“È il 2022 e viviamo nelle caverne”: i pastori assediati dai coloni in Cisgiordania si aggrappano ancora alla speranza

Theguardian.com. Di Manal Massalha. L’’impatto degli attacchi dei coloni sullo stile di vita e sui mezzi di sussistenza dei pastori palestinesi in Cisgiordania. (Da InvictaPalestina.org).

Attacchi e demolizioni nella Cisgiordania occupata da parte dell’esercito israeliano e dei coloni fanno sentire Mahmoud, un pastore, “sotto assedio”. Il pastore 58enne rischia lo sfratto dalla sua casa di Umm Fagarah a seguito di una sentenza dell’alta corte israeliana di maggio che ha stabilito l’allontanamento forzato degli abitanti da otto villaggi di pastori a Masafer Yatta, a sud di Hebron, per consentire l’addestramento militare. L’ONU afferma che sfollare le persone per far posto a un poligono di tiro potrebbe costituire un crimine di guerra.

“La pastorizia è la nostra principale fonte di sostentamento”, afferma Mahmoud.

Masafer Yatta ospita 1.144 persone, metà delle quali bambini. Come parte della più ampia comunità pastorale palestinese della regione, i pastori hanno vissuto qui nelle grotte e coltivato per generazioni usufruendo dell’accesso libero e senza ostacoli al pascolo e all’acqua.

Per due decenni la violenza è stata una caratteristica dell vita quotidiana con gli israeliani che hanno cercato e cercano di prendere il controllo delle Aree C, le sezioni più scarsamente popolate della Cisgiordania occupata che sono sotto il pieno controllo israeliano e minacciate di annessione. Con l’emergere del fenomeno del singolo colono-contadino, per cui i coloni israeliani stabiliscono avamposti illegali e rivendicano aree di terra, i palestinesi hanno  visto un’escalation degli attacchi. Circa 450.000 israeliani si sono stabiliti nella regione.

I pastori affermano di essere stati intimiditi, di aver subito percosse, di aver subito il furto di bestiame e di aver subito incendi ai raccolti e alle proprietà, vivendo in un costante stato di paura e ansia. Isolati dai pascoli e dalle fonti d’acqua, i pastori affermano che il loro modo di vivere è minacciato.

Umm Fagarah, che ospita 22 famiglie, è stato attaccato il 28 settembre. Tra due avamposti di coloni – Havat Ma’on e Abigail – la sua posizione lo rende “una spina nella gola dei coloni”, dice Mahmoud.

“Alle 11.30 del mattino, circa 40 coloni sono arrivati ​​nella nuova fattoria di Abigail”, dice Mahmoud. “Ciò che abbiamo sentito successivamente sono stati i coloni che inseguivano un pastore locale, i suoi due figli, di nove e cinque anni, e le loro 100 pecore. Quando abbiamo sentito il trambusto siamo corsi in loro soccorso. Eravamo disarmati. Sono scoppiati degli scontri”. Mahmoud dice che alcuni dei coloni avevano delle pistole.

“Abbiamo iniziato a lanciare pietre. Quando l’esercito è arrivato, eravamo preoccupati che ci attaccassero e ci arrestassero. Abbiamo fatto in modo di stare loro lontani”. Dice che l’esercito ha sparato contro di loro lacrimogeni e granate. Poi sono arrivate altre auto piene di coloni. “Eravamo circondati”.

Mahmoud dice che “hanno distrutto auto e finestrini, tagliato pneumatici di trattori e ci hanno aggredito nelle nostre case”.

Nove persone sono rimaste ferite, compreso un bambino di quattro anni. Cinque pecore sono state accoltellate e la proprietà è stata danneggiata. I terreni agricoli utilizzati per coltivare orzo, grano e lenticchie sono ora off-limits, dicono i pastori.

“Abbiamo allestito una tenda di guardia aperta 24 ore su 24”, afferma Mahmoud. “Nel giro di un mese la tenda è stata confiscata, ma non ci siamo arresi. Abbiamo creato un sito fatto di pneumatici.  Ci andiamo a turno per fare la guardia. Personalmente, questo attacco mi ha reso più determinato. Chiediamo protezione internazionale.

“Havat Ma’on e Abigail si stanno espandendo e sono collegate all’acqua, all’elettricità e alle strade, mentre noi  ci stiamo restringendo”, dice. “Siamo privati ​​ dei diritti di base: il diritto a una casa dignitosa, il diritto all’acqua.

“Non abbiamo infrastrutture e viviamo sotto lo spettro delle demolizioni e dei trasferimenti. Quattro dei miei figli e le loro famiglie hanno visto demolire le loro case nel 2020; 26 persone in totale sono state sfollate. Non  hanno avuto altra scelta che trasferirsi nella città più vicina, Yatta.

