Epidemiologia e conflitti armati: il caso della Striscia di Gaza

Epidemiologia e conflitti armati: il caso della Striscia di Gaza

Un modo di discutere di Gaza è partire dalla lettura dei dati messi a disposizione dall’Organizzazione Mondiale della Sanità[i]. Il numero di palestinesi deceduti a causa del conflitto dal 27 dicembre al 18 gennaio (stima del 20 gennaio, data del più recente aggiornamento) è di circa 1.300 persone di cui 410 bambini e 104 donne. Circa 5.300 persone sono state ferite di cui 1.855 bambini e 795 donne. Molti dei feriti avranno bisogno di cure a lungo termine. Circa 46.000 persone non hanno più un tetto e vivono in rifugi di emergenza. Sono stati uccisi complessivamente 16 operatori sanitari mentre svolgevano il loro lavoro e 22 sono stati feriti. Dal cessate il fuoco tutto il personale sanitario lavora in due turni di 12 ore in condizioni di lavoro rese difficilissime anche dai gravi danni che hanno riportato gli ospedali e altre strutture sanitarie a causa dei bombardamenti israeliani (34 strutture sanitarie, 8 ospedali e 26 centri di assistenza, sono stati danneggiati o distrutti). Degli 8 ospedali 2 sono tuttora fuori servizio; molte delle strutture sanitarie sono state bombardate a più riprese. Durante il conflitto OMS e ONU (bombardata anch’essa ripetutamente) sono state costrette a ricordare, senza sortire alcun effetto, che gli attacchi rivolti contro civili, contro personale e strutture sanitarie rappresentano gravi violazioni delle leggi internazionali umanitarie e dei diritti umani.

E’ importante sottolineare che gli effetti della guerra sulla salute non si arrestano con il cessate il fuoco. Anzi, solitamente i morti e feriti per effetti indiretti delle guerre rappresentano un multiplo di quelli provocati dagli effetti diretti. Tra i meccanismi indiretti più importanti sono da ricordare la distruzione o il danneggiamento del sistema idrico e di smaltimento dei liquami, delle centrali elettriche, degli alimenti (l’impianto più grande di produzione di farina e altre industrie alimentari, magazzini di viveri e terreni agricoli di Gaza sono stati distrutti), delle scuole, del tessuto produttivo e delle strutture del servizio sanitario. Inoltre gli ordigni non esplosi continueranno a minacciare la vita civile anche nel futuro, per non parlare dei danni psicologici subiti da migliaia di persone. Quello che invece si arresta con il cessate il fuoco è la conta dei morti associati alla guerra e quindi la possibilità di rendersi conto della vera entità dei danni a salute ed ambiente attribuibili al conflitto armato.

Da parte israeliana sono state uccisi 4 civili e 9 militari (di cui una parte da “fuoco amico”).

Questi dati parlano chiaro: lo squilibrio delle forze in campo tra attaccati ed attaccanti era talmente abissale da produrre la quasi totalità delle perdite nel campo degli attaccati. L’uso della parola “guerra” in questo contesto risulta persino fuori luogo. Si è trattato di una strage a danno quasi esclusivo della popolazione civile palestinese con gravi e ripetute violazioni delle più elementari norme umanitarie.

In questa situazione è diventato purtroppo necessario ribadire con forza che nulla può giustificare l’uccisione di civili, la punizione collettiva, la tortura, l’uccisione di medici o giornalisti o il bombardamento di strutture della vita civile come scuole, ospedali, ambulanze.

Inoltre la violazione di questi principi da parte di un belligerante non può in nessun caso giustificare la violazione degli stessi da parte dell’altro belligerante, come ha ribadito anche l’ufficio di coordinamento degli affari umanitari delle Nazioni Unite.

Si impone quindi la necessità di rifarsi continuamente alla legislazione internazionale (sia umanitaria che sui diritti umani, compreso quello alla salute) come quadro di riferimento ineludibile entro cui gli eventi passati e futuri vanno assolutamente ingabbiati e giudicati.

Un ruolo particolare nella difesa e promozione di questi principi spetta secondo un recente editoriale del Lancet[ii] proprio ai medici ed alle loro associazioni (che sono invece rimaste in deplorevole silenzio nel caso di Gaza), perché obbligati anche dalla loro professione di impegnarsi a favore della tutela della salute delle popolazioni civili esposte ai conflitti armati.

Infine in questa fase in cui molte risorse vengono mobilitate a livello internazionale per aiuti umanitari e per la ricostruzione di Gaza è importante aggiungere un’ulteriore riflessione. La causa remota alla base dell’attuale crisi umanitaria è rappresentata dall’occupazione illegittima dei territori palestinesi da parte di Israele. La richiesta di porre fine a questa occupazione deve essere un punto sull’agenda di chi veramente vuole aiutare investendo in un cambiamento e non nella ricostruzione delle inaccettabili condizioni di partenza. Altrimenti, come fanno osservare alcune ONG svedesi (tra cui il centro Olof Palme) in una lettera al proprio governo, gli aiuti umanitari rischiano alla lunga di perpetrare l’occupazione servendo ad Israele per continuare ad evadere le proprie responsabilità.

 

Gruppo AIE-Guerra

 



[i] http://www.who.int/hac/crises/international/wbgs/en/index.html

[ii] Violent conflict: protecting the health of civilians. Lancet 2009; 373: 95. DOI:10.1016/S0140-6736(09)60015-5

 

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