Francesca Albanese al governo Meloni: “Gerusalemme capitale è l’arbitrio del più forte”


Il Manifesto. Francesca Albanese, Relatrice Speciale dell’Onu sui Diritti Umani nei Territori palestinesi occupati ha scritto una lettera precisa e chiarissima al Governo Meloni sul rischio di riconoscere Gerusalemme capitale d’Israele.

Presidente Meloni,
in occasione della visita in Italia del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, apprendo da quotidiani israeliani vicini al governo che il primo ministro chiederà alla controparte italiana di riconoscere Gerusalemme come capitale dello stato di Israele e di rafforzare la cooperazione economica tra i due paesi, soprattutto in materia di gas ed energie naturali.
In qualità di Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nel Territorio Palestinese occupato dal 1967, mi preme sollevare, in punto di diritto, l’assoluta inammissibilità di tale richiesta, in quanto chiede il riconoscimento di una situazione illegale (l’annessione di Gerusalemme) come contropartitra ad un’altra situazione potenzialmente illegale (il commercio di risorse provenienti dal territorio occupato).
Gerusalemme, che dal 1947 le Nazioni Unite considerano corpus separatum da amministrare a mezzo di una presenza internazionale, è considerata da Israele la propria “capitale indivisa”, e quindi annessa al proprio territorio, sin dagli albori dell’occupazione di Gaza e Cisgiordania (comprendente Gerusalemme) nel 1967.

Il diritto internazionale proibisce tassativamente l’annessione del territorio occupato. Tale illegalità è insanabile, poiché tocca uno dei cardini dell’ordine internazionale: il divieto di acquisizione territoriale attraverso l’uso della forza, pilastro portante della Carta delle Nazioni Unite. Tale divieto, sancito nelle Convenzioni di Ginevra e nello Statuto di Roma, è incessantemente riaffermato dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU (ultima risoluzione: 2234 del 2016).  L’assolutezza di tale norma risponde a un valore universale: che sia la forza del diritto e non l’arbitrio del più forte a definire i rapporti internazionali.
Lo stesso ordine giuridico vieta agli Stati di riconoscere nei propri rapporti gli effetti di un grave illecito internazionale, favorendone commissione o continuazione. Per questo il Consiglio di Sicurezza dell’ONU chiede agli Stati di astenersi dal riconoscere qualsiasi esercizio di sovranità israeliana su Gerusalemme, come ad esempio l’instaurazione di relazioni diplomatiche (e a revocarle qualora già intraprese). Ciò significa che se l’Italia decidesse di riconoscere Gerusalemme capitale dello Stato d’Israele, si renderebbe complice di un grave illecito internazionale. Così facendo l’Italia verrebbe meno al ruolo che l’art. 10 della propria Costituzione, che impone la conformità al diritto internazionale. La tradizione diplomatica dell’Italia ha storicamente dato prova di poter agire in modo imparziale, oggettivo, e costituzionalmente orientato, mantenendo solidi rapporti con lo stato di Israele, ma anche difendendo i diritti fondamentali del popolo palestinese, primo fra tutti quello all’autodeterminazione.
Quindi rifiutare la richiesta di Israele non solo è in linea con il diritto e la storia dell’Italia democratica, ma anche con l’attuale politica europea in risposta al conflitto  in Ucraina, anch’essa vittima di un’aggressione violenta e di un’occupazione illegale.
A tal riguardo, nel 2022, l’Italia ha promosso un piano di sostituzione  delle importazioni di energia dalla Russia, in linea con il diritto internazionale che obbliga gli Stati ad adottare contromisure politiche, economiche e diplomatiche per arginare gli effetti dei gravi illeciti internazionali. È dunque ragionevole confidare che lo stesso trattamento riservato alla Russia, portante sul diritto internazionale, venga applicato anche a Israele, dacché entrambi peccano della stessa condotta.
Inoltre, ciò che Israele offre come contropartita – gas e risorse naturali – va anche soppesato: parte del gas israeliano viene estratto dalle acque della Striscia di Gaza, nelle quali Israele limita l’accesso dei palestinesi, gli unici sovrani delle risorse naturali nella Palestina occupata. Il saccheggio costituisce un ulteriore crimine di guerra e una violazione del diritto internazionale.
Come il popolo ucraino, Presidente, anche quello palestinese a Gaza, in Cisgiordania e Gerusalemme, è sotto occupazione. L’occupazione israeliana – che  impedisce con violenza l’esercizio dei più elementari diritti ed insedia centinaia di migliaia di cittadini in territorio occupato – è ormai giudicata illegale da studiosi e organizzazioni internazionali. Alla posizione dell’Italia in merito, dunque, è affidato anche un messaggio ad altre potenze: se si rinuncia del tutto al diritto internazionale nei confronti di qualche stato, come faremo ad invocarlo contro chi, per ipotesi la Russia, decidesse un domani di trasferire 750.000 cittadini russi in Crimea o Donbas, e in virtù di quella presenza considerarle come parte eterna della Russia indivisa?
Questo articolo è stato pubblicato il 10 marzo dal quotidiano Il Manifesto