Disinformatia, la comunicazione giornalistica al servizio dei guerrafondai e dei massacrator di popoli.

“Dall’Italia milioni di euro per finanziare i kamikaze", è un altro dei numerosi titoli ad effetto di questi anni post-11 settembre. Ieri, La Stampa ha dato il suo egregio contributo alla disinformazione mediatica in corso. Bersaglio privilegiato sono le associazioni, le onlus italo-palestinesi che raccolgono fondi da inviare alla popolazione palestinese che sta crepando di stenti a causa dell’embargo occidentale e del furto da parte israeliana delle rimesse delle tasse.

Già, ma questo non si dice. Mandare soldi alla martoriata Palestina è di per sé già atto terroristico in basi a leggi non scritte, a luoghi comuni, a veline di servizi o governi esteri. Ai giornalisti che si prestano a questi "giochetti" non importa verificare davvero che tali associazioni siano "pulite", che i soldi, cioè, vadano a organizzazioni assistenzialistiche nei territori palestinesi che li usano per dar da mangiare, comprare articoli scolastici e abiti.

La disinformatia in soviet-style ci ha stufati: è un’offesa al buon giornalismo, che ancora esiste anche in Italia, e alla nostra intelligenza. Perché i colleghi solleciti a trascrivere le veline israeliane non fanno ricerca sul campo, non verificano le notizie, come richiederebbe l’etica professionale, prima di spararle sulle pagine dei propri giornali?

Dobbiamo chiarire i termini della questione: infatti, anche la linguistica ormai è al servizio dei guerrafondai e dei seminator di confusione. Dare assistenzialismo nei confronti dei bambini e delle famiglie palestinesi, o libanesi, è un crimine? E’ terrorismo? Se lo è, ditecelo ma sostenuti dalla giurisprudenza. Se non lo è, dedicatevi a scrivere altro, che forse è meglio!

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