DALLA STRISCIA, DOLORE E FIEREZZA

Khan Younes, giovedì 29 gennaio

Angela Lano

Nonostante i proclami del governo egiziano, non è facile entrare nella Striscia di Gaza attraverso il valico di Rafah. Molte persone vengono respinte, altre devono aspettare giorni e mettere a frutto la non facile arte della pazienza contro i mille ostacoli posti dalla burocrazia, e non solo…

Aspettando ore seduti davanti all’ufficio passaporti della parte egiziana di Rafah crossing, non si può non ammettere che i palestinesi sono assediati da Israele e pure dal governo del Cairo. Gli ascari mondiali dello stato sionista, infatti, sono tantissimi e ne condividono la responsabilità per tante vite innocenti stroncate, massacrate, affamate.

Storie di ordinaria criminalità. Hamid ha 30 anni, ma ne dimostra molti di meno. Ha passato gli ultimi 22 giorni in un ospedale del Cairo, dove è stato sottoposto a quattro interventi. Ci indica le ferite: sono sparse in tutto il corpo. Questo giovane padre di famiglia, residente a Beit Lahiya, era uno delle centinaia e centinaia di “terroristi” che Israele ha fatto a pezzi. Sì, perché la sua colpa è stata quella di uscire in strada, una mattina – il primo giorno di invasione di terra – per comprare un po’ di dolci per consolare i figlioletti terrorizzati dai bombardamenti notturni. Mentre era al supermercato, un missile dell’aviazione israeliana si è abbattuto sopra diversi cittadini, uccidendone 6. Lui si è salvato, ma è rimasto gravemente ferito.

Thaer ha 18 anni e anche lui viene da Beit Lahiya. I medici egiziani gli hanno amputato una gamba, spappolata dai cannoni dell’artiglieria israeliana. Già, anche lui era un terrorista, come le sue nove sorelle e il suo fratellino disabile, di cui lui e suo padre non hanno più notizia, da quando la loro casa è stata rasa al suolo venticinque giorni fa. Suo papà lo guarda con gli occhi pieni di lacrime, accarezzandogli il capo: “Grazie a Dio”, ripete. Quello, forse, è l’unico figlio che gli è rimasto…

La Striscia, tra distruzione e fierezza. Dopo due giorni di attesa, due viaggi dal Cairo a Rafah, finalmente questa mattina siamo riusciti a entrare nella Striscia di Gaza. Con noi sono passati anche 40 ingegneri giordani bloccati da ieri, diversi palestinesi resi handicappati dalle bombe intelligenti di Israele,  e di ritorno dagli ospedali del Cairo, medici e altri colleghi giornalisti.

Rafah. Appena fuori dal valico, lo spettacolo che si dispiega davanti a noi ci lascia senza parole: case rase al suolo dai missili e dai bulldozer dello stato più democratico e civile del Medio Oriente.
Stessa angosciante desolazione a Khan Younes: abitazioni, scuole, sedi della polizia cittadina, ufficio postale e altri luoghi pubblici ridotti a cumuli di macerie. In questa cittadina sono decine e decine le vittime della furia omicida dei leader israeliani, e centinaia i feriti. Tuttavia, la gente mostra un coraggio e una fierezza senza pari: attingendo a una forza interiore e a una dignità senza tempo, cammina a testa alta e si dà da fare a ricostruire, a sanare le ferite.

I bambini. Sono dovunque, tantissimi, piccoli e grandi. Sono per strada, a giocare e a correre. Ci vengono incontro con grandi sorrisi, che strappano via la voglia di piangere dai nostri occhi. Sorridono e ci rivolgono domande curiose. Molti di loro hanno perso tutto: familiari, fratellini, genitori, nonni, casa, beni… Chiunque non sia ottenebrato dall’odio e con una mente omicida comprende immediatamente che bombardare la Striscia significa fare strage, macelleria, di bambini.

Chiunque non impedisce a Israele di continuare a massacrare questi innocenti dovrà per forza rispondere alla Storia di complicità in crimini contro l’Umanità.

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