“Figlia di due culture, italiana e palestinese”

Di Yara Hmoud. Il 2 giugno, Festa della Repubblica, una festività importante per il mio Paese, l’Italia, ho riflettuto molto sulle mie origini. E ho pensato, “cavolo quanto sono fortunata! Sono figlia del Paese dove sorgeva l’Impero di Roma; figlia del Paese di Dante, di Michelangelo, del Rinascimento, di Cavour e di Garibaldi, di Falcone e di Borsellino. Sono anche figlia della terra delle tre religioni monoteistiche, la Palestina, contemplata da tutto il mondo per la sua magia e la sua bellezza, ma martoriata da 70 anni”.
A dirla tutta, sono proprio un mix esplosivo (in senso ironico ovviamente): una italo-meridionale-lucana-araba-palestinese-giordana, nata nel Nord Italia!
Mi sento così grata e ricca nell’essere figlia di mia mamma lucana e di mio papà palestinese.
E questa ricchezza la sento ancora di più quando vado a San Chirico Nuovo, un paesino in provincia di Potenza, dove ho passato metà della mia vita. Un paesino dove tutti si conoscono, dove tutti sanno di tutti e forse di più, dove le nonne stanno sedute sulle panchine a chiacchierare e a chiederti “a chi sei figli*?” quando passi loro accanto; dove l’allegria e la spensieratezza regnano incontrastate, tra l’aria pulita e il profumo dei campi. Qui ho trascorso molta della mia infanzia, passate tra le “botte mbrond” dei miei nonni, l’amore di mia zia, i “pettl” a Natale e la passione di mia nonna nel farmi ingrassare, o la infinita notte di San Rocco del 22 agosto con tutti i miei amici con la quale sono cresciuta. Nel suo piccolo, questo paesino lascia un amore immenso dentro di te, proporzionale al magone che ti squarcia il petto quando te ne vai. Ed è da qui che mia mamma negli anni 80, testarda, da buona meridionale quale era, decise di salire su al Nord, dove a Pavia, tra annunci “affittasi casa a italiani, NO terroni” e estati di lavoro a Rimini, frequentò l’Università per diventare una fisioterapista.
Tale ricchezza e gratitudine mi pervade quando salgo su un aereo direzione Amman, in Giordania, patria adottiva di mio papà e della sua famiglia che scapparono dalla città palestinese di al-Khalil, Hebron, dove mio papà nacque e crebbe, nel 1967, con la speranza comune fra tutti i Palestinesi di farvi ritorno; una speranza che si trasformò in illusione quando fu impedito loro di ritornare nella loro terra e nella loro casa perché ormai occupata.
Amman è un turbinio di vita e di colori. Tra auto che si mettono dietro all’ambulanza per passare più veloci, i dolci e magici adhan delle moschee, il profumo dell’arghilé e del pane con zeit (olio) e za’tar (timo), i venditori dei negozi che ti invitano ad entrare persuadendoti anche con una tazza di tè alla menta, o le mie zie e il loro “kulī ḥabībtī! (mangia tesoro!)” alla palestinese che condividono la stessa passione di mia nonna lucana per il cibo; il loro amore incondizionato per un fratello e la sua famiglia che abita lontano e vedono poco.  Amman è la città della luce e la mia seconda casa anche per il numero impressionante di Palestinesi, ex profughi come la famiglia di mio papà, che vi risiedono.
Proprio per questo, nonostante non abbia ancora visitato la Palestina, io mi sento più palestinese che giordana e così anche mio papà che negli anni 70 decise di prendere l’aereo in direzione opposta, verso l’Italia, e dopo Perugia e Padova si stanziò a Pavia dove, tra annunci “affittasi casa a italiani, NO terroni e NO stranieri” e il lavare i piatti ai ristoranti, studiò per diventare quello che è oggi, un bravo medico.
Sapete qual è la più bella sensazione? Se mi dovessero chiedere quale radice scegliere, non saprei rispondere. E’ una sensazione a doppio senso: quando sono qui in Italia metto bene in mostra e con orgoglio le mie radici palestinesi. Quando invece sono in Giordania mostro con fierezza le mie radici italiane.
Mi sento così orgogliosa, ricca e grata di essere figlia di due culture così diverse, ma unite, e di due paesi così importanti nella storia mondiale. Certo, come tutte le cose al mondo, vi sono pregi e difetti, punti di vista diversi. Ciò nonostante, la ricchezza che se ne ricava è un valore inestimabile.
Il rispetto nell’altro, l’orgoglio di essere portatrice di testimonianza di convivenza tra due mondi diversi, il battersi per la giustizia, la gentilezza e il coraggio sono i valori che i miei genitori mi hanno insegnato e per cui sarò sempre grata.
Perciò in un contesto in cui sembra resuscitare il pensiero della “razza pura”, mi sento in dovere di dire a tutt* gli/le italian* figl* di coppie miste come me o di coppie della stessa provenienza, che siamo nati in Italia o altrove ma cresciuti qui, di essere orgogliosi, di mostrare con fierezza chi siamo e i nostri sogni.