Evacuazione doppia: palestinesi in fuga dalla violenza in Siria e poi in Libano

epa04894388 Palestinian gunmen from the  Fateh Movement takes position in the street during a clashes that erupted with the Islamist groups "Jund al-Sham in the Palestinian refugee camp of Ein el-Hilweh near Sidon southern Lebanon 22 August 2015. According to media a Heavy clashes started in the Palestinian refugee camp of Ein el-Hilweh yesterday 21 August 2015, which started when Islamist groups "Jund al-Sham tried to assassinate a commander of the mainstream Fatah movement and according to Lebanese security officials said the clashes killed four people and wounded 30. EPA / STR  EPA/STR (Newscom TagID: epalive791281.jpg) [Photo via Newscom]
Palestinian gunmen from the Fateh Movement takes position in the street during a clashes that erupted with the Islamist groups “Jund al-Sham in the Palestinian refugee camp of Ein el-Hilweh near Sidon southern Lebanon 22 August 2015. According to media a Heavy clashes started in the Palestinian refugee camp of Ein el-Hilweh yesterday 21 August 2015, which started when Islamist groups “Jund al-Sham tried to assassinate a commander of the mainstream Fatah movement and according to Lebanese security officials said the clashes killed four people and wounded 30. EPA / STR EPA/STR (Newscom TagID: epalive791281.jpg) [Photo via Newscom]
EI. Patrick O. Strickland. Riad Najem e la sua famiglia hanno subito due evacuazioni negli ultimi anni.
Sono scappati dal campo sotto assedio di Yarmouk, nella periferia di Damasco, nel 2013, per rifugiarsi nel campo libanese di ‘Ain al-Hilweh. La scorsa settimana hanno dovuto abbandonare anche questo campo a causa di combattimenti tra gruppi armati al suo interno.
Nella moschea Musalli – subito all’esterno del campo – Najem, sua moglie e le loro quattro figlie hanno dormito sul pavimento insieme ad altri in fuga dalle violenze.
«Non sapevamo dove andare» egli racconta. «Molte persone hanno trovato rifugio nella moschea, ma altre hanno dovuto dormire per strada».
Secondo i funzionari del campo, ‘Ain al-Hilweh, situata vicino alla città di Sidone, ospita circa 80 mila rifugiati palestinesi, dei quali 10 mila in fuga dalla guerra civile in corso in Siria.
La municipalità di Sidone – che ha offerto rifugio a più di 200 residenti di ‘Ain al-Hilweh la scorsa settimana – stima che il 90% delle persone evacuate dal campo erano palestinesi già evacuati dalla Siria.
Il più recente scontro a ‘Ain al-Hilweh – che ha visto opporsi membri di al-Fatah e gruppi di sinistra contro vari gruppi islamisti – è scoppiato il 21 agosto ed è terminato lo scorso giovedì con un cessate il fuoco.
Sei persone sono morte nei combattimenti, più di 70 residenti sono rimasti feriti e 3000 persone hanno evacuato il campo.
In tutte le entrate di ‘Ain al-Hiweh, militari libanesi controllano chi entra e chi esce 24 ore al giorno. Dentro il campo sovraffollato molti edifici portano i segni dei combattimenti. I muri sono ricoperti di fuliggine e sono danneggiati da proiettili, mentre giocattoli, tappetini per la preghiera e altri effetti personali giacciono tra macerie di cemento e cavi d’acciaio intrecciati.
Dopo due cessate il fuoco non rispettati, la popolazione locale spera che gli accordi di giovedì abbiano presa.

