Essere disabili in Cisgiordania: niente soldi, niente assistenza.

Tulkarem – Ma’an. “Il dipartimento di Assistenza sociale mi ha detto di non legarla, però io devo farlo, per paura di come si comporta, o se cerca di scappare”, afferma la madre di Rahma, una ragazza disabile.

 

Fatima Abd el-Latif Ali, vedova, vive con Rahma (17 anni) a Tulkarem, nel comune di Deir al-Ghusun. Rahma è l'ultima di quattro figlie; tutte le altre sono sposate, e soffrono anche loro di diverse disabilità legate allo sviluppo.

Rahma viene immobilizzata per la maggior parte del tempo. Un panno di tela lungo due metri e mezzo le lega i fianchi a una sbarra della finestra, permettendole di raggiungere solo un materasso steso per terra. La stanza è sudicia e la casa è in pessimo stato.

La madre Fatima non lavora, non ha entrate. Esce di casa raramente, e solo per comprare da mangiare. Ha paura ad andare in macchina. Quando esce, aggiunge un altro pezzo di stoffa alla corda di tela per dare più libertà di movimento alla figlia.

Di conseguenza, Rahma (nome che in arabo vuol dire “pietà”) non ha mai avuto accesso a programmi di riabilitazione, e alla madre non è mai stato insegnato come convivere con una figlia disabile.

Nel 2007, Hazem Omar, impiegato del comune di Deir al-Ghusun, ha aiutato Fatima a godere delle indennità del Ministero degli Affari Sociali. La giovane riceve ora 1.000 shekel ogni quattro mesi (quasi 50 € al mese).

“Non è abbastanza – dice Omar riguardo alla cifra – Quello che alla ragazza serve è un istituto che intervenga e la aiuti a risolvere i suoi problemi; ha bisogno di sostegno, o di un centro di riabilitazione”.

Fatima, che ha perso il marito tre anni fa, ha anche cercato di risposarsi per aiutare Rahma.

“Pensavo che il mio secondo marito mi avrebbe aiutata a prendermi cura di mia figlia”, sostiene Fatima, aggiungendo però che “anche lui era diventato un peso per la famiglia”, cosa che l'ha spinta al divorzio.

La nuova casa in cui si è trasferita Fatima non ha acqua corrente, né gas da cucina. Dal proprietario apprendiamo che l'affito non viene pagato da mesi.

“Quando la slego, resta in piedi sulla porta di casa, viene tormentata dai passanti e i vicini la fissano – lamenta Fatima – A volte si toglie persino i vestiti!”

Un censimento del 1997 sulla popolazione, l'edilizia e la famiglia in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza rilevò la presenza di 15.567 minori che soffrivano cronicamente di uno o più tipi di disabilità, ovvero circa 11 minori su 1.000.

Il governatorato dove vive Rahma presenta inoltre la più alta percentuale di disabilità della Cisgiordania, con almeno il 2,3% degli individui diagnosticati come disabili.

Dall'altra parte, un report pubblicato nel 2002 dalla Banca mondiale citava decine di fattori responsabili dei bassi livelli di assistenza e servizi per disabili. Checkpoint e sbarramenti, ad esempio, “pongono degli ostacoli estremi, sia in termini di accesso da parte dei disabili stessi, sia da parte degli operatori che devono trasferirsi in qualche centro di assistenza sanitaria”.

Cure improbabili per Rahma

Rima Canawati, una specialista che da 17 anni lavora con l'Associazione araba di Betlemme per la riabilitazione, ha affermato che la situazione nell'area è “difficile, soprattutto per le donne”.

 

Il caso di Rahma è atipico, spiega, ma fin troppo comune. “In presenza di genitori single o disoccupati, o di madri anziane”, l'accesso ai servizi diventa più problematico, e prendersi cura dei figli disabili scivola in fondo alla lista delle priorità.

“In situazioni come questa, donne e ragazze disabili vengono confinate nelle loro case – rivela Canawati – poiché diventano bersaglio di stupri e altri abusi. (…) Le famiglie temono per le figlie, e hanno paura di che cosa accadrebbe se il loro onore venisse violato”.

Nei centri urbani, prosegue, si può accedere a una maggior quantità di servizi, e l'istruzione funziona. I giovani “vengono educati in modo da capire le condizioni dei loro figli, e c'è una maggiore attenzione sui servizi della comunità” che forniscono un ampio sostegno a chi è affetto da disabilità, in particolare legate allo sviluppo.

La Legge sulla disabilità del 1999 attende ancora di essere applicata dall'Autorità nazionale palestinese, e non esistono norme che regolino l'assistenza o la cura dei minori disabili.

Il report della Banca mondiale ha inoltre riferito delle lacune presenti nelle strutture per il trasferimento e l'assistenza in Cisgiordania e a Gaza, un aspetto notato anche da Canawati: “A Salfit esiste un centro gestito dal ministero degli Affari sociali, ma vi accettano solo fino a 13-16 minori”.

Ci sarebbero, aggiunge, quattro Case della pietà, “ma sono piccole e curano principalmente persone affette da disabilità multiple, e dalla mobilità molto limitata”.

Gran parte dei servizi disponibili, secondo Canawati, sono “diretti alla riabilitazione dei minori con leggere disabilità, e le case di cura sono per i disabili più gravi”. Rahma, trovandosi in una condizione intermedia, soffre così anche di uno svantaggio statistico.

È ancora la Banca mondiale a riportare che è più difficile ricevere assistenza per chi proviene da famiglie dal reddito basso: è il caso dei disabili nelle comunità rurali, delle disabili donne e di chi vive con un solo genitore.

“Sfortunatamente ho incontrato diversi casi simili a quello di Rahma nella mia vita – dichiara Canawati – Persino quando i genitori lavorano senza sosta per trovare una soluzione, o qualche aiuto, alcuni finiscono lo stesso per legare i figli, in modo da impedire che si facciano male”.

L'unica soluzione per Rahma, sostiene Canawati d'accordo con Omar, sarebbe una casa di riabilitazione. “Il governo dovrebbe però assumersi l'onere di pagare le cure”, aggiunge, visto che la maggior parte delle strutture è gestita da piccoli gruppi non-profit, dal budget molto limitato.

“C'è una clinica a Hebron che sembrerebbe perfetta per un caso come quello di Rahma”, conclude, ma è troppo costosa, e occorrerebbe chiedere l'intervento e l'assistenza del governo o di una qualche associazione di beneficenza locale.


 

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