Dall’Iraq al Brasile: la nuova vita di 100 profughi palestinesi.

 

Dalla nostra inviata tra i rifugiati palestinesi in Brasile,

Fernanda Lattarulo Campos

Dal deserto iracheno al Brasile: la nuova vita di 100 rifugiati palestinesi.

Lo scorso settembre, il Brasile ha ricevuto uno dei più ingenti gruppi di rifugiati palestinesi degli ultimi anni. 100 palestinesi, in cerca di una vita migliore, sono giunti nel Paese.

Quattro anni fa (a seguito della caduta di Saddam Hussein, ndr), hanno cambiato la loro vita urbana a Bagdad per quella di stretta sopravvivenza in mezzo al deserto giordano. Secondo i ricercatori ONU, che stanno studiando questo gruppo, il loro maggior timore era di non trovare lavoro nel Paese d’immigrazione. I più erano preoccupati per gli alloggi e per la possibilità di lavorare legalmente.

Questi palestinesi, che in precedenza hanno vissuto più di quattro anni in una tenda nel deserto della Giordania, erano felici e allo stesso tempo apprensivi al momento di arrivare in Brasile. Secondo il rapporto ONU, la maggior parte di loro si mostrava preoccupata di doversi trasferire a San Paolo, nota come una città molto violenta. Ciononostante, trattandosi anche del centro più importante del paese, 50 di loro sono stati sistemati lì. Altri 50 sono stati trasferiti più a sud, la maggior parte a Rio Grande do Sul.

Saiez Ahmed Abbas, 62 anni, in un’intervista alla BBC brasiliana, ha dichiarato di aver abbandonato la sua casa e una piccola fabbrica di tessuti di quindici operai a Bagdad, per sfuggire alla violenza. Ha poi mostrato le sue due valigie, con dentro un po’ di vestiti. “È tutto quello che ho, e tutto quello con cui ho vissuto negli ultimi quattro anni”.

Secondo le sue parole, sono stati gli anni peggiori di tutta la sua vita: in estate, il clima nel deserto è talmente caldo che alcuni bambini e anziani non lo reggevano e morivano. In inverno, le tempeste di sabbia sono molto comuni, e il freddo gela le ossa. 

Tutte le volte che il Brasile ha accettato di ricevere dei rifugiati, si è trattato di un grande vantaggio per il governo palestinese. Un campo profughi in Giordania, chiamato Ruweished, è stato del tutto abbandonato grazie allo Stato brasiliano, che ha ricevuto tutti coloro che lo hanno abitato negli ultimi cinque anni.

Gran parte della popolazione che viveva a Ruweished non poteva tornare a Bagdad, a causa delle minacce di morte e della mancanza di uno Stato in cui vivere. Per questo, la sola scelta possibile per loro era aspettare che qualche altro Paese li accettasse.

La più grande difficoltà addotta dalla maggior parte dei governi è che gli emigranti palestinesi non sono solo rifugiati, essi sono coinvolti in una questione politica molto più grande, e alcuni Paesi hanno leggi che pongono dei limiti.

Un’ulteriore difficoltà che il governo brasiliano ha dovuto affrontare è che l’Autorità Palestinese vuole evitare che i rifugiati lascino il Medio Oriente e si spargano in tutto il mondo. La preoccupazione dell’ANP risiede nel problema delle perdite: se la Palestina costruirà un nuovo Paese in futuro, questi rifugiati saranno in grado di ritornare in patria?

L’Ambasciata Brasiliana in Giordania – che intende portare in Brasile più di 200 rifugiati entro la fine del 2007 – ha anche avuto qualche problema durante il processo di trasferimento. In base a quanto riferito dall’Ambasciata, l’ANP ha creato delle difficoltà, sostenendo che la popolazione palestinese sarebbe stata trattata come un sacco d’immondizia, passando di mano in mano, come se non avesse radici. 

L’iniziativa ha creato delle controversie anche all’interno del governo brasiliano. Negli ultimi anni, il presidente Lula ha iniziato ad avvicinarsi diplomaticamente ai paesi arabi, sperando che questo provocasse un impatto politico che accrescesse il ruolo del Paese in Medio Oriente. D’altra parte, alcuni membri del governo continuano a sostenere che quest’atteggiamento si scontra con la posizione del Brasile nei confronti della guerra in Iraq: “Il Brasile era contrario alla guerra, ma adesso sta aiutando a pagare per le sue conseguenze – afferma un diplomatico di Brasilia, che ha chiesto di non essere menzionato. Per l’ONU, qualunque sia il movente, la verità è che la decisione presa dal Brasile è una soluzione del problema dei rifugiati palestinesi. 

