Detenzione di alti dirigenti palestinesi: grave violazione di diritti fondamentali.

Detenzione di alti dirigenti palestinesi: grave violazione di diritti fondamentali 

B’Tselem, 1 Agosto 2007

  http://www.btselem.org/english/special/20070801_Detention_of_Palestinian_Government_Seniors.asp 

Subito dopo il rapimento del caporale Shalit, nel Giugno 2006, Israele arrestò dozzine di Palestinesi in posizione di alta responsabilità presso l’Autorità Palestinese, e tra essi vi erano dei ministri del governo guidato da Hamas, e la maggior parte dei membri del Consiglio Legislativo Palestinese (PLC) in quota Hamas nella West Bank. L’Ufficio Generale del tribunale ha informato B’Tselem che 45 membri del PLC finirono in detenzione. Secondo quanto risulta a B’Tselem almeno 22 di essi sono ancora in galera. Nel Maggio 2007, a seguito di un attacco con razzi Qassam su Sderot, l’esercito ha arrestato dozzine di altri alti dirigenti palestinesi, tra i quali il Ministro dell’Istruzione Nasser a-Din Sh’ar ed il Ministro per gli affari legati agli insediamenti Wasfi Qaba. Questi ministri e 45 membri del parlamento sono tutt’ora detenuti in Israele.

I tempi degli arresti destano il sospetto che lo scopo dell’azione era mettere sotto pressione la popolazione palestinese e la sua dirigenza. Il sospetto si rafforza per via delle dichiarazioni rese da funzionari isrealiani. Ad esempio, in un’intervista ad AP poche ore dopo la prima ondata di arresti, il 29 Giugno 2006, il Maggiore Generale Yair Naveh, del comando centrale, riferiva che la decisione di arrestere i dirigenti palestinesi era stata presa nelle alte sfere politiche, e che i prigionieri sarebbero stati rilasciati in cambio della liberazione di Gilad Shalit. In un’intervista del 24 Maggio 2007 all’emittente radio dell’esercito, l’allora ministro della difesa Amir Peretz dichiarava che "l’arresto di quei capi di Hamas serve a dimostrare alle organizzazioni militari che noi esigiamo il cessate il fuoco". E’ pertanto evidente che i dirigenti palestinesi sono in stato di detenzione non per essere perseguiti per atti che avrebbero commesso, e neppure in base a preoccupazioni sul loro comportamento futuro; piuttosto si cerca di trarre un beneficio politico dal neutralizzare la loro attività politica e dalla dura condizione che essi e i loro colleghi devono subire.

Alcuni dei dirigenti vengono trattenuti in detenzione amministrativa ed altri sono stati messi in stato d’accusa. Ad ogni modo, la privazione della libertà è stata una violazione della legalità e una dimostrazione di oltraggioso disprezzo per i diritti delle persone che li hanno eletti.

 Detenzione amministrativa illegale 

I due ministri anzidetti e i cinque parlamentari sono in detenzione amministrativa. Come dice la parola stessa la detenzione si basa unicamente su un ordine amministrativo. In violazione completa dei "principi della giustizia naturale" (le regole fondamentali che assicurano un giusto processo), con la detenzione amministrativa le autorità possono privare una persona della libertà senza bisogno di una formale accusa, senza offrire all’individuo la possibilità di preparare una difesa, e senza che un formale tribunale possa occuparsi della materia.

A causa del grave vulnus al giusto processo inerente alla detenzione amministrativa, e del chiaro rischio che vi saranno abusi nella procedura, il diritto internazionale permette la detenzione amministrativa solo in casi eccezionali, quando il detenuto rappresenta un rischio evidente ed immediato, e ciò solo se mezzi meno drastici non sono sufficienti ad eliminare il pericolo. L’uso della detenzione amministrativa come mezzo di punizione è espressamente proibito. Il caso presente non rientra in quelle condizioni.

