Diario di don Nandino Capovilla, Pax Christi, dalla Palestina. 'E` Permesso?'

E` Permesso?

 

“In questa terra, non conta l`individuo in quanto tale, bensì il documento di identità che egli possiede”.

Con questa frase, padre Raed, parroco di Taybeh (vicino a Ramallah), ci ha coinvolti oggi in una importante riflessione, sulla possibilità per tutte le persone di esercitare le libertà più semplici. Noi citiamo spesso un detto della Bibbia: “chiedete e vi sarà dato”.

Ci viene da sorridere ascoltando queste parole, perché siamo consapevoli che ogni nostra richiesta difficilmente sarà rifiutata e nessun nostro diritto fondamentale in alcun modo verrà negato. Purtroppo però la pesantissima realtà che stiamo respirando in Palestina è quella di un grido straziante che sale da un popolo intero quotidianamente soffocato dalle umiliazioni più insopportabili. E` assurdo dover pensare che ciò che per noi è un diritto umano fondamentale, possa diventare in questa terra l`oggetto di un`insensata richiesta.

 

L`ingiustizia dell`occupazione si concretizza davanti ai nostri occhi non appena arriviamo al primo check-point israeliano. Qui, ogni palestinese subisce 24 ore su 24, in quei “Territori” Occupati che dovrebbero appartenergli, una continua violenza. Deve affrontare un ostacolo non solo fisico, ma soprattutto psicologico, che lo costringe ad umiliarsi attraverso un complesso sistema di permessi preventivi che deve implorare all`esercito occupante. Il permesso di muoversi di esistere e di muoversi sulla propria terra viene sempre piu` spesso negato, senza motivo.

Padre Raed ci ha raccontato oggi  del dramma che vivono soprattutto le donne palestinesi incinte che, arrivando in ambulanza o con mezzi propri, si trovano sistematicamente bloccate ai check-point. In preda ai forti dolori della vicina nascita, si trovano costrette ad affrontare un`assurda burocrazia, che spesso nega loro il permesso di passare, e dunque di raggiungere l`ospedale. Per questa ragione non hanno alcuna alternativa se non quella di partorire sul posto, in strada, sotto gli occhi di tutti. Le conseguenze drammatiche sono sempre più frequenti: complicazioni del parto e talvolta la morte del bimbo.

Padre Raed ci ha spiegato come solamente nei dintorni di Taybeh lo scorso anno ci siano stati 76 parti ai posti di blocco, 23 dei quali conclusisi tragicamente. Tutti questi fatti ci sono stati confermati da suor Donatella, che lavora al Caritas Baby Hospital di Betlemme, un ospedale pediatrico che si ritrova oggi soffocato dal muro dell`apartheid e nonostante incredibili difficoltà accoglie senza alcun tipo di discriminazione  religiosa o etnica bambini affetti da patologie dell’apparato gastrointestinale e respiratorio.

 

Purtroppo le libertà che il “sistema dei permessi” nega sono anche altre. Immaginate quale patrimonio costituisca nel nostro Paese una famiglia composta da un medico, una insegnante di informatica, un laureando in business management e un falegname esperto. A Betlemme accade che una famiglia così composta, sia costretta a sopravvivere sulla produzione domestica di piccoli souvenir in legno di ulivo, realizzati sotto la guida del capo famiglia. E` questo il caso della famiglia di Padre Ibrahim, dove dei professionisti non riescono a lavorare nel proprio settore, in quanto impossibilitati ad ottenere il permesso (da rinnovare ogni 3 mesi!) necessario per andare a lavorare a Gerusalemme. “Il permesso viene negato ad ogni palestinese che voglia andare nella capitale alla ricerca di un impiego – spiega George, ex falegname ormai disoccupato da 7 anni. Lo stesso accade a chi vorrebbe coltivare liberamente la propria terra. E’ il caso di un agricoltore di Beit-Jala che ci mostra la sua proprietà distrutta dalla costruzione di una by-pass road, strada riservata agli israeliani, che collega gli insediamenti illegalmente costruiti sul territorio palestinese.

 

Anche la sfera degli affetti viene ridicolizzata e resa insignificante da questa perversa burocrazia. Ad esempio -ci spiega padre Firas, parroco di Aboud- un matrimonio tra una persona arabo-israeliana e una arabo-palestinese è oramai raro, perché è difficilissimo che la seconda possa ottenere il permesso di raggiungere il proprio coniuge nello stato di Israele e qui prendervi residenza. In molti casi, dunque, queste persone, una volta sposate, non avrebbero il diritto di vivere sotto lo stesso tetto.

O ancora, ecco la storia della mamma di Loai, ragazzo palestinese di 20 anni che abbiamo incontrato nel campo profughi di Dheisheh. Ella ci racconta di come, pur essendo nata lei stessa nel campo, ancora speri di poter far ritorno al villaggio originario della sua famiglia. Da lì, i suoi parenti sono stati cacciati nel 1948 dalla pulizia etnica della Nakba (che in arabo significa catastrofe).  

 

Permesso di… nascere e permesso di lavorare.

Permesso di muoversi e permesso di volersi bene.

Permesso di rientrare a casa propria alla sera e di ritornare al proprio villaggio e alle proprie radici…

Se non fosse per questa nostra `illegale`presenza di peacebuilding nei Territori Occupati, senza il permesso dell`autorita` occupante, ci verrebbe da dover coinvolgere anche voi,

chiedendovi il permesso…di leggerci!

 

Aboud, 22 ottobre 2007

 

Tutti a Raccolta 2008 – Pax Christi Italia

Per contattare direttamente gli internazionali in Palestina: 00972 543176361

 

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