Fin dall’inizio della guerra in Iraq, il Brasile è stato un contatto importantissimo per i rifugiati palestinesi. Il governo degli Stati Uniti d’America e l’ONU hanno spinto il paese ad accettarne un certo numero, in particolare quelli che vivevano a Bagdad, in Palestina. 

Il governo brasiliano, tramite Itamaraty, che rappresenta il Ministero degli Affari Esteri, teme che accettare questo ruolo significhi dare il proprio consenso alla guerra. Oggi, inoltre, il Brasile ospita più di 4000 rifugiati. In realtà, un rapporto scritto nel 2005 dai ricercatori ONU mostra che solo in Amazzonia vivono illegalmente più di 15 mila rifugiati (per la maggior parte colombiani). 

Da quando lo Stato d’Israele è stato fondato, ci sono più di 4 milioni di rifugiati palestinesi in tutto il mondo. Questa massa di persone ha diffuso la propria cultura, fuggendo dalla povertà, dalla disuguaglianza e dalle guerre, e cercando soprattutto di salvare la vita. 

La terza maggiore comunità araba in Brasile 

La comunità di palestinesi trasferitisi in Brasile è formata da più di 500 mila persone ed è ora la terza più grande colonia araba nel Paese, superata dalle comunità libanese (7 milioni) e siriana (2 milioni e mezzo). In America Latina, solo il Cile conta una comunità palestinese di dimensioni simili.

Il Brasile ha mostrato il proprio interesse a far parte del processo di pace tra Palestina e Israele e mantiene relazioni ufficiali con la prima fin dal 1975, quando autorizzò l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) a scegliere un suo rappresentante a Brasilia.

Nel 1993, dopo gli accordi di Oslo, la rappresentanza fu elevata al grado di Delegazione Speciale Palestinese e dotata di status diplomatico, diritto di emettere passaporti, di alcuni privilegi e di immunità equivalenti a quelli concessi agli organismi internazionali rappresentati in Brasile.            

I palestinesi in Brasile. Una nuova vita lontano dal deserto. 

Folha de São Paulo. 21 settembre 2007 

“Sono molto felice. Ho i documenti. Sono un brasiliano, e voglio vivere per sempre in questo Paese”. Queste sono le parole di Ibrahim Said Abu Zahra, rifugiato, mentre arriva all’aeroporto internazionale di Guarulhos, San Paolo. 

Dopo quasi due giorni di viaggio, Ibrahim e altri 34 rifugiati provenienti dal campo di Ruweished, in Giordania, hanno raggiunto il Brasile per essere sistemati con le loro famiglie. Nelle prossime settimane, altri 70 rifugiati di origine palestinese abbandoneranno una “terra di nessuno”, piena di sabbia e scorpioni, per rifarsi una vita.

Nell’area ristretta dell’aeroporto, un misto di canzoni, curiosità e speranze. L’agitazione di uomini, donne e bambini è visibile. Tutti passano attraverso procedure di vaccinazione. Alcuni cercano di far funzionare il cellulare con la scheda che hanno portato dalla Giordania. Altri indossano bandiere brasiliane e piccoli adesivi brasiliani incollati sui vestiti. Pochi arrischiano qualche parola in portoghese, mentre dei bambini giocano coi carrelli dei bagagli.

Dopo aver vissuto a Ruweished dal 2003 fino ad oggi, i rifugiati saranno trasferiti a San Paolo e a Rio Grande do Sul, dove l’ACNUR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) sviluppa un programma di collaborazione col governo federale e con la società civile.

Sono tutti molto stanchi, ma anche ansiosi di attraversare il portone e dare un’occhiata alla nuova realtà. “Non incontreremo nessuna difficoltà. Ne sono certo. Mi sento come se fossimo una semplice famiglia: Brasiliani e Palestinesi” dice Tala Mustafa Jabara, palestinese di 71 anni.

