Freedom Flotilla Press contro i crimini israeliani e la violazione della libertà di stampa.

Istanbul. Di Angela Lano.

“Flotilla Free Press”: si chiamerà così il comitato che raccoglie i giornalisti che hanno fatto parte della Freedom Flotilla attaccata da Israele il 31 maggio scorso.

Giornalisti da tutto il mondo si sono ritrovati il 13 luglio a Istanbul, in Turchia, per definire una piattaforma di azioni giuridiche e politiche comuni da intraprendere contro lo stato israeliano a seguito del criminale assalto alla flotta umanitaria.

“Sono passati 43 giorni dal sanguinario raid compiuto dall'esercito israeliano in acque internazionali – hanno dichiarato i giornalisti nel comunicato stampa diffuso ai media turchi e internazionali -. Durante questo attacco alle navi della Flotilla, 9 persone, tra cui un giornalista, sono state uccise.

Siamo qui oggi come sopravvissuti di questo attacco, e come giornalisti che non sono stati messi a tacere dai proiettili israeliani. Su quelle navi partite per portare aiuti umanitari a Gaza c’erano una sessantina di membri della stampa provenienti dalla Turchia e da tutto il mondo.
Il raid israeliano condotto all’alba ha preso di mira sia giornalisti sia gli altri civili. I membri della stampa hanno visto in faccia la morte, come tutti gli altri sulla nave. 

I soldati saltati illegalmente a bordo della nave hanno aperto il fuoco per ordine del ministero della Difesa israeliano, che ci ha impedito inoltre di svolgere il nostro lavoro. In realtà, siamo stati puniti proprio perché stavamo facendo il nostro lavoro. Questa è una chiara violazione del diritto internazionale.

Secondo lo “Strumento internazionale per la Cittadinanza e diritti civili” siglato dalle Nazioni Unite nel 1966, e la “Prima dichiarazioni di principi riguardante la diffusione di massa dei Media”, preparata dall'‘UNESCO, e che sanciscono il principio della “libertà di fornire informazioni da parte dei giornalisti (…)”, la libertà di stampa e di veicolare informazioni sono state chiaramente violate da Israele. 

(…)  Uno dei nostri colleghi giornalisti, Cevdet Kılıçlar, è stato giustiziato senza pietà con una pallottola in fronte, mentre stava adempiendo ai propri doveri di giornalista. 

Dopo il sanguinoso raid, la nostra dignità umana è stata completamente ignorata: siamo stati costretti a stare in ginocchio sotto il sole cocente, con le mani legate dietro la schiena. E' stata una palese violazione dei nostri diritti umani. La nostra libertà di informare è stata completamente ignorata. Trasmissioni in diretta e tutte le altre forme di comunicazione con il mondo esterno sono state interrotte e la nostra connessione satellitare è stata bloccata. I nostri computer, fotocamere, memory cards, in breve, tutte le attrezzature necessarie per svolgere il nostro lavoro, sono state illegalmente sequestrate, rubate. La stragrande maggioranza di questi oggetti non sono stati restituiti e i pochi che lo sono stati, sono stati distrutti e resi assolutamente inutilizzabili.

Oltre a questo, tutte le nostre cose personali – libri, vestiti, scarpe e persino gli spazzolini da denti sono stati rubati. Alcuni dei nostri soldi e passaporti sono stati sequestrati con forza e mai restituiti.  

Inoltre (…) ci hanno messo le manette ai polsi. Siamo stati illegalmente interrogati più e più volte, come se fossimo dei criminali. Abbiamo dovuto sopportare umilianti perquisizioni fisiche per evitare che qualsiasi immagine dell'attacco potesse raggiungere il mondo esterno. Né le nostre credenziali giornalistiche né la nostra appartenenza ad associazioni di stampa nazionali e internazionali sono state riconosciute e rispettate. Ci è stato detto più volte, e nel più duro e rozzo modo possibile, che essere giornalisti non significava nulla. Siamo stati detenuti illegalmente in prigione per due giorni. Durante questo tempo non ci era permesso di comunicare con le nostre associazioni stampa, con i datori di lavoro o anche con le nostre famiglie. (…) Non potevamo né ricevere informazioni dal mondo esterno né inviare informazioni fuori.

