Dopo Annapolis, Hamas apre alla Rice.

DOPO ANNAPOLIS IN PALESTINA: HAMAS APRE ALLA RICE 
Mercoledì, 12 Dicembre 2007 
di Elle Emme

Nel ventesimo anniversario della prima Intifada, il dopo Annapolis nei Territori Occupati riserva alcune sorprese. Le positive novità in campo palestinese sono una sorprendente lettera aperta di Hamas a Condoleezza Rice e la speranza di riaprire il dialogo tra il movimento islamico che controlla Gaza e il Presidente dell’ANP Abu Mazen. Pessime le novità sul fronte dell’occupante. Di ritorno da Annapolis, Olmert ha stracciato immediatamente il modesto accordo raggiunto, annunciando la costruzione di nuove colonie ebraiche nella Gerusalemme Est occupata. Nel cuore dei Territori, migliaia di attivisti israeliani di estrema destra hanno eretto nuovi avamposti per protestare contro le concessioni territoriali suggerite da Olmert ad Annapolis. Preparandosi a fondare uno stato autonomo ultra-ortodosso in West Bank, nel caso Israele cerchi di evacuare le colonie illegali. Qualcosa si muove sul fronte del movimento islamico di Hamas. Dopo i sanguinosi scontri fratricidi e la vittoria militare di Hamas nella Striscia di Gaza, per mesi Hamas e Fatah si sono arroccati su posizioni intransigenti, mentre Israele, con l’appoggio delle potenze occidentali e dello stesso Abu Mazen, sigillava in una morsa d’acciaio la Striscia, sperando di soffocare Hamas.

Ma il dibattito politico all’interno delle varie correnti di Hamas è continuato in questi mesi, portando a un significativo cambiamento di posizioni, segno del probabile sopravvento dell’ala pragmatica del premier Haniyeh sulla leadership di Mash’al a Damasco. In una lettera aperta indirizzata al segretario di Stato americano Rice e inviata ai media arabi, Hamas chiede di venire incluso nei negoziati futuri previsti dall’accordo di Annapolis e offre la propria disponibilità al dialogo con Stati Uniti ed Europa. Dice Ahmed Yousef, portavoce di Haniyeh: “La nostra percezione delle relazioni con l’Occidente, nonostante differenze ideologiche, è di coesistenza e comprensione, non di sfida e contrapposizione, perché non abbiamo nulla contro Americani, Europei o qualsiasi altro popolo al mondo.” Ammette che il popolo palestinese ha ormai accettato la prospettiva di uno stato nei confini del ’67, perché Israele e Stati Uniti si rifiutano di riconoscere il diritto al ritorno dei profughi del ’48. Conclude affermando: “Non abbiamo bisogno di essere riconosciuti da voi, perché rappresentiamo il partito che ha vinto democraticamente le elezioni nei Territori Occupati. Dunque, voi dovete ascoltare tutte le parti del conflitto, incluso il nostro movimento.”

La svolta rispetto alle posizioni precedenti è drastica. Prima e durante la conferenza di Annapolis, Hamas ha condannato la partecipazione palestinese a quella che definiva “una trappola”, dando vita a numerose manifestazioni di protesta in West Bank e a Gaza, duramente represse dalla polizia palestinese di Abu Mazen. Ora, con la decisione di aprire al dialogo con l’Occidente e gli Stati Uniti, la strategia del movimento islamico cambia radicalmente; forse anche a causa del prolungato assedio israeliano di Gaza, punizione collettiva che sta riducendo alla fame un milione e mezzo di palestinesi.