Waa’d, 27 anni, di al-Ganoub, nel sud di Hebron, dice: “L’intimidazione dei coloni è una routine. Anche nel santuario delle nostre case”. Dice che suo marito è stato aggredito nell’aprile 2021 da cinque coloni che lo hanno investito con il loro veicolo e sua figlia è rimasta traumatizzata dall’esperienza. “Quando sente passare un’auto, va nel panico, pensando che potrebbero essere dei coloni.

“La pastorizia sta diventando sempre più difficile. Dio solo sa come arriviamo alla fine del mese. Stiamo lottando.

“Quando ai miei figli viene offerto un lavoro, non possono accettarlo, non possono stare lontani da casa. Devono stare all’erta giorno e notte, a turno. È frustrante vivere sotto una continua pressione, nella paura costante, senza sapere quando sarà il prossimo attacco dei coloni e dell’esercito che li protegge.

“Siamo indifesi, non abbiamo nessun posto dove andare. Questa è la nostra casa e la nostra terra”, dice.

Tradizionalmente abitanti delle caverne, alcune persone hanno iniziato a costruire case man mano che la comunità cresceva e molti di più vorrebbero farlo. Tuttavia, qualsiasi costruzione in quest’area richiede l’autorizzazione israeliana.

Secondo Yesh Din, un’organizzazione israeliana per i diritti umani che monitora la violenza dei coloni, la polizia israeliana non ha indagato sull’81% delle denunce contro gli israeliani presentate tra il 2005 e il 2021. Più del 90% di tutte le indagini sono state chiuse senza accusa.

“Nel 2013, ero fuori a pascolare le mie pecore quando i coloni di Nof Nesher mi attaccarono, mi ammanettarono e poi chiamarono l’esercito per lamentarsi del fatto che fossi stato io ad attaccarli e avessi cercato di rubare le loro pecore”, dice Ziad, 64 anni, di Bir al ‘Idd.

“L’esercito mi consegnò alla polizia. Fui rilasciato solo il giorno successivo su cauzione. Dovetti pagare 2.000 shekel. Per sei anni, e due volte l’anno, ho dovuto rivolgermi a un tribunale [militare]. Il fascicolo è stato finalmente chiuso nel 2019.

“Non è stata la prima o l’ultima volta che sono stato accusato di essere l’autore del reato, non la vittima”, dice.

Ziad e sua moglie, Rateebih, sono soli a Bir al ‘Idd. Dicono che violenze e intimidazioni hanno costretto il resto della comunità ad andarsene.

Jumaa, 48 anni, di at-Tuwani, dice di essere rimasto zoppo dopo uno degli almeno 30 attacchi che ha subito. “Ho presentato alla polizia israeliana oltre 100 denunce per violenze da parte dei coloni. Tutto inutilmente. I coloni e l’occupazione rendono la vita amara.

“Cosa significa la vita quando ci si sente indifesi, quando non si possono difendere i propri figli? O la propria casa? Quando uno non può accedere alla sua terra?

“Giovani e vecchi sono terrorizzati”, aggiunge Jumaa. “I coloni si comportano come i signori della terra. Il loro scopo è quello di mandarci via. Ma questa è la nostra vita e la nostra terra. Siamo persone normali che vogliono una vita ordinaria, pacifica, giusta e dignitosa”.

L’aumento del costo della vita si aggiunge ai loro problemi. Mahmoud dice che il foraggio per il suo gregge di 100 pecore costa circa 350 shekel al giorn  rispetto ai 150 dell’anno scorso. “Nel 2018 ho avuto 350 pecore. Oggi ne ho solo 100. Dobbiamo venderle per coprire le spese e provvedere alle nostre famiglie. La vita è dura”, dice.

Secondo un rapporto pubblicato lo scorso novembre da B’Tselem – il Centro informazioni israeliano per i diritti umani nei Territori Occupati, ci sono quasi 290 insediamenti in Cisgiordania – 138 costruiti dal governo israeliano e circa 150 avamposti illegali.

Sebbene gli avamposti non siano ufficialmente riconosciuti, il governo fornisce ai coloni sicurezza, strade, acqua, elettricità e sussidi finanziari e più di un terzo si trova in tutto o in parte su terreni di proprietà palestinese. Circa 40 degli avamposti sono apparsi nell’ultimo decennio, per lo più allevamenti nel sud di Hebron.

Mahmoud dice che Havat Ma’on e Abigail si stanno espandendo. “Sono dotati di infrastrutture mentre noi siamo privati ​​delle basi e abbiamo ordini di demolizione e arresto dei lavori. Anche la cisterna dell’acqua ha un ordine di demolizione.

“È il 2022 e siamo ancora nelle caverne. Vogliamo vivere sopra la terra. Avere finestre e aria fresca, vivere comodamente”.

(Immagine di copertina: Una donna palestinese prepara un pasto per i suoi figli nella sua grotta in Cisgiordania [Mamoun Wazwaz/Apaimages]).

Traduzione di Grazia Parolari per InvictaPalestina.org.