I detenuti palestinesi bloccati nello stallo del Medio Oriente

312664CRamallah-AFP. Hadi al-Fakhri aveva 26 anni quando per la prima volta abbracciò suo padre, detenuto in un carcere israeliano insieme a centinaia di altri palestinesi per presunta attività militare nella Cisgiordania occupata.

Dieci anni dopo, a 30 dalla condanna all’ergastolo, il padre di Fakhri è stato liberato insieme a più di 1000 prigionieri, rilasciati in cambio della liberazione di un soldato israeliano tenuto ostaggio dal gruppo islamista di Hamas per cinque anni.

Lo storico accordo siglato nel 2011 per la liberazione di Gilad Shalit aveva dato una speranza alle centinaia di palestinesi detenuti nelle carceri israeliane.

Ma dopo più di tre anni, con un processo di pace che procede a scatti e i rapporti con Israele sempre più tesi, questa speranza sembra più lontana che mai.

La questione dei detenuti riguarda quasi tutte le famiglie palestinesi.

“Ogni famiglia ha a che fare con le carceri dell’occupazione – chi è stato arrestato personalmente o ha un avuto un membro della famiglia in carcere per un certo periodo”, ha detto Nojood Qassem, 40 anni e un marito che sta scontando l’ergastolo.

Sua figlia, oggi tredicenne, è cresciuta vedendo il padre solo attraverso il vetro di una finestra del carcere.

“Mia figlia non conosce suo padre. Lo vede solo dalla vetrata della sala colloqui, e solo allora può parlargli a telefono. Una o due volte al mese”, ha dichiarato a AFP.

Crescere con un padre in prigione è stata un’esperienza difficile anche per Fakhri.

“Quando sei bambino vuoi giocare con tuo padre, vuoi il suo affetto, vuoi abbracciarlo. Io ho avuto tutto questo a 26 anni e invece che normale, per me è stata una sensazione strana”. 

Giornata di resistenza 

Il destino dei detenuti è una questione molto sentita dai palestinesi. In occasione della Giornata dei Prigionieri, che cade ogni 17 aprile, vengono indetti cortei e manifestazioni.

“E’ una giornata nazionale, in cui il popolo palestinese esprime la propria opposizione all’occupazione e il supporto a coloro che fanno resistenza”, ha dichiarato Qadura Fares, ex detenuta e presidente dell’Associazione dei Detenuti.

Fares è stata rilasciata in uno scambio di prigionieri nell’ambito degli accordi di Oslo del 1993.

“I palestinesi vengono arrestati proprio perché si oppongono all’occupazione. Sono un simbolo di resistenza”, ha spiegato.

Lo scorso mercoledì circa 200 manifestanti hanno reso omaggio ai detenuti sventolando bandiere e chiedendo “libertà” per i loro parenti e amici.

“Oggi, mentre ci avviciniamo al prossimo giorno dei prigionieri, 6000 palestinesi si trovano ancora nelle carceri israeliane”, ha dichiarato una fonte in un’intervista.

“E’ un nostro diritto vivere in libertà!”

Diritto che secondo i palestinesi viene calpestato, mentre il numero dei detenuti aumenta.

Attualmente sarebbero 6200, la cifra più alta degli ultimi cinque anni, secondo i dati diffusi dai gruppi per la salvaguardia dei diritti.

Dopo la liberazione di Shalit, Israele ha fatto rientrare in carcere alcuni dei detenuti liberati e arrestare altre centinaia di persone in seguito al rapimento e all’uccisione di tre adolescenti in Cisgiordania lo scorso giugno.

Solo questo mese sono stati arrestati 49 membri di Hamas e anche una deputata del Parlamento.

Dal 1967 sono stati in 800.000 i detenuti, secondo il ministro degli esteri palestinese.

Intervento internazionale

Qualcuno spera ancora che i propri cari siano prima o poi rilasciati.

Le trattative di pace si sono interrotte lo scorso anno, e molti palestinesi vedono allontanarsi sempre di più la possibilità di riprendere qualunque processo dopo i risultati delle elezioni del mese scorso in Israele, con la riconferma a Primo Ministro dell’inflessibile Benjamin Netanyahu, il quale durante la campagna elettorale ha giurato che sotto il suo mandato non nascerà nessuno stato palestinese.

Netanyahu ha poi ritrattato immediatamente, dicendo che al momento le condizioni non sono favorevoli.

Ma Qassem si è mostrata piuttosto pessimista al riguardo.

“Non c’è più speranza di rilascio per tanti detenuti, specialmente adesso che non c’è più alcuna trattativa in corso con Israele. Netanyahu ha chiuso tutte le porte alla pace”, ha spiegato.

I dirigenti palestinesi concordano che una soluzione politica non è attuabile.

“Con il governo di destra che si sta formando in Israele, e con lo stop alle trattative, la strada politica è chiusa” ha dichiarato Issa Qaraqe, responsabile della questione dei detenuti per il governo palestinese.

Tuttavia il ministro degli Esteri Majed Bamya ha accennato ad alcune strade che i palestinesi potrebbero percorrere a livello internazionale per cercare di risolvere il problema.

“Un nuovo traguardo è che siamo entrati a far parte della Corte penale Internazionale. Per noi la questione dei detenuti è una priorità”, ha affermato.

I palestinesi hanno preso parte alla CPI questo mese, e intendono fare causa a Israele per presunti crimini di guerra.

“L’arresto di massa può essere considerato un crimine di guerra, oltre che un crimine contro l’umanità”, ha dichiarato Bamya. 

Lo staff di Ma’an ha contribuito a questa relazione.

Traduzione di Giovanna Niro