«Abbiamo sofferto abbastanza»
«Non voglio tornare nella mia casa, qui», dice Abu Muhammad Issa, un 57enne con tre figli rifugiatosi a ‘Ain al-Hilweh dalla Siria nel 2013. «Ho già perso un figlio nei bombardamenti dello Yarmouk, non voglio perdere altri bambini».
«Voglio mandare un messaggio alla comunità internazionale e al mondo: i palestinesi hanno già sofferto abbastanza», egli aggiunge. «Trovate una soluzione per noi. Abbiamo passato più di 60 anni di sofferenze e trasferimenti».
Issa si riferisce all’espulsione di 750 mila palestinesi dalle loro case in seguito alla Nakba, la pulizia etnica del 1948, attuata dalle forze sioniste. Molti di quei rifugiati si trasferirono in Siria e in Libano.
La famiglia di Issa è tra i 45 mila palestinesi che hanno lasciato il bagno di sangue in Siria per ritrovarsi a vivere in condizioni umilianti nei 12 campi profughi libanesi, dove il tasso di disoccupazione è alle stelle. Per decenni i palestinesi registrati come profughi sono stati banditi dalla pratica di decine di professioni. Sebbene queste restrizioni siano state formalmente abbandonate negli ultimi anni, ci sono ancora grosse limitazioni nella partecipazione palestinese alla forza-lavoro del Libano.
Nonostante il governo libanese applichi queste aspre misure a tutti i rifugiati palestinesi presenti sul territorio, coloro che provengono dalla Siria sono particolarmente vulnerabili. E per peggiorare le cose, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa), ha di recente sospeso l’indennità di 100 dollari loro dedicata per mancanza di fondi.

Poche Garanzie
Ci sono poche garanzie che i combattimenti non esplodano di nuovo nel prossimo futuro.
Abu Ahmed Fadel, un leader di Hamas nel campo, dice che i combattimenti hanno avuto inizio dopo che un gruppo salafita – composto di combattenti siriani e libanesi, il Jund ash-Sham, con collegamenti a gruppi islamisti in Siria – ha cercato di uccidere un membro di Fatah due settimane fa.
Hamas e altri gruppi, come il Movimento dei Muhajidin islamici, hanno lavorato negli scorsi mesi con altri gruppi di sinistra per schiacciare il Jund ash-Sham e altre fazioni armate salafite nel campo.
La collaborazione tra Fatah e i gruppi islamici è avvenuta nel corso di una coalizione conosciuta col nome di Forze di sicurezza congiunte palestinesi, formatasi nel marzo di quest’anno.
Ma fonti nel campo sostengono che la collaborazione sia stata interrotta in seguito al tentativo di uccidere Abu Ashraf al-Armoushi, un leader militare di Fatah, lo scorso 22 agosto. Il tentativo è avvenuto durante il funerale di un altro membro di Fatah, ucciso nel corso di un conflitto locale.
Ne seguirono scambi di fuoco tra Fatah e Jund ash-Sham. In luglio un importante membro di Fatah, Talal al-Urduni, venne ucciso.
Fatah rispose accusando tutte le fazioni islamiche in campo, compresa Hamas, di complicità nell’assassinio, secondo Jamal Khattab, leader del Movimento dei Mujahjidin islamici, e altri funzionari del campo.