(…) I diritti e le libertà che sono garantiti da accordi internazionali sono stati ignorati, non rispettati e trattati con disprezzo da parte di Israele. Lo Stato di diritto, uno dei valori comuni a tutta l’umanità, è stato ignorato. Non possiamo e non dobbiamo rimanere in silenzio. Né come esseri umani né come membri della stampa. Dobbiamo proteggere i diritti che sono stati ottenuti con il sacrificio di molti e di cui oggi siamo in grado di beneficiare.

E’ per tutto questo che abbiamo creato la Flottiglia Free Press (FFP). Sul nostro sito condivideremo gli sviluppi e le notizie su quanto è successo a noi come giornalisti in quella notte di sangue, e le misure che si stanno adottando per garantire i nostri diritti.  

Abbiamo studiato i nostri diritti nel quadro del Diritto internazionale. Abbiamo avviato azioni legali con i nostri amici giornalisti provenienti da tutto il mondo.

Come giornalisti, porteremo avanti queste azioni fino alla fine, facendo causa a Israele per danni psicologici e materiali ai sensi del diritto nazionale e internazionale, in modo che i colpevoli di questo odioso crimine contro l’umanità, questa macchia sulla storia umana, siano puniti e consegnati alla giustizia.

In conformità con le informazioni che abbiamo ricevuto dai nostri avvocati sullo status giuridico di questa azione, riteniamo utile condividere con voi le nostre interrogazioni presentate sia alle Nazioni Unite sia al governo di Israele: 

1 – Secondo gli accordi internazionali, vi è un divieto di intercettare le barche in mare aperto. In primo luogo, l’evento si è verificato in acque internazionali che sono appunto in mare aperto. Secondo l’”Admiralty Law Contract” sul “mare aperto” delle Nazioni Unite, del 1958 e del 1983, le acque internazionali non appartengono ad alcuno Stato. Vige il principio della libertà di mare aperto. Il governo israeliano che ha emesso un ordine di attacco e coloro che lo hanno eseguito hanno commesso un crimine intercettando e attaccando la nostra nave, violando accordi e trattati internazionali. Essi devono essere ritenuti responsabili e portati di fronte a tribunali internazionali indipendenti. (…)

2 – Israele ha violato le leggi internazionali, sequestrando le nostre attrezzature tecniche. Lo stato israeliano deve immediatamente restituire queste apparecchiature ai giornalisti.
 

3 – L’attacco al Marmara Mavi è stato un attacco contro la libertà di stampa. L’evento deve essere studiato da una commissione internazionale obiettiva sotto la supervisione delle Nazioni Unite. Il governo israeliano deve pagare un risarcimento a coloro che hanno subito in questo evento o ai loro famil
iari.
 
4 – Lo stato israeliano ha usato una forza sproporzionata e ha ignorato le leggi che impediscono l’uso intenzionale della forza contro i giornalisti e civili.  

Non c’erano armi sulle navi. Al contrario c’erano medicine, alimenti, attrezzature ludiche per bambini, e altri aiuti umanitari. E Israele lo sapeva. Le Nazioni Unite devono intraprendere diverse azioni, comprese quelle economiche contro Israele. Sia le Nazioni Unite sia il Consiglio di sicurezza devono fare i conti con questa situazione. Questo incidente deve essere condannato duramente dal Consiglio di Sicurezza.

5 – Allo stesso modo, le associazioni di stampa internazionale devono lavorare a un progetto di risoluzione volto a censurare il governo israeliano, che ha impedito ai giornalisti di svolgere il proprio lavoro.

Persisteremo nelle nostre richieste alla comunità internazionale.
Continueremo nella nostra lotta per garantire la libertà di stampa e per impedire che i giornalisti vengano attaccati mentre svolgono il loro lavoro.
Continueremo a raccontare la verità.
Non saremo messi a tacere.

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