Dove infrastrutture significa prigioni: un viaggio nel Naqab e l’illusione della democrazia israeliana

Mintpressnews.com. Di Miko Peled. (Da InvictaPalestina.org). Dei quasi 250.000 beduini palestinesi del Naqab, circa la metà vive in “villaggi non riconosciuti”. Ciò significa che non hanno strade, elettricità o acqua corrente, né scuole o strutture mediche, nessun servizio.

Naqab. Mentre mi stavo preparando a lasciare la Palestina, trovavo più difficile addormentarmi. Ho trascorso gli ultimi giorni a Gerusalemme, principalmente camminando tra i quartieri di Sheikh Jarrah a nord e Silwan a sud, attraversando lungo la strada i vicoli della Città Vecchia. Ma anche durante i giorni in cui le cose si erano apparentemente calmate, come la lava che sembra essersi raffreddata in superficie ma è ancora incandescente all’interno, gli indicatori predittivi di grandi eruzioni a venire erano ovunque.

Due bravi ragazzi arrestati.

Abdul Khaliq e Mohammed Burnat, figli del noto attivista di Bil’in e leader della resistenza popolare, Iyad Burnat, sono stati arrestati e per giorni i loro genitori non hanno saputo dove si trovassero. Questi due bravi giovani sono stati rapiti da terroristi armati israeliani. Mentre attraversavano in auto Gerusalemme, sono passato davanti al Moskubiya, o Complesso Russo, dove erano detenuti. La Moskubiya è una famigerata prigione e centro di interrogatorio dove le autorità israeliane interrogano e torturano i palestinesi. Si trova nel cuore del centro di Gerusalemme Ovest, con caffè e ristoranti tutt’intorno pieni di gente che si diverte. Peccato che non si riescano a sentire le urla dei ragazzi torturati proprio dietro l’angolo.

Non riesco a immaginare cosa debbano passare i genitori di Abdul Khaliq e Mohammed. Sapere che i tuoi figli sono stati rapiti e ora vengono torturati, picchiati e minacciati senza che nessuno li sostenga o li aiuti e non esiste alcuna legge o autorità che possa fornire loro protezione! Se uno o entrambi dovessero essere uccisi o feriti permanentemente, non ci sarebbe possibilità di appello. È come una cerimonia di maturità che innumerevoli giovani palestinesi devono affrontare perché vivono dalla parte oppressa di un regime di apartheid.

Iyad Burnat con la sua famiglia. Twitter | @IyadBurnat

Una generazione di giovani avanza.

Solo pochi giorni fa ho trascorso una lunga giornata guidando attraverso il Naqab. La prima parte della giornata sono stato a Bir El-Saba per visitare la Corte Distrettuale sionista, dove si stava svolgendo un’udienza sulla sorte degli attivisti palestinesi del Naqab. Questi sono attivisti che erano stati picchiati da una folla israeliana e poi detenuti, e la Corte stava discutendo il loro possibile rilascio.

Più tardi quel giorno mi recai con gli amici al villaggio non riconosciuto di Sawawin. Volevamo incontrare un altro attivista locale che era appena uscito di prigione. Il Naqab, o Negev, come lo chiama Israele, è l’intera metà meridionale della Palestina, e i suoi 250.000 residenti palestinesi-beduini sono cittadini dello Stato di Israele ma godono di pochi o nessun diritto.

Dei quasi 250.000 palestinesi beduini del Naqab, circa la metà vive in “villaggi non riconosciuti.” Ciò significa che non ottengono alcun servizio. Non ci sono strade, qualcosa che stavo per scoprire da solo, così come niente elettricità o acqua corrente, nessuna scuola o struttura medica. Questo è lo stato di apartheid di “Israele”. Come punto di interesse, si stima che quasi la metà della popolazione di rifugiati nella Striscia di Gaza, così come oltre un milione di rifugiati in Giordania, provenga dalla regione del Naqab.

Mentre stavamo viaggiando lungo l’autostrada nella mia piccola Citroen a noleggio, mi è stato detto di rallentare e cercare un posto dove uscire dalla strada principale. Non c’era una strada, solo un luogo che i miei amici pensavano fosse l’inizio del percorso che porta a Sawawin e a molti altri villaggi palestinesi a cui lo Stato di Israele si rifiuta di fornire servizi. La popolazione totale in quella parte del Naqab è di circa 50.000 persone.

