Dare ai palestinesi un assaggio di casa

The Electronic Intifada.Amjad Ayman Yaghi. Tarek Bakri offre ai palestinesi di tutto il mondo uno scorcio della loro patria.

Sono passati più di sette decenni dalla Nakba, la pulizia etnica della Palestina del 1948. Le persone espulse dalle forze sioniste in quel momento – se sono ancora vive – generalmente hanno un’acuta consapevolezza della loro espropriazione. Così fanno i loro figli e i loro nipoti.

La consapevolezza è rimasta forte anche se un grande numero di vittime della Nakba non ha mai visitato le città e i villaggi da cui proviene.

La maggior parte dei palestinesi che vivono all’estero, in particolare quelli nei campi profughi, non possono visitare la Palestina. Alcuni palestinesi – ad esempio quelli che possiedono passaporti americani o europei – sono un po’ più fortunati nel momento in cui sono stati in grado di tornare a casa.

Bakri, un ricercatore con sede a Gerusalemme, ha facilitato questo tipo di visite.

Regolarmente riceve vecchie fotografie di palestinesi, sfollati durante e dopo la Nakba, o dei loro discendenti. Utilizzando le informazioni di base, si propone di trovare le case di queste famiglie.

In molti casi, lui e il suo team hanno quindi organizzato la visita alle loro case.

Nasser al-Daqaq è tra coloro che hanno aiutato. Nasser, palestinese americano, ha incontrato per la prima volta Bakri quando lo storico ha tenuto una conferenza in Kuwait nel 2016.

Dopo la presentazione, hanno parlato della casa della famiglia di Nasser, costruita a Gerusalemme intorno al 1890.

La casa apparteneva a Chakib, nonno di Nasser. Ma Nasser non l’aveva mai visto di persona.

Bakri ha chiesto a Nasser di inviargli una fotografia della casa. Ha promesso a Nasser di aiutare la famiglia a localizzarla ogni volta che si sarebbero trovati a Gerusalemme.

Nello stesso anno, Nasser e due dei suoi figli – Khaled e Yasmine – fecero un viaggio a Gerusalemme.

Con Bakri, hanno deciso di cercare la casa nel quartiere cittadino di al-Baqaa.

“Dopo aver cercato, abbiamo trovato la casa in una strada laterale”, ha detto Bakri a The Electronic Intifada.

“Era un enorme edificio a tre piani, con un bellissimo giardino e un albero di oltre 100 anni. Ho potuto vedere grande felicità sui volti di Nasser, Khaled e Yasmine. Hanno detto che la casa era più bella delle case che si trovano in America”.

Ingiustizia.

Mentre erano fuori dalla casa, una famiglia si è avvicinata, portando borse e scatole.

Quando Bakri ha iniziato a parlare alla famiglia, è emerso che erano israeliani, che avevano appena acquistato un appartamento nell’edificio e stavano per trascorrere lì la loro prima notte. Bakri ha presentato la famiglia a Nasser dicendo che una volta era il proprietario della casa.

La famiglia è rimasta scioccata e perplessa da quell’informazione, così Bakri ha spiegato come la famiglia al-Daqqaq dovette fuggire dalla propria casa durante la Nakba.

Sebbene la conversazione fosse rimasta educata, il senso di ingiustizia era palpabile. Una famiglia forzata a lasciare la propria casa stava di fatto assistendo al trasferimento di un’altra famiglia.

Per molti altri palestinesi, vedere le loro vere case di famiglia è impossibile perché non esistono più. Le forze sioniste e poi quelle israeliane distrussero circa 500 villaggi durante la Nakba e negli anni che seguirono.

Quando i palestinesi non possono essere accompagnati a vedere i loro vecchi edifici, Bakri fa in modo che comunque visitino i loro vecchi villaggi.

Halima Khaddash, 84 anni, fu sfollata dal villaggio di Beit Nabala durante la Nakba.

Nel settembre 1948, il villaggio fu quasi completamente demolito dai militari israeliani. La scuola fu tra le poche strutture risparmiate.

Khaddash è stata in grado a trovare il sito della casa della sua famiglia quando visitò Beit Nabala nel 2016. Si commosse molto quando si rese conto che tutto ciò che rimaneva era il pozzo su cui la famiglia faceva affidamento per l’acqua, ha detto Bakri a The Electronic Intifada.

“Bellissimo” terreno.

Beit Nabala si trova vicino a Ramle, oggi una città in Israele.

Durante il suo viaggio, Khaddash era colma di gioia quando è andata al mare a Jaffa.

Khaddash raccolse del terreno dal suo villaggio natale, lo mise in una borsa e se lo portò via. Quando tornò al campo profughi di Jalazone, nella Cisgiordania occupata – dove ora vive –  in quel terreno Khaddash piantò della menta.

Molte delle persone che prendono parte alle visite organizzate da Bakri prendono del terriccio dai loro villaggi d’origine.

“È una cosa bellissima da portare con sé”, ha detto Bakri a The Electronic Intifada.

“Molti profughi palestinesi, che vivono nei campi di Giordania e Libano, mi hanno chiesto di inviare loro sacchi di terra”.

Bakri ha intrapreso un’attività di ricerca sul massacro avvenuto nel villaggio di Safsaf nell’ottobre 1948.

Le truppe israeliane che entrarono a Safsaf – nella regione della Galilea della Palestina storica – ordinarono agli abitanti di riunirsi nella piazza del villaggio. Circa 70 uomini furono arrestati, portati in un luogo remoto e fucilati.

Al resto degli abitanti fu ordinato di lasciare il villaggio, con le truppe israeliane che sparavano sopra le loro teste mentre fuggivano. Racconti di testimoni dicono che una donna incinta fu attaccata alla baionetta dalle truppe israeliane, che violentarono un certo numero di altre donne e almeno una ragazza del villaggio.

Nel 2019, Bakri fece in modo che Mohammad Zaghmout visitasse Safsaf.

Zaghmout è cresciuto a Yarmouk, un campo profughi palestinese vicino a Damasco. Con il campo distrutto durante la guerra civile in Siria, Zaghmout e la sua famiglia si sono trasferiti in Svezia in tempi recenti.

Suo padre Saad era un bambino quando le truppe israeliane invasero Safsaf. A differenza di molti altri membri della sua famiglia, Saad è sopravvissuto al massacro.

Saad è morto nel 2010.

“Il padre di Mohammad non ha mai smesso di parlare di quello che è successo al villaggio fino al giorno in cui è morto”, ha detto Bakri.

“Il padre di Mohammad voleva essere sepolto a Safsaf. Ma non è stato possibile. Suo padre è sepolto nel cimitero del campo di Yarmouk. Tutto quello che Muhammad poteva fare era prendere del terreno da Safsaf e portarlo alla tomba di suo padre”.

Amjad Ayman Yaghi è un giornalista con sede a Gaza.

Traduzione per InfoPal di Silvia Scandolari