A cura di Free Leonard Peltier Now Italy. Forse giustamente molti non hanno mai sentito parlare di quest’uomo, della sua vita e del caso giudiziario che l’ha coinvolto e di cui oggi sta ancora pagando caro. Eccoci dunque a raccontarvi la sua storia e la motivazione per cui ne chiediamo la scarcerazione.
Peltier nasce a Grand Forks, nel Dakota del Nord, il 12 settembre 1944, figlio di Leo Peltier, di origini per un quarto francesi e per tre quarti Chippewa, e di Alvina Robideau, di origini per metà Chippewa e per metà Lakota, e cresce in una famiglia di 13 fratelli e sorelle, nella “Anishinabe (Chippewa) Turtle Mountain Indian Reservation”. Il giovane Leonard Peltier diventa ben presto un attivista per i diritti dei nativi nordamericani ed entra nell’American Indian Movement (AIM), fondato nel luglio 1968 a Minneapolis, nel Minnesota, al fine di salvaguardare la sovranità degli nativi d’America, la loro cultura e spiritualità, ma che in seguito diventa un movimento che denuncia i numerosi episodi di aggressioni della polizia e di razzismo contro la popolazione autoctona americana, costretta ad abbandonare la sua cultura ancestrale.
Tutto ebbe inizio il 26 giugno 1975, a Pine Ridge, territorio degli Oglala Lakota, una delle riserve native più grandi e povere degli Stati Uniti. Erano tempi di forti tensioni sociali e scontri, dove avvenivano continue aggressioni alle comunità indigene, soprattutto da parte dei Goons, cioè bande armate formate da nativi stessi assoldate dal governo statunitense per reprimere le lotte di rivendicazione dell’AIM. Quel giorno, senza alcun preavviso, irruppe nella riserva un’automobile priva di targa con due uomini a bordo, che diedero inizio a un conflitto armato. In seguito si scoprirà che erano due agenti dell’FBI che stavano ricercando un nativo che aveva rubato un paio di stivali.
Nel giro di pochi minuti, arrivarono sul posto centinaia di altri agenti e la sparatoria che ne seguì lasciò a terra i due agenti, vittime della loro stessa probabile provocazione, oltre a un nativo. Sul nativo naturalmente nessuno si prese la briga di indagare, come avveniva regolarmente anche per la gran quantità di indigeni uccisi in quegli anni. Tra il 1973 e il 1975, infatti, ben 64 residenti di Pine Ridge erano stati impunemente assassinati con armi da fuoco, ma per i due agenti morti, invece, qualcuno doveva pagare. In quanto attivista dell’AIM, l’allora trentunenne Leonard Peltier divenne il capro espiatorio perfetto.
L’arresto di Peltier avvenne in Canada, il 6 febbraio successivo agli scontri di Pine Ridge, ma l’estradizione fu ottenuta con prove fasulle e falsate a tal punto che il governo canadese protestò formalmente per il modo truffaldino in cui era stata ottenuta l’estradizione. Nonostante un accurato rapporto balistico della stessa FBI rivelasse che i proiettili non potevano essere stati sparati dall’arma di Peltier, il destino dell’imputato Lakota era già segnato. Il processo infatti fu una farsa che ricalcò un copione già scritto, con prove inesistenti o costruite e testimonianze ritrattate.
Sono sorti vari interrogativi in merito alla colpevolezza di Peltier ed alla giustizia del processo. Diverse osservazioni sono state fatte da chi credeva all’innocenza di Peltier e tutte sono state contrastate dall’FBI:
- un agente dell’FBI che testimoniò che gli agenti seguivano un pickup sulla scena del crimine (veicolo che non può essere collegato a Peltier) è accusato di aver poi cambiato la sua versione per descrivere un furgone bianco e rosso, simile a quello che Peltier guidava;
- la giuria che condannò Peltier era formata da soli bianchi in una città, Fargo, storicamente anti-indigena e il processo venne presieduto da un giudice noto per il suo razzismo;
- dopo cinque anni, accurati esami balistici riuscirono a provare che i proiettili che uccisero i due agenti non appartenevano all’arma di Leonard, e molti dei testimoni che lo accusarono ritirarono le loro dichiarazioni, confessando di essere stati minacciati dall’FBI.