Abbiamo guidato senza una vera strada visibile, su sterrato ricoperto di rocce, salendo su colline e scendendo per burroni e non eravamo nemmeno sicuri se stavamo andando nella direzione giusta. Lungo la strada abbiamo superato altri villaggi non riconosciuti e abbiamo chiesto indicazioni: I miei amici, tutti palestinesi beduini, parlano in arabo con un accento che è unico del Naqab. Circa a metà strada mi è stato chiesto di iniziare ad andare più veloce, il mio ritmo molto lento e il sole al tramonto significavano che presto non avremmo visto nulla.

Mancavano circa 8 o 10 chilometri prima che raggiungessimo Sawawin. Il viaggio è stato lungo e tutt’altro che sicuro e abbiamo dovuto chiedere indicazioni tre o quattro volte. Non potevo fare a meno di pensare alla possibilità di un’emergenza medica. “Come farebbe un’ambulanza a raggiungere questo posto?” Ho chiesto. “Le ambulanze non vengono qui”, hanno risposto i miei amici. “Se c’è un’emergenza medica, i residenti devono trovare la strada per la via principale”.

Un bambino si arrampica sui resti di una casa demolita dalle autorità israeliane nel deserto del Naqab. Foto | Activestills

Sei anni e mezzo in isolamento.

Abbiamo raggiunto Sawawin mentre il sole stava tramontando. Entrammo in una struttura di blocchi di cemento dove una trentina di uomini erano seduti sul pavimento disposti in cerchio. Alcuni di loro avevano i loro figli rannicchiati accanto a loro. Abbiamo preso posto nel cerchio, la zona seduta coperta da un telo, su cui sono stati posti grandi cuscini per far sdraiare le persone, il tutto ricoperto da un panno in stile beduino. Fu servito caffè arabo, seguito da grandi vassoi di riso e pollo. Poi altro caffè, tè e sigarette.

Gli uomini parlavano del carcere e delle loro esperienze per mano delle autorità israeliane. Un leader attivista che era stato appena rilasciato si è seduto accanto a me. Ha raccontato la sua esperienza, che comprendeva sei anni e mezzo in isolamento. Era un prigioniero politico ma, a differenza della maggior parte dei prigionieri politici palestinesi, non proveniva dalla Cisgiordania o dalla Striscia di Gaza, ma era cittadino israeliano. Per paura che potesse influenzare gli altri fu tenuto in isolamento.

Cittadini con diritti?

A un certo punto ha parlato uno dei miei amici. Ha detto agli altri, molti dei quali sono stati arrestati solo per essersi trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato, alcuni di appena tredici o quattordici anni, dei loro diritti. Ha ricordato loro che i beduini palestinesi nel Naqab hanno la cittadinanza israeliana, il che significa che sono processati in un tribunale civile, non militare come i residenti di Gaza e della Cisgiordania. Ha ricordato loro che hanno il diritto di rimanere in silenzio e il diritto di vedere un avvocato.

Ha anche dichiarato che lo Stato aggira questi diritti designando i detenuti palestinesi come detenuti “di sicurezza”. Ciò significa che lo Shabak (Shin Bet), la polizia segreta, ha il diritto di trattenere i detenuti per lunghi periodi di tempo e di interrogarli senza che vedano un avvocato.

L’illusione della democrazia in azione.

Mentre il parlamento israeliano, la Knesset, giura in un nuovo governo per sostituire Benjamin Netanyahu, si può vedere l’illusione della democrazia in azione. È una democrazia per pochi, che continuano a governare e opprimere i molti. Mentre permangono molti punti interrogativi sul nuovo governo, come ad esempio quanto tempo ci vorrà prima che Netanyahu ritorni alla carica di Primo Ministro, una cosa è chiara: Mohammad e Abdul Khaliq Burnat, così come innumerevoli altri in tutta la Palestina, continueranno a combattere il regime di apartheid e pagare un prezzo pesante.

Miko Peled è uno scrittore e attivista per i diritti umani, nato a Gerusalemme. E’ autore di “The General’s Son. Journey of an Israeli in Palestine” e “Injustice, the Story of the Holy Land Foundation Five”.

Traduzione: per Invictapalestina.org di Beniamino Rocchetto.

(Foto di copertina: Bambini beduini giocano prima di una manifestazione per il 40º anniversario della Giornata della Terra e contro un piano israeliano per sradicare il villaggio di Umm Al-Hiran nel deserto del Naqab. Credito: Ariel Schalit|AP).