Gaza e l’industria israeliana della violenza

Riceviamo e pubblichiamo.
Venerdì 2 ottobre alle ore 18:00, libreria Les Mots, via Guglielmo Pepe, 14, 20159 Milano
Gaza e l’industria israeliana della violenza
 
Recensione del libro:
Autori: Enrico Bartolomei, Diana Carminati e Alfredo Tradardi. Foto di copertina di Eloisa d’Orsi, pag.332, Edizioni Derive e Approdi, 1^ edizione giugno 2015.
 
Un saggio cruciale, che si legge con la stessa “fame” con cui si scorre un romanzo avvincente, sia nel caso si conosca la questione palestinese, sia se si hanno solo notizie frammentarie raccolte nella generale manipolazione dell’informazione che il sionismo mette in campo con una sempre crescente potenza di uomini e mezzi.
 
Un libro fondamentale per comprendere nella sua dimensione il significato della occupazione sionista, e che offre, nel percorso storico e nell’analisi politico- sociale, una visione accurata di quella che gli autori definiscono vera e propria “ industria della violenza” israeliana in tutta la Palestina (fuori e dentro i confini definiti dall’occupazione del 48 e poi del ’67 e dai successivi furti di terra) e nella Striscia di Gaza in particolare, e invita ad ampliare la riflessione sulla produzione della violenza contemporanea, di cui Gaza ne rappresenta il paradigma.
 
Identificando nel concetto e nella realtà della violenza il “nucleo costitutivo” dell’essenza di Israele, il saggio analizza nei suoi 11 capitoli come essa si sostanzi in alcune dimensioni chiave:
 
la violenza del “colonialismo di insediamento” , categoria politica di recente evidenziata da Pappé, attuato fin dalla nascita di Israele nel ‘47 e perpetrato oggi con sempre maggiore determinazione e con il sostegno dell’Occidente e delle monarchie arabe;
 
la violenza insita nel cosiddetto ‘processo di pace’ culminato negli accordi di Oslo e nel collaborazionismo della Autorità Nazionale Palestinese, connivente con l’occupazione e nel contempo strangolata dai ricatti economici di Israele che gestisce ogni flusso di denaro per la West Bank;
 
la violenza economica contro i palestinesi, sia in Cisgiordania sia nella Striscia, attuata non soltanto con il blocco illegale ma anche ad esempio con il “razionamento alimentare” che mantiene funzionalmente la popolazione gazawi appena sopra il livello minimo di sopravvivenza, misurando calorie, proteine e vitamine degli alimenti che vengono lasciati entrare da Israele a Gaza;
 
la violenza genocidaria delle operazioni militari scatenate dal 2004 su Gaza e culminate con Margine Protettivo dell’estate 2014;
 
la violenza della menzogna e della mistificazione storica e culturale dei miti fondativi dello Stato di Israele, che fa del militarismo totale la sua essenza e il suo linguaggio politico e sociale, e ne esporta all’estero obiettivi e metodi;
 
la “violenza concentrazionaria” israeliana, fondata sul ‘paradigma carcerario’ che si evidenzia nel sistema di controllo e confinamento dei palestinesi in Israele, nel modello carcerario in Cisgiordania e nella Striscia come enorme campo di concentramento, negli insediamenti-fortezza delle colonie, nel regime carcerario imposto ai palestinesi al di fuori di qualunque legalità internazionale;
 
la violenza del sistema israeliano dell’industria militare e della sicurezza, in cui Gaza è laboratorio in corpore vili di sperimentazione bellica di nuove armi e tecnologie e la Palestina tutta è laboratorio di oppressione, coercizione e controllo. Un modello industriale di “pacificazione globale” volto alla repressione di ogni dissenso, di cui Israele è leader mondiale;
 
infine la violenza della ricostruzione, che mette in luce l’industria degli aiuti e la politica della dipendenza, in cui l’ONU si fa “tutore dell’assedio”.
 
Gli autori invitano a “decostruire” il linguaggio sionista, ponendo l’accento sulla traslazione di significato di alcuni termini chiave:
 
chiamare ‘terrorismo’ la resistenza all’occupazione,
 
‘sicurezza’ la repressione,
 
‘processo di pace’ la colonizzazione,
 
‘coesistenza’ ciò che altro non è che la normalizzazione dell’oppressione,
 
e infine ‘democrazia’ (il famoso mantra della “sola democrazia del Medio Oriente”) ciò che si configura invece in modo evidente come supremazia razziale.
 
Un testo imperdibile sul colonialismo e sulle responsabilità del mondo occidentale, protagonista, non solo complice, della barbarie.
Viviana Codemo