E così è finito anche il Falastin Festival 2020

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Di L.P. Purtroppo sono passato di sfuggita e, trovandomi a Roma, ho pensato che fosse giusto passare anche per poco tempo. Non ho assistito a nessun dibattito, nessun evento culturale, ma ho potuto girare nel piccolo spazio che è stato concesso.
In quel poco tempo mi sono anche reso conto di quanto fossero inutili e infantili le critiche che sono state sollevate contro il festival, soprattutto dalle comunità ebraiche:
“La Federazione delle associazioni Italia-Israele, appreso il prossimo svolgimento dal 1 al 4 ottobre pv al Giardino Verano San Lorenzo nell’ambito di codesto spett.le Municipio II Roma del “Falastin Festival” esprime profonda disapprovazione e ferma contrarietà alla partecipazione delle istituzioni e dei rappresentanti comunali a detta manifestazione. Lungi dal rappresentare un evento culturale, il Falastin Festival diventa manifestazione fortemente politicizzata e di sostegno a movimenti, come il BDS, che da sempre esprimono e istigano all’odio verso una nazione, lo stato di Israele che è una democrazia legittimamente riconosciuta nel consesso delle nazioni, verso i suoi cittadini, le sue aziende, la sua arte, la cultura, lo sport senza alcuna riserva od eccezione”.

Per quale motivo le istituzioni non avrebbero dovuto patrocinarla? Devono patrocinare solo gli eventi delle comunità ebraiche? Per quale motivo, secondo le associazioni sioniste, non è stato un evento culturale? Domande alle quale non ci sarà mai risposta. Ma soprattutto perché dovrebbe dare così fastidio un piccolissimo evento esteso su pochissimi metri quadrati e composto da due casette in legno per il ristoro, due palchetti per musica e incontri e cinque stand dell’ANPI di Roma, di progetti equo-solidali e di una libreria indipendente.

Perché dovrebbe dare fastidio un evento culturale snobbato e confinato alla periferia di Roma dimenticata da tutti? I palestinesi sono ormai abituati ad essere confinati letteralmente “fuori le mura” delle città, a differenza delle comunità ebraiche a cui vengono affidati luoghi come il Palazzo della Cultura a Roma per i propri eventi culturali con tanto di saluti istituzionali delle autorità civili. Un minimo di umiltà, modestia e un po’ meno classismo, quindi, non guasterebbero soprattutto quando c’è da aprire bocca su tema importanti.
Andando oltre, le dichiarazioni in critica al Falastin Festival, visto come luogo in cui dilagano le idee del Movimento BDS, risuonano come parole ipocrite e che mentono sapendo di mentire a partire dal fatto che è un movimento che si batte esclusivamente per il riconoscimento dei diritti fondamentali del popolo palestinese e dei cittadini palestinesi che vivono in Israele (che non godono, come affermato, di tutti gli onori); per il riconoscimento del diritto al ritorno dei profughi palestinesi come sancito dalla risoluzione 194 dell’ONU (che Israele non vuole rispettare); per la fine dell’occupazione coloniale israeliana delle terre palestinesi; e per la fine dell’apartheid razzista che Israele perpetra con l’esistenza stessa del Muro cisgiordano.

BDS è un movimento che si batte contro ogni discriminazione sociale, razziale, politica, religiosa, di genere, rifiutando l’antisemitismo, l’islamofobia e qualsiasi suprematismo razziale. A differenza di quanto si è detto, nessuna criminalizzazione, nessun antisemitismo e nessun odio nei confronti di Israele, ma pura verità. “L’odio antisemita” non appartiene al Falastin Festival e bastava andarci anche solo per pochi minuti per rendersi conto delle foto appese di Nelson Mandela, Vittorio Arrigoni, Martin Luther King, Mahatma Gandhi, John Lennon, Mario Luis Rodríguez Cobos e molti altri esponenti del movimento pacifista e neo-umanista per i diritti civili e sociali per capire quali fossero le intenzioni politiche del Festival.

Israele è una democrazia liberale, vero, che non rispetta il diritto internazionale e che in 70 anni ha organizzato un sistema di apartheid paragonabile a quello che i suprematisti bianchi applicarono in Sudafrica, come direbbe Naomi Klein, ed esattamente come la segregazione razziale dei bantustan deve essere sconfitta anche attraverso disinvestimento, boicottaggio e sanzioni. Se per le comunità ebraiche d’Italia questo è antisemitismo, noi rispondiamo che, seppur stanchi di ripeterlo, antisemitismo non è antisionismo. Il Falastin Festival, possiamo affermarlo con convinzione, è stato e rimarrà solamente anti-sionista e, se non fosse stato tale, sarebbe stata impossibile la partecipazione della Rete Ebrei contro l’Occupazione e dello stesso Moni Ovadia. Gli attivisti BDS, sostenuti in tutto il mondo da associazioni, chiese, sindacati e persino da organizzazioni ebraiche e israeliane, sono stati definiti da Amnesty International come “difensori dei diritti umani”. Che se ne facciano una ragione gli ebrei filosionisti italiani, i quali oggi difendono in Israele un governo d’estrema destra del Likud sostenuto da violatori dei diritti umani, sociali e civili di minoranze etniche (drusi, mizhrai, falasha) e religiose (cristiani gerosolimitani, musulmani). In tutto ciò il BDS era presente con un suo stand al Festival facendo informazione su quanto Israele e alleati vogliono oscurare.
Da due giorni il Falastin Festival è finito, ma credo che il nostro ruolo oggi, di militanti e attivisti è di essere costanti. Se danno così fastidio questi eventi culturali e “politicizzati” è giusto che si continuino a fare e a proporli su tutto il territorio italiano. L’ideale è che si continuino a svolgersi nelle periferie delle città, sempre più lontani dai centri della borghesia e sempre più vicini ai margini, luoghi dai quali si può avere una svolta per ricominciare.