Membri di Fatah e di altre organizzazioni di sinistra come il Fronte democratico per la liberazione della Palestina hanno combattuto molti gruppi islamici nel campo, secondo alcune fonti. Quando le battaglie si diffusero in tutta ‘Ain al-Hilweh, i civili vennero coinvolti nei tiri incrociati.
Riguardo il cessate il fuoco Fadel afferma: «Non posso dire che le cose si siano risolte, in quanto la situazione è ancora molto delicata e una soluzione finale dev’essere ancora raggiunta».
Intanto, però, il cessate il fuoco vede le Forze di sicurezza congiunte palestinesi compatte, e d’accordo a continuare a schiacciare le attività di Jund ash-Sham e di gruppi simili.
Il leader locale di Fatah, Munir Maqdah, responsabile delle Forze di sicurezza congiunte palestinesi a ‘Ain al-Hilweh, ritiene che Jund ash-Sham controlli più di 1/3 del campo.
Maqdah riferisce che gruppi umanitari locali hanno iniziato a riparare edifici e abitazioni danneggiate.
Con i loro averi, molti residenti hanno riattraversato i posti di blocco dell’esercito libanese e venerdì sono tornati nel campo, nelle loro case. In un parco di fronte a uno degli ingressi principali del campo, decine di famiglie evacuate hanno atteso sull’erba finché la violenza non sarebbe nuovamente esplosa.
Un civile evacuato, Abu Muhammad, la cui abitazione è stata distrutta durante i combattimenti, è arrivato qui all’inizio del 2014 dal campo profughi di Dar’a, nel sud della Siria, con la moglie e i loro sei figli.
«Non ho il denaro per aggiustare la mia casa», egli dice. « Oggi siamo andati a vedere in che condizioni si trovasse: è stata demolita. Mia moglie, scossa,  ha pianto. Non posso riportare lì i miei figli».
«Il pavimento della casa è ricoperto d’acqua, in quanto le condutture sono esplose, ed è stato colpito dai proiettili», egli aggiunge.
Egli critica il governo libanese per aver costretto i palestinesi di Siria a vivere in campi profughi sovrappopolati in Libano. «Era già difficile riuscire a pagare l’affitto di 250 $ al mese a ‘Ain al-Hilweh, ora non immagino quanto dovremo pagare per vivere fuori dal campo» egli dice.

Il mare è diventato «il nostro nemico»
La maggior parte dei palestinesi apolidi giunti dalla Siria non riescono a ottenere dalle autorità libanesi il permesso di residenza che legalizzerebbe la loro presenza.
A giugno, uscito dal campo per cercare lavoro come operaio edile, Abu Muhammad venne arrestato e incarcerato per 5 giorni dai militari libanesi a un posto di blocco.
«Vorrei poter avere qualsiasi nazionalità del mondo – non mi interessa quale – solo per essere sicuro che i miei figli possano avere un futuro», ci dice. «In Siria ho lavorato come ingegnere, e riuscivo a garantire un buon tenore di vita alla mia famiglia. In Libano non c’è lavoro per noi».
Con l’attuale minaccia di ulteriori violenze, e con il tasso di disoccupazione tra il 70 e l’80%, molti residenti di ‘Ain al-Hilweh hanno pagato migliaia di dollari per imbarcarsi e attraversare il Mediterraneo, con la speranza di ottenere asilo in Europa. In molti muoiono prima di arrivarci.
Nella moschea Musalli, Riad Najem sperava che i combattimenti non avessero costretto i suoi figli a prendere la decisione di partire. «Guardavo il mare, giorni fa, e lo maledii. Pensai ‘anche tu? Anche tu sei diventato nostro nemico’»?
«Non abbiamo già sofferto abbastanza?», si chiede Najem. «I nostri vecchi dovrebbero almeno poter rimettere piede ancora una volta in Palestina prima di morire».
Abu ‘Arab, un altro abitante del campo, nato e cresciuto a ‘Ain al-Hilweh, se la prende con il governo libanese per non aver fatto di più per impedire a gruppi come i Jund ash-Sham di portare i combattimenti dentro il campo. «Le forze libanesi hanno posti di blocco tutt’intorno al campo. Ma Jund ash-Sham ha tra i 100 e i 200 combattenti che vediamo continuamente nel campo».
I politici libanesi e i mezzi di informazione che li appoggiano incolpano regolarmente i palestinesi a ‘Ain al-Hilweh con l’accusa di garantire un luogo sicuro a tali gruppi. Ma i residenti del campo rifiutano queste accuse e chiedono sicurezza.
«Questa gente può entrare e uscire dal campo, mentre i civili (palestinesi dalla Siria) vengono arrestati per essere privi di documenti», dice Abu ‘Arab. «Dove sta la logica»?

Traduzione di Stefano Di Felice