Fortunatamente abbiamo perso.

Da www.ilmanifesto.it del 17 agosto

Fortunatamente abbiamo perso
Generali incompetenti, il più inetto comandante in capo della storia, obiettivi nebulosi, avversari preparati: la disfatta dell’esercito è la prova che non esistono soluzioni militari Un esercito schierato per anni contro ragazzini che lanciano pietre, decade. Questa guerra lo conferma

Uri Avnery
Allora, che è successo all’esercito israeliano? La domanda viene ormai posta non soltanto nel mondo, ma nella stessa israele. C’è chiaramente un abisso fra le arroganti millanterie dell’esercito, in mezzo alle quali intere generazioni di israeliani sono cresciute, ed il quadro che si presenta con questa guerra.
Prima che l’intero coro di generali pronunci le sue prevedibili recriminazioni di venir accoltellati alle spalle («E’ l’esercito che ci ha legato le mani! I politici non ci hanno permesso di vincere! E’ tutta colpa del governo!») vale la pena di esaminare questa guerra da un punto di vista militare. I fatti parlano da soli.
Al 33mo giorno di guerra, domenica, il Partito di Dio era ancora in piedi e combattivo. E già questo è di per se incredibile: una piccola organizzazione di guerriglieri, di poche migliaia di combattenti, che tiene testa ad uno dei più potenti eserciti del mondo pronto a «polverizzarla» e che non si spezza nenache dopo un mese. E’ dal 1948 che gli eserciti di Egitto, Siria e Giordania vengono ripetutamente battuti in guerre assai più brevi. Se in un match di boxe un peso-piuma lotta contro un peso massimo e al dodicesimo round è ancora in piedi, la vittoria è sua, qualunque sia punteggio finale.
Alla luce dei risultati, le capacità tattico-strategiche di Hezbollah sono state decisamente migliori delle nostre che finora sono state primitive, grezze e brutali. Hezbollah si era chiaramente preparato bene per questa guerra, mentre gli ufficiali israeliani si erano preparati per qualcosa di diverso. Per quanto riguarda i singoli combattenti, quelli di Hezbollah non sono certo inferiori ai nostri soldati, in coraggio né iniziativa.
Le principali colpe ricadono tutte sul generale Dan Halutz. Parlo di colpe, attenzione, non di responsabilità. Halutz è la prova vivente che non bastano un ego gonfiato ed un atteggiamento da bruto per creare un competente comandante in capo. Semmai, è vero l’opposto. Halutz si è guadagnato la fama (o la notorietà) quando gli chiesero cosa si provi a sganciare una bomba da una tonnellata sopra un quartiere civile e la sua risposta fu: «Un lieve sbalzo delle ali». Dopodichè aggiunse che sì, la notte ci dorme sopra molto bene. Era la stessa intervista nella quale definì me ed i miei compagni «traditori che andrebbero processati».
Allora oggi, ancora una volta, alla luce dei risultati appare quanto Dan Halutz sia il peggior comandante mai comparso negli annali dell’esercito israeliano, un ufficiale di completa incompetenza. Ultimamente ha anche cambiato la sua divisa blu dell’Aviazione in una tuta verde dell’esercito terrestre. Troppo tardi: Halutz ha cominciato questa guerra con la spacconeria di un ufficiale di aviazione, uno che credeva si potesse distruggere Hezbollah con i bombardamenti aerei, semmai supportati dall’artiglieria navale e terrestre. Credeva che distruggendo città, quartieri, strade e porti del Libano i libanesi si sarebbero ribellati e avrebbero imposto al proprio governo di disarmare Hezbollah.
Per una settimana ha ucciso e devastato finchè non è apparso lampante a tutti che con tali metodi si otteneva soltanto il contrario, che Hezbollah ne usciva rafforzato, mentre gli oppositori del Partito di Dio ne uscivano indeboliti sia in Libano che nel resto del mondo arabo, che Israele rischiava di distruggere il sostegno mondiale di cui gode.
A questo punto, Halutz non ha saputo più che fare. Per tre settimane ha continuato a mandare soldati in Libano per missioni insensate e senza speranza, senza guadagnarne niente. Neanche nelle battaglie combattute nei villaggi sul confine ci sono state vittorie significative. Quando, dopo quattro settimane, gli è stato chiesto di inoltrare al governo un qualche piano di guerra, ne ha proposto uno di una trivialità da non credere. Se il nemico fosse stato un esercito regolare, il piano sarebbe stato soltanto sbagliato: limitarsi a spingere più lontano il nemico non costituisce esattamente una grande strategia. Figuriamoci poi quando dall’altra parte c’è una guerriglia: è semplicemente stupido. Porta alla morte di numerosi soldati per nessun risultato pratico. Dopodichè ha provato ad ottenere una vittoria di consolazione, occupando spazi vuoti più lontano possibile dal confine, dopo che già l’Onu aveva chiesto di interrompere le ostilità (in quasi tutte le precedenti guerre israeliane è capitato che tale richiamo venisse inizialmente ignorato nel tentativo di acchiappare in extremis più terra possibile). Aldilà di questo confine, Hezbollah è rimasto più o meno intatto nei suoi bunker.
