Il nome inglese dato alla foto era semplicemente “unbreakable”: indistruttibile.

La foto ha recentemente vinto il gran premio della giuria in un concorso fotografico organizzato dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari in Medio Oriente e nel Nord Africa (OCHA).

Asad ha incontrato di nuovo Dalia martedì 17 marzo, scattandole nuove foto insieme alla sua famiglia e ai compagni di classe.

“Lei è ancora forte”, ha dichiarato Asad, aggiungendo che la sua domanda agli israeliani resta: “Che cosa vi abbiamo fatto per meritare questo”.

Sua madre, Um Zuhair, e il padre, Rizk, hanno ricordato ad Asad gli eventi di quella tragica notte.

“La granata di un carro armato ha colpito la nostra casa verso le 3:00 senza alcun preavviso. Stavamo tutti dormendo nel mezzo della casa e la volontà di Dio ha deciso che saremmo tutti sopravvissuti”, ha detto.

“Ma i bambini erano stati feriti e i vicini sono venuti in loro aiuto portandoli all’ospedale”, ha aggiunto.

Il padre di Dalia ha detto che mentre alcune cicatrici sul suo viso sono sparite, il suo corpo rimane pieno di cicatrici da scheggia. Ha aggiunto che il caso più grave è quello della sua sorellina Remas, che è stata ferita alla testa nell’attacco di Israele.

Entrambe le ragazzine hanno bisogno di cure mediche e di interventi di chirurgia estetica, ma la chiusura dei confini con l’Egitto e Israele significa che non possono andare a curarsi in Turchia e neanche ricevere medici specialisti che sono disposti ad entrare nella Striscia di Gaza assediata.

“Il volto di Dalia tratteggia il dolore dei bambini di Gaza. Ma anche la bellezza e il coraggio di una generazione che sembra determinata a sopportare difficoltà apparentemente insormontabili”, ha commentato Ramzy Baroud, autore e giornalista palestinese.

“Il fatto che la vita non si è fermata per la bambina di nove anni, che è tornata a scuola, anche se le schegge hanno punteggiato ogni centimetro del suo corpo fragile è una testimonianza della volontà indistruttibile di Gaza dopo la guerra, che non ci può essere sconfitta se non ci si arrende”, ha aggiunto.

Asad, che ha riferito ampiamente sulla situazione dei civili durante l’offensiva militare di Israele del 2014, ha perso la sua casa, saltata in aria durante un attacco israeliano.

In un’altra occasione, è stato risparmiato da un drone israeliano che è atterrato a pochi metri di distanza da lui, ma che ha ucciso un bambino e ha ferito due persone.

“Mohammed Asad è un fotografo di talento. Racconta una storia di cui è parte; riporta la sofferenza che vive, e dipinge i volti feriti, come quello di Dalia, che come lui porta le cicatrici della guerra e dell’abbandono”, ha detto Baroud.

“Dalia e Mohammed sono la speranza duratura di Gaza”.

Traduzione di Edy Meroli