Prima di tutto è assai dubbio che questi ministri e parlamentari possano costituire un pericolo immediato. Sono stati eletti in elezioni che Israele ha permesso ai Palestinesi di tenere, e hanno esercitato le proprie funzioni per mesi durante i quali non c’è stato alcuno indizio che Israele potesse considerarli un pericolo. Per giustificare il loro stato di detenzione amministrativa le autorità devono provare la loro incredibile affermazione che, subito dopo il rapimento del caporale Shalit e subito dopo la decisione del Gabinetto di Sicurezza Nazionale di dare via libera all’esercito di intraprendere azioni più drastiche sul lancio di razzi Qassam su Sderot, sorse un concreto e reale pericolo legato ad ognuno dei dirigenti palestinesi in seguito arrestati. E’ molto più ragionevole credere che le detenzioni non sono state decise da una paura legata ai detenuti, ed era invece basata su improprie considerazioni, come il desiderio di punire e fare pressioni sulla dirigenza palestinese.

In secondo luogo anche nel caso che ognuno di essi avesse rappresentato un chiaro ed immediato pericolo, le autorità avrebbero avuto il dovere di gestire il rischio in una maniera meno drastica che non violasse i principi della giustizia naturale, come aprire formali procedimenti d’accusa contro la persona. Dopo tutto, arrivare alla conclusione che una persona costituisce un chiaro e immediato pericolo per la sicurezza pubblica non può basarsi su mere speculazioni su ciò che una persona potrà fare in futuro, ma anche su informazioni relative ad atti pericolosi che sono effettivamente stati compiuti in passato. Se non c’è traccia di tali atti è difficile capire il sospetto che si nutre sul pericolo che una persona rappresenti in futuro per la collettività. La decisione di non usare questa alternativa e privare i dirigenti della libertà per un periodo protratto di tempo senza processo calpesta i loro diritti e i diritti della gente che essi rappresentano.

Persino se l’inverosimile affermazione che questi dirigenti palestinesi costituiscono un pericolo immediato e che il solo modo di difendersi da questa minaccia è imprigionarli fosse corretta, il fatto che siano stati posti sotto detenzione amministrativa è tuttavia ingiustificabile. I detenuti amministrativi non sono privi di diritti, e in questo caso i loro diritti sono stati ignorati dalle autorità israeliane. Tenerli in centri di detenzione all’interno di Israele contravviene in modo flagrante alle leggi umanitarie internazionali, che stabiliscono che una potenza occupante non può imprigionare residenti del territorio occupato nel suo territorio. Questa violazione porta con essa altre infrazioni, dato che all’assistente legale del detenuto e ai suoi familiari non viene permesso di entrare in Israele senza permesso, che è frequentemente negato, rendendo impossibile al prigioniero incontrarli con regolarità.

Uso improprio di procedimenti penali per scopi politici e come punizione collettiva 

Atti d’accusa sono stati formulati contro altri grandi dirigenti. Molte delle accuse erano per "associazione", "attività", e "mantenimento di una posizione" in un’ "associazione non autorizzata". Come spiegato oltre queste accuse si basano su disposizioni di legge che sono di per sé problematiche. Inoltre, decidendo di arrestare e perseguire i funzionari in  base a queste accuse, le autorità stanno applicando la legge impropriamente e in un tentativo di acquisire obiettivi estranei a quelli di cui la legge si occupa.

I reati che possono essere commessi tramite affiliazione ad associazione non autorizzata sono specificati nel Regolamento di Difesa d’Emergenza, che Israele ha applicato dalla fondazione dello stato e che risale dai tempi del Mandato. La legge israeliana riconosce l’applicazione extraterritoriale di queste leggi data la loro definizione di reati esterni contro la sicurezza dello stato e dei suoi cittadini. Secondo l’interpretazione del dispositivo pertinente, chiunque abbia una posizione in un’organizzazione che Israele classifica come illegale, ed ognuno che sia attivo in un’organizzazione simile, anche una persona che risulta solo iscritta e vive altrove nel mondo, è un reo contro cui Israele può aprire un procedimento penale. Questo dispositivo trova applicazione anche se l’imputato non ha commesso alcun atto che metta in pericolo lo stato o i suoi cittadini. Questa interpretazione è irragionevolmente ampia, ed impedisce la libertà di associazione e la libertà di coscienza.