Comunque, il comandante generale Dan Halutz non agisce nel vuoto. Benchè goda di un gran potere, è soltanto l’apice della piramide. Questa guerra stende un’ombra oscura su tutto lo strato superiore del nostro esercito.
Più di una volta ho ripetuto che un esercito che abbia continuato ad agire per anni da forza di polizia coloniale contro la popolazione palestinese («terroristi», anche le donne e i bambini), passando il tempo ad inseguire ragazzini che lanciano pietre, non può conservarsi pienamente efficiente. Questa guerra lo conferma.
Anche i servizi segreti sono stati corrotti dalla lunga occupazione nei territori palestinesi. Si sono abituati a poter contare sulle migliaia di collaborazionisti e spie arruolati in 39 anni di torture, tangenti e estorsioni (tossicomani in cerca di droga, disperati che chiedevano un permesso per visitare la madre moribonda, ingordi che volevano la loro fetta e così via). Chiaramente non c’è stato verso di trovarsi dei collaborazionisti da Hezbollah, e senza collaborazionisti i servizi sono ormai come ciechi.
E’ chiaro poi che l’intelligence, e più in generale l’esercito, non era preparato all’efficienza delle armi anticarro di Hezbollah. Incredibile a dirsi, ma stando alle cifre ufficiali sono stati colpiti più venti carri armati. Il carro Merkava è l’orgoglio del nostro esercito. Il suo creatore, il generale Israel Tal, non soltanto volle costruire il più avanzato dei tank al mondo, ma vole fornire alle proprie truppe la maggior protezione possibile. Adesso si scopre che bastano arsenali degli ultimi anni ’80, facilmente reperibili e in gran quantità, a far fuori i nostri Merkava e uccidere i soldati al loro interno.
Finita questa guerra, il comandante in capo delle forze armate va rimosso ed il corpo degli ufficiali superiori va rivisto. Ma per questo occorre avere un ministro della difesa, non una marionetta del comandante in capo.
Come gente di pace, noi siamo molto interessati a un cambio di guardia all’interno dell’esercito. Prima di tutto per il suo enorme impatto nella politica visto che, come abbiamo visto, dei comandanti irresponsabili possono facilmente portare il governo ad avventure pericolose. Secondo, anche se dovessimo raggiungere la pace avremo bisogno di un esercito efficiente – almeno sinchè il lupo non giacerà presso l’agnello, come disse il profeta Isaia (e non come vorrebbe la versione israeliana: "Non c’è problema, basta metterci un agnello nuovo ogni volta").
La principale lezione di questa guerra, aldilà di qualsiasi analisi politica, rimane nelle cinque parole che abbiamo usato come primo slogan all’inizio di essa: «Non ci sono soluzioni militari!» Neanche un esercito efficiente può sconfiggere una organizzazione di guerriglieri, perché la guerriglia è un fenomeno politico. Anzi forse è vero il contrario: più forte l’esercito, più moderni gli arsenali, minori sono le possibilità di vincere il confronto. Il nosto è un conflitto politico, al nord come al centro e come al sud, e può essere risolto soltanto per vie politiche. L’esercito è il peggior strumento che si possa proporre per questo.
La guerra ci ha dimostrato che Hezbollah è un avversario forte e che qualunque soluzione politica per il nord dovrà includerlo. E poiché anche la Siria è un alleato forte, dovremo includere anch’essa. Ed anche per loro deve valere la pena di raggiungere un accordo, altrimenti non durerà. Il prezzo è la restituzione delle Alture del Golan. Quel che vale per il nord vale per il sud. L’esercito non sconfiggerà mai i palestinesi, poiché una simile vittoria è del tutto impensabile. Se vogliamo il bene dell’esercito, dobbiamo tirarlo via dal pantano. E se questo verrà compreso dalle coscienze degli israeliani, qualcosa di buono da questa guerra ne sarà venuto.
(trad. annalena di giovanni)

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