Free Gaza: ‘Ferite di pace’.

Di Vittorio Arrigoni, del Free Gaza Movement.

Ferite di pace

 Mi sono recato a sfilarmi i punti all’ospedale Al-Awda,
è rimasto sulla pelle scarificata a vita, un ricamino niente male (todà Israel),
come la dentatura di un vorace squale meccanico,
che da sempre infesta queste acque predando le sue vittime assiediate,
pescatori palestinesi.

Di quanto sangue innocente si è fatta pastura per la fauna ittica che popola le acque dinnanzi a Gaza?

Attendo impaziente che il mare plachi la sua ira,
e ci permetta di tornare al largo a pescare, a rivendicare il diritto violato,
diritto alla vita, quantomeno alla sopravvivenza per questa gente immersa nel suo legittimo spazio marittimo.

Ci sono variegate ragioni per cui usciamo a pescare coi palestinesi,
alcuni visibilmente concrete e vitali, altre dai connotati simbolici, ma non meno essenziali.
Una giornata al largo con noi, a detta dei pescatori equivale ad una settimana di ordinario lavoro, quando senza internazionali a bordo non si arrischiano a spingersi più di qualche miglia dal porto, dove il pescabile è miserevole, perché se lo fanno sono morti, feriti quando va bene.
Vale la pena ricordare che prima dell’assedio imposto da Israele, erano oltre 3.500 i pescatori professionisti lungo i 40 km costieri della Striscia a Gaza; di questi, oggi solo 700 continuano a impegnarsi in un settore che dava lavoro ad almeno 40.000 persone,  tra meccanici, pescivendoli e le migliaia di famiglie di pescatori locali, che oggi a stento sopravvivono.

Il giorno dopo una nostra battuta di pesca, il prezzo del pesce al mercato si vende a prezzo stracciato. C’è più offerta, i prezzi calano, più bocche si sfamano.

I proprietari di diversi pescherecci, prima del nostro arrivo, erano seriamente intenzionati a vendere le barche, per via del prezzo del carburante elevato, e nessuna prospettiva di reddito futuro. Ora, oltre a effettivamente contribuire a maggiori redditi, ci hanno comunicato più volte quanto il nostro supporto abbia funto a iniezione benefica di speranza, inoculata in una umanità che di speranza era in crisi di astinenza.

Oltre ai palpabili successi che le nostre azioni in mare ottengono, ve ne sono altri simbolici altrettanto edificanti come quelli pratici.

Con la Free Gaza e la Liberty abbiamo aperto il porto di Gaza, coi rudimentali pescherecci palestinesi cerchiamo ogni giorno di aprirne il mare, consapevoli che non è solo per i pescatori, ma per i palestinesi tutti, che ci attiviamo ostinatamente nel rivendicare il loro diritto ad una vita liberata dalla schiavitù della prigionia, l’assedio, il crimine contro l’umanità di cui si macchia Israele.

Se l’esercito israeliano, o il burattinaio che ne muove gli spinati fili in Israele,
ritiene d’avermi messo fuori gioco dopo la ferita che mi hanno inferto,
voglio dichiarare una cosa sola, poveri illusi.

Me, Darlene, Donna, Fiona, Jenni, George, Andrew,
dovrete ammazzarci tutti, prendervi la responsabilità dinnazi al mondo e a un Dio,
che nella Torah come nel Corano non giustifica in alcun modo l’omicidio di innocenti a sangue freddo.
Farci fuori tutti.

Mi piacerebbe riuscire ad interloquire coi soldati israeliani che ci attaccano ogni giorno, che ho scorto da così vicino da focalizzare il bianco nei loro freddi occhi, l’ultima volta quando mi hanno ferito; chiedere loro se davvero ritengono che sparare a dei civili disarmati, internazionali o palestinesi, mentre sopra vascelli palestinesi semplicemente pescano, in acque palestinesi, se tutto questo per loro significa davvero IDF, ovvero difendere lo stato d’Israele.

Come pacifista non me lo auguro in nessun modo, ma davvero non mi sorprenderei affatto se un giorno, uno di questi giovanissimi pescatori palestinesi, a cui Israele nega la speranza di una vita degnamente vissuta, collezionati lutti su lutti, di padri, amici, fratelli,
uccisi o feriti o seppelliti per anni in qualche inumana prigione israeliana,
dicevo non mi soprenderei se uno di questi decidesse di mollare le reti e imbracciare un kalashinikov.

Perché è questo che insegna Israele, con le sue navi da guerra, le incursioni, l’occupazione militare dei confini, ai giovani palestinesi di Gaza, imponendo l’assedio come punizione collettiva, negando diritti umani, Israele si fa responsabile della messa a rischio di tutta la sua cittadinanza, da Ashkelon a Tel Aviv, insegnando l’odio alle sue vittime innocenti,
impartendo ai palestinesi quotidiane lezioni di puro odio incancrinito.

Continueremo ad andare per mare, per nulla intimoriti dalle avvisaglie di terrore che la marina israeliana ci spara contro, finché la politica, l’attivismo di alto bordo, quella che si ritiene la società civile impegnata, la smettano di voltare così vergognosamente le spalle a quella che Nelson Mandela definisce "la questione morale dei nostri tempi".
Vogliamo dimostrare ai palestinesi che qui ci hanno adottati, che sussiste nel mondo ancora una minoranza di uomini e donne disposti a riscattare sulla propria pelle, ora cicatrizzata, tutta l’omertà e l’indifferenza di una maggioranza apatica dinnanzi a questa immane tregedia.

Io credo che siano tanti gli esseri umani ancora immuni al virus dell’indifferenza e all’egotismo, ovunque sul pianeta, e per questo che vi chiamo all’appello,
non lasciateci soli, non voltate le spalle dinnazi al vostro fratello succube di una profonda ingiustizia.

Venita a darci umano, o in qualche modo sosteneteci,
Da lontano siateci vicini.

Restate, restiamo umani.

Vittorio Arrigoni

blog:  http://guerrillaradio.iobloggo.com/ 
websites della missione: http://www.freegaza.org/
e   www.palsolidarity.org  

Per donazioni, o un qualunque sostegno, contatto: guerrillaingaza@gmail.com

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