Furto di terre in una cittadina della Cisgiordania.

Cisgiordania. Le autorità israeliane hanno confiscato 300 dunum [30 ettari circa, ndr] di terra palestinese a Beit Jala, cittadina a maggioranza cristiana nella provincia di Betlemme, per completare la costruzione del Muro di separazione: lo ha riferito ieri Khalid Azza, capo del Comitato anti-Muro di Betlemme.

Secondo Azza, una volta che il Muro sarà terminato Beit Jala verrà isolata dal vicino villaggio di al-Walaja, un atto di “terrorismo e pirateria ai danni della terra palestinese”.

“Proseguendo con la costruzione del Muro a Beit Jala – ha continuato – il governo israeliano crocifiggerà la cittadina, proprio come fu crocifisso Gesù Cristo.”

L'Alta corte di giustizia israeliana ordinò nel 2004 lo stop ai lavori, ma, come ha commentato Azza, il governo “dà un colpo di spugna” a tutte le risoluzioni e continua a sfidare la comunità internazionale.

Bulldozer israeliani a Beit Jala

Decine di attivisti palestinesi e internazionali si sono radunati mercoledì scorso nei pressi di Betlemme per protestare contro l'abbattimento degli ulivi vicini al Muro, il cui tracciato si snoda attraverso la Cisgiordania occupata.

Secondo alcuni testimoni, le forze israeliane hanno respinto con relativa violenza i manifestanti che tentavano d'impedire ai bulldozer di avvicinarsi agli alberi. Diversi dimostranti sono stati trascinati via con la forza dopo che si erano rifiutati di andarsene, ma non si hanno notizie di feriti.

“Siamo giunti qui con i nostri amici attivisti per dire basta agli assalti alle terre coltivate, agli alberi sradicati e alle persone cacciate dalle loro case!” sono le parole di Marwan Sha'ban, del Comitato popolare contro le colonie a Betlemme .

Sha'ban ha definito illegale qualsiasi costruzione eretta sulle terre altrui, e ha accusato il tratto di Muro passante da Beit Jala di essere un affronto alla legge, ricordando le precedenti osservazioni al riguardo di Fayyad Nasser – l'avvocato che rappresenta il comune di Beit Jala.

Le autorità israeliane, sostiene infatti Nasser, hanno cominciato a spianare la terra solo poche ore dopo aver avvertito le autorità. In base alla legge israeliana, invece, ai proprietari terrieri dovrebbero essere concessi 40 giorni per fare appello contro la decisione.

Secondo il Comitato popolare, le autorità israeliane stanno svolgendo i loro “lavori” in un'area di 300 dunum, che include più di 2.000 alberi d'ulivo, tutti di proprietà dei palestinesi di Beit Jala. Sha'ban ha quindi annunciato che, nella stessa giornata di mercoledì, il comitato si sarebbe riunito per discutere le misure da prendere al riguardo.

Dall'altra parte, una fonte della sicurezza israeliana ha rivelato a Ma'an che l'operazione è stata interamente coordinata con le forze di sicurezza dell'Anp. La fonte è stata però smentita dall'Amministrazione civile israeliana, un ramo del Ministero della Difesa che monitora le questioni civili nei Territori occupati.

Un portavoce dell'Amministrazione civile ha infatti replicato che non c'è stata alcuna collaborazione con l'Anp nella specifica operazione a Beit Jala, sebbene il coordinamento con l'organo palestinese rimanga forte in generale, e a Betlemme in particolare. Ha quindi aggiunto che le forze dell'Anp non hanno giurisdizione nell'area della cittadina.

Zona militare chiusa

Martedì scorso, le forze israeliane hanno dichiarato l'area “zona militare chiusa” a sostegno dell'operazione, com'è stato riferito dai testimoni. A giornalisti e cameraman è stato proibito l'accesso, dal momento che la chiusura si estende di solito anche alla copertura mediatica.

I bulldozer hanno iniziato i lavori nelle terre vicino al Monastero Cremisano, e a riportarlo è Leila Awad, la cui abitazione è l'unica nella zona. Come ha dichiarato lei stessa a Ma'an, Awad è rimasta sorpresa vedendo i bulldozer accompagnati dalla polizia che sradicavano gli ulivi, i noci e i limoni di sua proprietà. La casa di Awad è minacciata di demolizione insieme a quelle di altre 35 famiglie, secondo il comune.

Dal canto suo, Israele continua a sostenere che lo scopo del Muro è prevenire gli attacchi esterni. I palestinesi, al contrario, lo considerano un furto di terre, dato che annette un buon 10% del territorio cisgiordano, includendo diverse colonie costruite su terra palestinese.

Nel 2004, la Corte internazionale di giustizia dell'Aia decretò che il Muro, se costruito secondo i progetti israeliani, causa inutili sofferenze alla popolazione civile, non si può giustificare con questioni di sicurezza, e viola la legge internazionale.

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