Inoltre, visto che nel 1975 l’FBI non registrava le conversazioni radio, c’è una discrepanza irrisolta tra gli agenti circa il dubbio che Williamson avesse detto di inseguire “un camioncino bianco e rosso” o un “pickup bianco e rosso”.
Nel 1976 Peltier fu condannato a due ergastoli, dopo un processo segnato da discriminazione e pregiudizio, dove venne accusato dell’omicidio dei due agenti dell’FBI, Ronald A. Williams e Jack R. Coler.
Centinaia di singoli cittadini, associazioni e comitati in tutto il mondo hanno sostenuto per decenni la causa di Peltier, raccogliendo milioni di firme e sottoscrivendo decine e decine o centinaia di appelli. Si sono occupate del suo caso anche personalità come Nelson Mandela, Fidel Castro, Desmond Tutu, il XIV Dalai Lama, Rigoberta Menchù Tum, Howard Zinn, artisti come Robert de Niro, Robert Redford, Robbie Robertson, Bruce Springsteen, Pete Seeger, Little Stevens, Harry Belafonte, Carlos Santana, Oliver Stone, associazioni internazionali come Amnesty International, agenzie stampa internazionali come Pressenza ed anche personalità della cultura e dell’attivismo italiani come Luisa Morgantini, Moni Ovadia, Padre Alex Zanotelli, Andrea De Lotto (del Comitato per la Liberazione di Leonard Peltier), Naila Clerici (docente di Storia delle Popolazioni Indigene d’America presso l’Università di Genova), Peppe Sini (Centro di Ricerca per la Pace, i Diritti Umani e la Difesa della Biosfera di Viterbo) nonché l’ex presidente del Parlamento Europeo David Sassoli, il quale il 23 agosto 2021 aveva annunciato pubblicamente con un video e con un tweet al presidente degli Stati Uniti la richiesta della grazia per il prigioniero Lakota.
Per la liberazione di Peltier si confidò persino nella sensibilità umana di due presidenti democratici: Bill Clinton e Barak Obama. Ben presto, dopo le minacciose proteste dell’FBI, Clinton si rimangiò le promesse fatte e si rifiutò di firmare; mentre Obama, nonostante lo stesso procuratore capo nel caso Peltier ed ex procuratore degli Stati Uniti, James H. Reynolds, lo avesse invitato a concedere la clemenza, affermando che il rilascio del prigioniero sarebbe stato “nell’interesse della giustizia”, la decisione del “premio Nobel preventivo per la pace” è stata invece quella di mettere una pietra tombale sulla vicenda del leader dell’AIM.
Reynolds, nel 2021, ha scritto a Biden dicendo: “Scrivo oggi da una posizione inconsueta per un ex pubblico ministero, per supplicarvi di commutare la pena di un uomo che ho contribuito a mettere dietro le sbarre. Con il tempo e col senno di poi, mi sono reso conto che il procedimento giudiziario e la lunga incarcerazione del signor Peltier erano e sono ingiusti”.
La richiesta di libertà vigilata per Peltier era stata già respinta nel 2009 e, a seguito di un’udienza iniziata il 10 giugno 2024, la Commissione Federale Statunitense per la Libertà Vigilata l’ha nuovamente respinta. Con ogni probabilità, a causa dell’età del leader indigeno, quella era l’ultima possibilità per chiedere la libertà. Ora la palla passa al presidente Biden, che si è impegnato a emettere provvedimenti di clemenza o di commutazione durante il suo mandato e alla sua fine.
L’assurda vicenda di Leonard Peltier verrà ricordata come un motivo di vergogna per un sistema giudiziario intriso di razzismo, discriminazione e corruzione, dove l’FBI ha potuto impunemente imporre la propria arbitraria, ingiusta decisione, con la complicità di tutti i presidenti statunitensi che si sono succeduti.
Come giornalisti, mediattivisti e personalità della cultura abbiamo creato il coordinamento Free Leonard Peltier Now Italy con il fine di far pressione a livello nazionale per dare visibilità sul caso del “Mandela dei diritti dei popoli indigeni” affinché nasca una massa critica che, su modello di Assange, si mobiliti per la liberazione di Leonard Peltier, prigioniero politico Lakota Sioux recluso ingiustamente da quasi mezzo secolo nelle carceri USA senza un giusto processo.