Due ex detenuti deportati a Gaza intervengono nella Giornata del prigioniero palestinese

Gaza – InfoPal. Dalla sua nuova sistemazione a Gaza, dove Israele l’ha deportata dopo 44 giorni di sciopero della fame, trova la forza Hana’ ash-Shalabi per esprimere parole di conforto per il resto dei detenuti palestinesi; per gli oltre mille che hanno proclamato lo sciopero della fame oggi e per gli altri 2400 che per 24 ore rifiuteranno i pasti.

Nata nel 1982, Hana’ fu arrestata a settembre 2009 con l’accusa di aver pianificato un’operazione di resistenza per conto del Jihad Islamico. Fu tra i palestinesi rilasciati ad ottobre 2011, nell’ambito dell’accordo di scambio raggiunto tra Hamas e Israele.

Fu riarrestata il 16 febbraio scorso e dopo il lungo sciopero e le condizioni per il suo rilascio imposte da Israele con la deportazione. Hana’ dice: “Non esistono parole per descrivere l’esistenza oltre le sbarre dell’occupazione. Confesso di aver seguito l’esempio di Khader ‘Adnan. Mi ha ispirata a protestare contro la detenzione amministrativa a cui Israele mi ha ‘condannata’, ma ho sperato di lanciare un messaggio globale contro tale pratica illegale.

“Non ho mai riconosciuto la decisione del tribunale israeliano di deportarmi a Gaza, e non nascondo il dolore per la distanza dalla mia famiglia a Jenin. Dal 1° aprile vivo a Gaza e da qui seguo con apprensione oggi le sorti di Khader ‘Adnan, aspettando da un momento all’altro di apprenderere della sua liberazione”.

Così conclude il suo intervento ash-Shalabi che inizia a Gaza un percorso di formazione universitario per la causa del Movimento dei prigionieri.

Hilal Mohammed Jaradaat, 24 anni di prigione in Israele, anch’egli rilasciato a ottobre nell’accordo di scambio, anch’egli di Jenin e, come Hana’ ash-Shalabi, deportato a Gaza.

Nato nel 1966, Jaradaat fu arrestato da Israele nel 1987 per coinvolgimento in attività della resistenza e fu condannato all’ergastolo per la morte di tre soldati dell’occupazione in uno degli attentati del capo d’imputazione.

Suo nonno combattè ai tempi di ‘Ezz id-Din al-Qassam, durante il periodo del mandato britannico sulla Palestina, e Jaradaat questo lo ricorda bene.

In occasione della Giornata del prigioniero palestinese 2012, il suo pensiero va a Khalil al-Wazir, alias Abu Jihad, vice comandante di Fatah nei giorni della lotta militare del Movimento di Liberazione palestinese. Abu Jihad fu assassinato a Tunisi dal Mossad, il 16 aprile 1988.

Nel dichiarare di sostenere ciecamente lo sciopero dei detenuti palestinesi contro le violazioni e le illegalità delle procedure israeliane di detenzione, Jaradaat confida alcuni particolari relativi al suo rilascio.

“Al momento della mia liberazione – tra l’altro l’avevo sognata poco prima – ero sopraffatto dall’ansia, anche altri miei compagni lo erano. Pensavamo che, attraversando il valico per entrare a Gaza dove ci stavano deportando, la resistenza palestinese sarebbe entrata in azione, e avevamo la sensazione che saremmo stati riportati indietro, in prigione.

“Allora – l’ho già detto in altre occasioni dopo il mio rilascio – la gioia si confondeva con la tristezza di aver lasciato dietro di me numerosi altri compagni, quanti restavano nelle prigioni”.

Jaradaat chiede alle fazioni compattezza e si dice convinto della falsità di certi assunti “volti a inquinare la purezza della causa nazionale palestinese con le critiche mosse alla vigilia di questa Giornata del Prigioniero palestinese, secondo le quali questo 17 aprile sarebbe una ricorrenza interna al Movimento di Hamas”.

“Tutti noi abbiamo bisogno di un grande denomintaore comune politico”, dice Jaradaat che nelle prigioni dell’occupazione ha studiato molto, fino a conseguire titoli di studio e dove ha imparato ben 8 lingue tra le quali l’ebraico, l’inglese, lo spagnolo, il persiano, il francese e il russo.

A Gaza, Jaradaat ha cercato di ricominciare, qui si è sposato con una palestinese del posto, e oggi cerca di recuperare i 24 anni di vita perduta nelle prigioni di Israele dove, ricorda bene, per 90 giorni consecutivi gli israeliani lo torturarono.

“Festeggiamenti e commermorazioni sono legittimi, solidarietà e monitoraggio verso i familiari dei detenuti sono necessari, ma ciò che conta sono anzitutto azioni concrete, mantenere la promessa di liberazione -, chiede Jaradaat –  farlo in patria e nel mondo, per il rispetto dei Diritti Umani dei detenuti palestinesi all’interno delle prigioni dell’occupazione israeliana, senza mai perdere di vista l’obiettivo complessivo, vale a dire la liberazione di tutti e il ripristino del Diritto alla vita”.