Il diritto penale ha lo scopo di punire le persone per atti criminali che hanno commesso. Queste leggi sono sufficienti a fornire gli strumenti necessari per punire una persona che commette un atto contro la sicurezza dello stato e dei suoi cittadini. Non è necessario espandere l’interpretazione fino ad includere la mera partecizione in questa o quella organizzazione, cosa che di per sè non integra una minaccia di sicurezza. Questa disivolta criminalizzazione è simile in natura alla detenzione amministrativa: rende possibile perseguire una persona e privarla della sua libertà non in base ad atti criminosi che siano stati commessi ma per paura di un pericolo futuro che la persona può rappresentare. Ciò eccede di molto la teoria della punizione su cui il diritto penale si regge.

In questo caso, se ci fossero state prove che i funzionari avevano commesso alcuno dei dubbi atti criminali attribuiti a essi, le autorità avrebbero presumibilmente formulato atti d’accusa specifici. Questo non è accaduto, ed è probabile che queste prove non esistono, e che la loro detenzione non è legata ad atti che essi hanno commesso, ma alla loro affiliazione ad Hamas o altra organizzazione classificata come proibita.

A sommarsi ai fondamentali problemi inerenti i reati collegati ad un’organizzazione illegale c’è anche quello dell’applicazione della legge nel caso in oggetto. Hamas è un grande movimento, differenziato al suo interno. Effettivamente il movimento contiene un’ala violenta e persone responsabili di atti criminali compiuti contro i civili israeliani, ma è anche un movimento sociopolitico che svolge un ampio raggio di attività. Molte delle centinaia di migliaia dei suoi membri e molti di coloro che dirigono il movimento e hanno in esso posizioni di responsabilità non hanno parte nelle attività violente contro Israele e aiutano queste attività. E’ improprio considerare tutte queste persone, che comprendono anche gli alti dirigenti che sono stati arrestati, come rei solo perché appartengono ad Hamas. La decisione di aprire un procedimento penale contro di essi anche se non sono sospettati di aver commesso atti violenti e pericolosi di un qualunque tipo appare dunque una persecuzione politica sotto forma di processo penale.

Inoltre, lo stato di Israele ha permesso le elezioni nell’Autorità Palestinese nelle quali i funzionari arrestati risultatarono eletti, e non si oppose alla partecipazione del Movimento per le Riforme e il Cambiamento, cioè Hamas, o qualunque altra lista, alle elezioni. Agendo in questa maniera le autorità d’Israele hanno dato l’impressione che essi non considerano la lista un’"organizzazione non autorizzata" la cui attività possa costituire una violazione delle leggi penali. Quindi Israele non può intraprendere azioni penali contro chiunque fece affidamento sulla concessione di Israele.

Come abbiamo detto i tempi dell’ondata di arresti indicano che si intendeva fare pressione sul popolo palestinese e la sua dirigenza. Per quanto le autorità abbiano l’iniziativa dell’azione penale è chiaro che, in questo caso, la decisione di cambiare la propria linea e iniziare dubbi procedimenti per dubbi reati che fino ra non sono stati commessi non era basata su alcun elemento materiale e pertinente. Essi erano piuttosto di natura politica e del tutto alieni agli scopi del diritto penale. 

Tradotto dall’inglese da Gianluca Bifolchi, un membro di  Tlaxcala  (www.tlaxcala.es), la rete di traduttori per la diversità linguistica. Questa traduzione è in Copyleft per ogni uso non-commerciale : è liberamente riproducibile, a condizione di rispettarne l’integrità e di menzionarne l’autore e la fonte.

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