Per alcuni di loro, il momento è quasi insopportabile. Il piccolo Ahmad Teisir Ibrahim scoppia in lacrime quando viene a sapere che i suoi amici di Ruweished non verranno a Rio Grande do Sul con la sua famiglia. Consolato dai genitori, ritorna a sorridere quando riceve in regalo un pallone pitturato di verde e giallo.

Questo gruppo è uno dei primi a partecipare al Programma di Reinsediamento brasiliano, di cui beneficiano uomini, donne e bambini che non possono ritornare nel loro Paese d’origine per la paura di esserne scacciati. Argentina e Cile sono altri membri del programma, che comincerà presto anche in Paraguay e Uruguay.

Prima della risposta positiva data dal Brasile alla richiesta di aiutare la causa umanitaria palestinese, solo Canada e Nuova Zelanda avevano accettato di aiutare i rifugiati che vivevano in Iraq ed erano stati obbligati a lasciare il Paese dopo la caduta di Saddam Hussein. Vittime di violenze, essi si nascondevano nei Paesi di frontiera, aspettando una soluzione. Seguendo l’esempio del Brasile, il governo cileno ha annunciato di essere in procinto di attuare gli stessi sforzi in aiuto dei Palestinesi.

L’ACNUR stima che più di 1750 palestinesi residenti in Iraq sono dispersi da qualche parte al confine con la Siria. Oltre a questo, più di 13000 palestinesi continuano ad essere oggetto di violenze a Bagdad: almeno 800 di loro sono stati uccisi dal 2003.

Tornando in terra brasiliana, parte del gruppo è stato ricevuto alla moschea locale della città dove costruirà la sua nuova vita. Li aspetta una colazione tropicale, piena di succhi, frutta, pane, torte e marmellate.

“Voglio finire gli studi. Voglio andare all’università e laurearmi come giornalista” dice la giovane Marian Khaled Qodsieh, 14 anni.

“Abbiamo sofferto molto. Ogni giorno della mia vita in quel campo era come un anno intero. Il Brasile ha dimostrato il suo interesse ad aiutarci, e gli siamo tutti molto grati”, dice Ahmad Mahmud, 30 anni, giunto insieme alla sua famiglia e alla moglie incinta. “Adesso vogliamo imparare il portoghese e trovare un lavoro per continuare la nostra vita. Siamo tutti molto felici”, conclude.

I rifugiati vivranno in case in affitto e riceveranno un sostegno finanziario dal governo per i prossimi 24 mesi, o finché non troveranno un lavoro. Riceveranno anche lezioni di portoghese. I bambini potranno cominciare a frequentare la scuola regolare solo a partire dall’anno prossimo.

I Palestinesi sono il più grande gruppo di rifugiati accolto in blocco dal programma brasiliano. È un gruppo eterogeneo, costituito quasi interamente da famiglie urbane che vivevano a Bagdad e nelle città vicine. Il 75% di loro sono adulti, per la maggior parte uomini, il 10% sono anziani, il 3% bambini e il 12% adolescenti. Tra gli uomini, solo 27 sono single.

Il Brasile ospita quasi 3500 rifugiati (il 25% donne), la maggior parte dei quali di provenienza africana (80%). A causa dei conflitti con la vicina Colombia, sono numeri che tendono ad essere contenuti.

Dal deserto al cinema

Il viaggio di tutti i rifugiati palestinesi dalla Giordania e dall’Iraq al Brasile rappresenta ora una grande opportunità per i produttori di film. Alla fine di novembre, una compagnia cinematografica dal nome Mixer è ritornata dal Medio Oriente, dove ha filmato il dramma delle famiglie palestinesi.

I produttori hanno scelto 28 famiglie residenti in un campo profughi in Giordania allo scopo di girare un documentario da mostrare in tutto il Brasile. L’idea è partita dopo che un gruppo di produttori si è recato in Iraq ed è accidentalmente venuto a sapere dei costumi di un piccolo gruppo di palestinesi.

Una rete privata brasiliana ha già assegnato al documentario un premio, promosso dalla fondazione Padre Anchieta. La speranza dei suoi autori è che, per l’inizio del 2008, il film possa essere mostrato in alcuni cinema e in TV. Il titolo è “La chiave di casa”.

Per chi fosse interessato, ecco un estratto da un’intervista (in portoghese) con uno dei rifugiati palestinesi che vivono in Brasile.  

http://www.midiaindependente.org/pt/blue/2003/12/269589.shtml

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