“Gaza è la prova del cambiamento spesso promesso ma mai realizzato”

Memo. Di Daud Abdullah.

Nel marzo 1996, i capi di 29 paesi si incontrarono nel resort egiziano di Sharm El Sheikh per un “Summit dei Conciliatori”. Co-ospitato dal presidente egiziano Hosni Mubarak e dal presidente americano Bill Clinton, il suo scopo era quello di formulare un piano di pace per porre fine al conflitto in Palestina e iniziare il processo di creazione di uno stato palestinese. Clinton disse che il summit era stato “testimonianza e promessa di un cambiamento positivo in questa regione”. C’era, in effetti, una promessa, ma mancava la prova del cambiamento. Tuttavia, con l’ultimo bombardamento di Gaza da parte di Israele, la vera prova è finalmente emersa.

Mentre tutti i paesi arabi, con l’eccezione della Siria e del Libano, partecipavano al summit di Sharm El Sheikh per condannare la resistenza palestinese, nel 2012 si riunirono a Gaza, durante il blitz di Israele, per proclamare il loro appoggio alla resistenza palestinese. Gaza è la prova del cambiamento che è stato spesso promesso ma non è mai stato realizzato, finora.

Mentre si impegnava a porre fine ad ogni violenza, l’ultimo presidente palestinese, Yasser Arafat, disse ai “conciliatori” che “il nostro sogno di libertà e indipendenza non potrà mai prosperare nel mezzo di un mare di lacrime e sangue”. Incoraggiò Israele a porre fine alla sua politica di chiusura della Cisgiordania e di Gaza. “La punizione collettiva non è mai stata lo strumento appropriato per garantire sicurezza e stabilità”, disse.

Sharm El Sheikh ha offerto a Israele e a coloro che lo appoggiano un’altra opportunità per onorare le proprie promesse e riconoscere i diritti dei palestinesi. Non è stata la prima volta che Israele l’ha sprecata riscrivendo ogni accordo e rifiutando le offerte di pace arabe e palestinesi. Per di più, Israele ha fatto il passo più lungo della gamba quando Netanyahu ha deciso di ordinare l’assassinio extragiudiziale di Ahmad Al-Jaba’ri, il 14 novembre.

E’ stato chiaro fin dall’inizio che Israele non avrebbe raggiunto nessuno dei suoi obiettivi militari o politici nella Striscia di Gaza circondata dalle sue truppe. I suoi leader avevano sottovaluto, con loro grande costernazione, la fermezza del nuovo governo egiziano e lo stato d’animo generale nella regione.

La visita del primo ministro egiziano Hisham Kandil sarebbe stata di per sé sufficiente a far arrivare quel messaggio agli israeliani. Tuttavia, la visita trasversale guidata dal capo del partito Libertà e Giustizia, il dottor Sa’ad Katatni, è stata probabilmente ancora più significativa e rivelatrice.

Da una Gaza colpita e devastata, Katatni ha detto che la loro scelta strategica è la scelta della resistenza e che “siamo con i nostri fratelli palestinesi nella stessa trincea”. Il portavoce del parlamento egiziano che l’ha preceduto ha ulteriormente chiarito il messaggio: l’Egitto non è più un tesoro strategico per Israele, così come era durante l’epoca di Mubarak, ma è diventato un tesoro per la Palestina.

Fuorviati dai cosiddetti esperti che sostenevano che la primavera araba non avesse niente a che vedere con la questione palestinese, i leader israeliani hanno letteralmente creduto di potersela cavare con l’omicidio. Adesso c’è una processione costante di delegazioni governative e non governative provenienti da tutta la regione, che visitano Gaza. L’isolamento politico di Hamas, che il vertice di Sharm El Sheik ha cercato di ottenere, è finito.

A quanto si dice, l’equazione in Palestina non sarà più la stessa dopo l’ultima offensiva israeliana contro Gaza. Le fazioni della resistenza guidate da Hamas potranno non avere un esercito per battere Israele ma hanno senz’altro sviluppato un’efficace capacità dissuasiva che ha riportato la Palestina in cima alla lista delle priorità della regione. Il ministro  degli Esteri turco Ahmet Davutoǧlu lo ha riconosciuto durante la sua visita a Gaza, sottolineando il fatto che la resistenza ha ristabilito la dignità non soltanto dei palestinesi, ma di tutti i musulmani e di tutte le persone che amano la pace.

La resistenza è riuscita a fare ciò che 21 Paesi arabi non sono riusciti a fare dall’inizio del conflitto, con lo stato israeliano. Israele si deve rendere conto che Hamas non ha bisogno di un esercito permanente di 1 milione di soldati. E neppure ha bisogno di combattenti volontari provenienti dagli stati arabi confinanti. Tutti ciò di cui ha bisogno per difendere il suo popolo, è una milizia devota, ben addestrata, disciplinata, altamente motivata e fortemente risoluta. Questa milizia ce l’ha, e i suoi componenti godono del rispetto e dell’appoggio del pubblico, e questo potrà soltanto crescere dopo  questo round del conflitto.

All’inizio Netanyahu e Barack parlavano di eliminare la resistenza una volta per tutte. Prima che gli otto giorni di intensi bombardamenti israeliani finissero, il loro obiettivo era diventato ridurre il potenziale della resistenza.

Se questo è stato fatto per testare le dinamiche della regione, hanno ottenuto la risposta. Se l’intenzione era quella di eliminare Hamas e poi rivolgere la propria attenzione al Libano e all’Iran, ciò non è più realizzabile.

E’ vero che sono riusciti a bloccare i piani di sviluppo di Hamas per la Striscia di Gaza, ma il movimento resusciterà dalle sue ceneri e si rifonderà, come ha già fatto prima. Distruzione e morte non rappresentano di per sé una vittoria:  dipende se hai, o meno, raggiunto i tuoi obiettivi. Gli israeliani non l’hanno fatto.

Questa è un’opportunità per il popolo palestinese. Per molti di essi, Hamas ha ottenuto, in una settimana, quello che i negoziati non riuscirono  a conquistare in venti anni. Nel mondo della real politik, la diplomazia non è abbastanza per assicurare o proteggere i diritti: deve essere anche accompagnata dall’uso della forza. Gaza ha dimostrato cosa si può ottenere con poche risorse anche contro tutte le probabilità. Per un popolo affamato di libertà, l’impossibile è adesso possibile.

Di Federica Lomiri