E.I. Di Kelly Kunzl. Mazen Dweik era stato messo in guardia più volte dai membri dell’organizzazione dei coloni israeliani Ateret Cohanim.
Se si fosse rifiutato di vendere la sua casa nel quartiere di Batan al-Hawa, a Gerusalemme Est, ai coloni, questi si sarebbero assicurati che lui e la sua famiglia perdessero tutto in tribunale.
Il mese scorso, quella minaccia è diventata realtà quando un tribunale distrettuale di Gerusalemme ha confermato una sentenza a favore del gruppo di estrema destra per sfrattare tutti i 30 membri – inclusi 12 bambini – dalla residenza di Dweik.
I giudici hanno respinto l’appello finale, presentato a febbraio dalla famiglia, contro una sentenza di cessione dei pieni diritti di proprietà di Ateret Cohanim e mette fine a una battaglia legale durata più di un decennio.
“Se c’è un Dio più grande di me, allora resterò qui fino alla morte”, ha detto Dweik a E.I.
La famiglia ha vissuto nell’edificio di cinque piani da quando acquistò la proprietà, nel 1963, quando Gerusalemme Est era ancora sotto il controllo giordano.
Da quando la famiglia ha iniziato a ricevere avvertimenti, nel 2007, Dweik ha detto di essere stato contattato più volte da Barak Weinberg, presentatosi come membro di Ateret Cohanim e dipendente di un’organizzazione sorella, Midreshet Kedma.
Weinberg si è offerto di coprire i costi per un nuovo rene per Dweik. Offriva anche un notevole compenso per l’edificio, se la famiglia se ne fosse andata senza opporre resistenza.
La famiglia ora è stata citata in giudizio per circa 185.000 dollari, ha spiegato Dweik, l’importo che Ateret Cohanim afferma che gli debbano per l’affitto degli ultimi sette anni.
“Loro [i coloni] hanno tutte le abilità e le risorse per renderci deboli, finanziariamente ed emotivamente”, ha aggiunto Dweik.
Altre due famiglie, Shweiki e Odeh, residenti in altri due edifici a Batan al-Hawa, hanno ricevuto ordini di sfratto dopo una sentenza separata il mese scorso.
I 22 membri delle famiglie Shweiki e Odeh, che vivono nel quartiere da quando hanno acquistato proprietà negli anni ’60, il 29 novembre hanno ricevuto un avviso dalle autorità israeliane nel quale veniva chiesto loro di liberare l’edificio entro meno di cinque settimane.
Hagit Ofran, un rappresentante dell’organizzazione israeliana Peace Now, ha riferito a E.I. che Ateret Cohanim ha in programma di demolire gli edifici e sostituirli con unità abitative per soli ebrei.
Dall’inizio degli anni ’90, Peace Now ha documentato l’espansione degli insediamenti a Gerusalemme Est.
Dal 2015, Ateret Cohanim ha sfrattato da Batan al-Hawa 14 famiglie. Ofran ha inoltre detto che il gruppo dei coloni sta attualmente portando avanti decine di altre cause legali nello stesso quartiere.
Derubato e sfrattato.
Batan al-Hawa è un quartiere densamente popolato, di circa 700 residenti, che si estende solamente su 5.000 metri quadrati di terra.
Il labirinto di vicoli stretti e marciapiedi frastagliati possono sembrare modesti per un osservatore casuale.
In realtà, questo appezzamento di terreno fa parte del cosiddetto Bacino Sacro. Coprendo la Città Vecchia di Gerusalemme e i suoi dintorni, l’area è molto ambita dai coloni.
Batan al-Hawa si trova nel cuore di un quartiere più ampio, conosciuto come Silwan.
Ateret Cohanim ha iniziato i tentativi di sfratto a Silwan dopo aver ottenuto la fiducia di Moshe Benevisti, nel 2001.
Questa fiducia è stata costruita alla fine del XIX secolo da filantropi ebrei che fornivano alloggi gratuiti nel quartiere agli immigrati ebrei yemeniti, mentre l’area era ancora sotto il controllo ottomano. Rimase fino agli anni ’30, periodo in cui la Palestina era governata dalla Gran Bretagna, sotto il mandato delle Nazioni Unite.
Durante la rivolta palestinese contro il dominio britannico, negli anni ’30, le autorità britanniche hanno sfrattato gli yemeniti che vivevano lì.