Contemporaneamente all’apertura verso la Rice, fonti ufficiose sembrano confermare la ripresa del dialogo tra Hamas e Fatah per ricomporre la profonda frattura consumatasi con la presa del potere di Hamas a Gaza in giugno. Hamas ha chiesto al presidente Abu Mazen di formare un nuovo governo di unità nazionale, lasciando i ministeri civili a Fatah, ma mantenendo il controllo della sicurezza a Gaza. Il movimento islamico è pronto a cedere agli uomini di Abu Mazen il controllo dei check point di Erez (con Israele) e di Rafah (con l’Egitto): grazie all’accordo tra Fatah e l’IDF, finalmente questi check point verrebbero riaperti, ripristinando i contatti tra Gaza e il resto del mondo. Ma così come Stati Uniti e Israele non hanno alcun interesse ad aprire al movimento islamico, allo stesso modo il presidente Abu Mazen sta cercando di respingere l’offerta e prolungare l’isolamento di Hamas e della Striscia di Gaza. Da Ramallah, il governo provvisorio di Abu Mazen ha posto tre precondizioni all’apertura delle trattative (Bush docet): che Hamas riconsegni la Striscia all’ANP, che aderisca agli accordi sottoscritti dall’OLP (di cui peraltro non fa parte) e che accetti elezioni anticipate. Come dire, niente da fare.

Contemporaneamente, sul fronte opposto dell’Occupazione, si annunciano nuovi problemi per i palestinesi. Alla conferenza di Annapolis, un Olmert profondamente commosso si era impegnato a riprendere la strada abbandonata della road map, in particolare congelando l’espansione degli insediamenti illegali nella West Bank. Di ritorno dagli USA, per prima cosa Olmert ha annunciato la costruzione di un nuovo blocco di colonie a Gerusalemme Est, circa trecento nuovi edifici. La notizia ha sollevato un coro di proteste da parte di Ban Ki Moon, segretario generale dell’ONU, e di Condy Rice, che ha chiesto almeno un po’ di decenza a Olmert: “In un momento in cui bisogna creare il massimo della confidenza tra le parti, questo annuncio di certo non aiuta.”

Se la situazione non fosse così tragica, la risposta israeliana sembrerebbe quasi comica. Colto con le mani nella marmellata, il ministro dell’edilizia si è detto meravigliato delle proteste, dal momento che le nuove costruzioni sorgeranno all’interno della municipalità di Gerusalemme e quindi non c’è nessun problema. A parte il fatto che l’annessione dei Territori Occupati di Gerusalemme Est da parte di Israele rappresenta il cuore stesso del conflitto.

Per celebrare la festa ebraica di Hanuka, migliaia di coloni e attivisti di estrema destra hanno messo in atto una grande dimostrazione di forza nel cuore dei Territori Occupati. Sparsi in una decina di gruppi, i manifestanti sono penetrati con il benestare dell’esercito israeliano in alcune zone militari della West Bank, con lo scopo di erigere nuovi avamposti illegali, che saranno il cuore di nuovi insediamenti di coloni. Dopo avervi passato la notte, i coloni hanno iniziato la costruzione sul luogo di edifici in muratura, in modo da rendere più difficile l’eventuale evacuazione della colonia. Come se non bastasse, una nuova iniziativa politica è in discussione tra le fila (molto numerose) degli estremisti ultra-ortodossi. Il rabbino Shalom Wolpe, in un pamphlet distribuito nelle Sinagoghe durante lo Shabbat, lancia l’idea di dar vita ad uno stato ebraico autonomo in Giudea e Samaria (questo il nome della West Bank in Israele), iniziando e creare le necessarie strutture legali e militari indipendenti.

Nel momento in cui il “governo israeliano traditore” concederà il ritiro da una parte dei Territori, per la creazione di uno Stato palestinese, le comunità ultra-ortodosse saranno pronte a ribellarsi. I rabbini del Consiglio di Yesha (organismo che rappresenta le colonie illegali della West Bank) hanno nel frattempo iniziato una campagna di proselitismo all’interno dell’IDF. Lo scopo è convincere i soldati a “disobbedire all’ordine di evacuare colonie o avamposti, o espellere ebrei dovunque essi si trovino.” In modo che non si ripeta il sacrilegio dell’evacuazione dei 15.000 coloni da Gaza, voluto nel 2005 dall’allora premier Arik Sharon. 

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