Una volta avuta la fiducia, Ateret Cohanim è stata in grado di accedere ai registri dei terreni a Silwan che mostrano ancora il Moshe Benevisiti Trust come i proprietari registrati. Questi documenti hanno permesso all’organizzazione dei coloni di trarre vantaggio dalla discriminatoria Legge Legale e Amministrativa del 1970, che consente ai cittadini ebrei di reclamare le proprietà, trasferite sotto il controllo giordano dopo la guerra del 1948, impedendo al contempo ai rifugiati palestinesi di fare lo stesso.
Nel 2015, la famiglia di Abdallah Abu Nab è stata una delle prime famiglie palestinesi a Batan al-Hawa ad essere sfrattata da Ateret Cohanim. Essa è stata espulsa con la forza dalla polizia e citata in giudizio per oltre 155.000 dollari, un debito che ad oggi deve essere ancora saldato.
Altre famiglie a Batan al-Hawa hanno riportato resoconti simili di incontri con i dipendenti di Ateret Cohanim: offerte di ingenti risarcimenti monetari accompagnate da minacce.
“Solo un ricordo”.
Dal 2014 la famiglia Rajabi è impegnata in una battaglia legale con il gruppo.
“Hanno cercato di corrompermi con 1 milione di shekel (300.000 di dollari) per lasciare la mia casa in silenzio. Quando ho rifiutato, hanno minacciato di mettermi in prigione. Poi hanno mandato la polizia israeliana alla mia porta per cercare di arrestarmi, sostenendo che avevo aggredito fisicamente l’uomo che mi stava facendo causa”, ha detto Zuheir Rajabi, che vive in casa con sua moglie e quattro figli.
Mentre guardava i suoi figli crescere, Rajabi ha anche visto diventare il suo quartiere sempre più militarizzato. Decenni di scontri e innumerevoli arresti da parte delle forze israeliane che pattugliano le strade, hanno costretto Rajabi a trasformare il suo soggiorno in un rifugio di sicurezza ad alta tecnologia.
Quattro grandi schermi, che mostrano le riprese della telecamera di sorveglianza, occupano una delle pareti del soggiorno della casa.
Secondo Rajabi, i filmati che hanno archiviato si sono rivelati vitali per contestare arresti infondati, compreso quello di suo figlio.
Le famiglie Dweik, Shweiki e Odeh, nel frattempo, hanno pianificato di fare appello per la sospensione dello sfratto, nella loro prossima udienza presso l’Alta Corte israeliana.
Tuttavia, le loro possibilità di successo non sembrano buone.
“Se lo facessero sarebbe un miracolo”, ha riferito Hagit Ofran di Peace Now.
Le azioni di sfratto, da parte delle organizzazioni di coloni come Ateret Cohanim, fanno parte di un più ampio tentativo di ebraicizzare Gerusalemme Est, il quale gode del sostegno del governo israeliano e di un quadro giuridico chiaramente discriminatorio per i palestinesi.
Circa due mesi fa, la società Nahalat Shimon ha vinto le sentenze del Tribunale di Gerusalemme per sfrattare 25 persone, facenti parte di quattro famiglie, dalla loro casa in un altro quartiere di Gerusalemme, Sheikh Jarrah.
L’espansione degli insediamenti in tale area comprende anche scavi sotterranei per il progetto del parco della Città di David, e fa parte degli sforzi di Elad, gruppo di estrema destra, per espandere il turismo biblico nella Città Santa. La costruzione ha già causato gli sfratti di famiglie locali e ha lasciato le case palestinesi letteralmente fatiscenti, nel quartiere circostante di Silwan.
Sono stati annunciati, all’inizio di quest’anno, anche i piani per la costruzione di una funivia che dovrebbe trasportare i passeggeri dal Muro Occidentale nella Città Vecchia sopra Silwan e nella Gerusalemme Ovest, una mossa che secondo gli esperti cambierebbe drasticamente il paesaggio.
Mazen Dweik, parlando da un letto d’ospedale dove stava ricevendo la dialisi, ha poche speranze.
“La mia situazione sarà uguale a qualsiasi altro rifugiato espulso da casa sua”, ha detto Dweik. “Questo conflitto continuerà per generazioni, come è accaduto dal 1948, e noi saremo come quelle persone che parlano della propria casa solo come un ricordo”.
Kelly Kunzl è una giornalista americana freelance, che riporta informazioni sulla Palestina.