Gaza: il carcere creato da Israele, abitato da un milione di bambini, costituisce un serio problema per la loro salute mentale

Palestine Chronicle. Di Omar Aziz. “Infliggere ferite a qualsiasi bambino nel corso di un conflitto è estremamente sconcertante”, ha dichiarato giovedì 18 agosto Michelle Bachelet, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, esprimendo allarme per l’elevato numero di bambini palestinesi uccisi in questo mese da Israele.

“Quest’anno, le uccisioni e mutilazioni di così tanti bambini sono ingiustificabili”, ha continuato.

Che cosa significa, dunque, il fatto che, anno dopo anno, Israele lanci attacchi aerei contro un’enclave assediata, costituita per la maggior parte da bambini, utilizzando le tecnologie militari più all’avanguardia a livello mondiale?

“Il diritto internazionale umanitario è chiaro. È vietato lanciare un attacco che possa incidentalmente uccidere o ferire civili, o danneggiare oggetti civili, in modo sproporzionato rispetto al vantaggio militare concreto e diretto previsto. Tali aggressioni devono cessare”, ha dichiarato Bachelet.

Secondo l’Ufficio Centrale di Statistica palestinese, il 47% dei 2,2 milioni di abitanti presenti a Gaza è costituito da bambini, mentre secondo altri la percentuale sarebbe del 50%.

La popolazione di Gaza vive notoriamente ammassata in luoghi sovrappopolati, soprattutto negli otto campi profughi ufficialmente riconosciuti dall’UNRWA, considerati tra i luoghi più densamente popolati al mondo. Eppure ognuno di questi luoghi è tuttora considerato un obiettivo legittimo da parte degli aerei da guerra israeliani.

Avendo piena consapevolezza di ciò, diventa inconfutabilmente evidente che Israele sa perfettamente che ogni bomba che sgancia sull’enclave assediata, compiendo un crimine di guerra dopo l’altro, provocherà sicuramente molte vittime tra i bambini.

E questo avviene sia che si tratti di bambini massacrati nei cosiddetti “attacchi mirati” in quanto “danni collaterali”, sia che si tratti di bambini colpiti per il semplice fatto di essere Palestinesi – come avvenuto coi cinque bambini uccisi da un missile mentre si trovavano sulla tomba del nonno nel cimitero di Al-Falluja, a est di Jabalya, il 7 agosto scorso. Un crimine che l’esercito israeliano ha dapprima negato di aver commesso, una menzogna che i media corporativi occidentali hanno ripetuto ossequiosamente senza alcuna esitazione, nonostante i numerosi precedenti di Israele nella diffusione di bugie e disinformazione.

Oppure vi sono i bambini che non hanno altra scelta se non quella di metabolizzare ogni episodio straziante provocato dalla potenza distruttiva di Israele mentre vivono imprigionati in questa minuscola striscia di terra.

Le cifre ormai non sono neanche più scioccanti, ma letteralmente da incubo, distopiche. Una situazione difficilmente credibile per chi non ha vissuto la realtà in prima persona o non ha prestato attenzione alle testimonianze dei Palestinesi.

L’accademico palestinese-americano Yousef Munayyer afferma che è ora di smettere di chiamare Gaza una “prigione a cielo aperto”, ma occorre definirla ciò che è realmente, cioè una stanza delle torture.

Pensate un po’: un ambiente progettato per mantenere in incubazione e infliggere traumi psicologici, sofferenze fisiche e privazioni economiche ha condotto proprio a questo. Ma che sorpresa!

Oggi, secondo Save the Children, l’80% dei bambini di Gaza dichiara di soffrire di depressione, ansia e paura.

Durante l’aggressione del 2014 contro Gaza, Israele ha ucciso 547 bambini palestinesi in un periodo di sette settimane. Nel maggio 2021, ha ucciso 67 bambini. Questo mese, almeno 17 bambini sono stati uccisi a Gaza.

Ma questi non sono gli unici bambini vittime di Gaza.

In questo momento a Gaza vivono un milione di bambini che sono stati brutalizzati e traumatizzati da almeno 29 aggressioni militari a partire dal 2003. Ognuno di loro è una voce da ascoltare, ha una vita e una storia da raccontare che meritano molto di più di questo orrore.

Intervenendo al programma in diretta della scorsa settimana di Palestine Deep Dive, incentrato sulla crisi della salute mentale dei bambini di Gaza, la scrittrice e musicista diciassettenne Hind Wihaidi ha raccontato agli spettatori:

“Gli ultimi tre giorni, quando è avvenuta l’aggressione, sono stati davvero tragici per me. Mi sono tornati alla mente molti flashback delle aggressioni che abbiamo già vissuto in passato.

“Mi hanno fatto pensare molto al luogo nel quale vivo, alla prigione in cui mi trovo, al fatto di sapere che potrei morire da un momento all’altro mentre parlo con qualcuno, mentre sono seduta, mentre guardo la TV, mentre penso a qualcosa, perché è quello che è successo ad altri bambini”.

Ma mentre i bambini palestinesi, dopo gli attacchi, tentavano di riadattarsi alla normalità dell’assedio e del costante impoverimento, gli opinionisti militari israeliani si congratulavano con il primo ministro israeliano Yair Lapid per la sua operazione “pulita”.

Intervenendo alla trasmissione radio del quotidiano Maariv lunedì 9 agosto, il generale Amos Yadlin, ex capo della direzione dei servizi segreti militari israeliani e responsabile ricerche presso Harvard, si è rallegrato dichiarando:

“È stata una partita vincente. È stata davvero pulita, abbiamo colpito duramente l’ala militare di Hamas [correggendosi poi per dire che intendeva la Jihad islamica], non abbiamo quasi mai colpito innocenti e non affiliati, non c’è un solo israeliano che sia stato colpito, penso che sia stato un risultato eccezionale”.

Nel frattempo, il giornalista di Haaretz Amos Harel e Neri Zilber dell’Israel Policy Foreign non hanno in alcun modo menzionato le morti di civili palestinesi durante la trasmissione di un podcast durato un’ora che valutava i risultati ottenuti durante gli attacchi del 10 agosto, lodando invece gli attacchi mirati di Israele.

A questo punto dell’aggressione era già noto che almeno 15 bambini palestinesi erano stati uccisi, confermando quindi quello che i Palestinesi dicono da decenni: la cancellazione dei Palestinesi e la disumanizzazione dei bambini palestinesi sono le grottesche fondamenta su cui prosperano l’apartheid e la colonizzazione di Israele.

Offrendo il punto di vista di un genitore che ha cresciuto i propri figli a Gaza, l’autrice palestinese e madre di tre figli Rana Shubair racconta a Palestine Deep Dive:

“Ho cercato di proteggere [i miei figli] dalla visione di immagini in TV, ma l’ambiente in cui vivono è privo di censura, il che significa che ovunque vadano, vedranno immagini di martiri”.

“Durante l’ultima aggressione [maggio 2021], una delle amiche di mia figlia che frequentava la stessa scuola è stata uccisa. Non credo che le mie figlie abbiano mai superato lo choc, perché una di loro mi dice che la vede sempre nei suoi sogni, e per loro è molto difficile comprendere il concetto o la nozione di morte e tutto il resto che ne segue. Tutti i bambini qui a Gaza sono eroi, possiamo dire, perché sono più grandi della loro età e sono stati costretti ad assimilare cose che i bambini in altre parti del mondo non conoscono. Chiedete a qualsiasi bambino qui, vi diranno che tipo di aereo sta volando sopra le loro teste, se è un drone o un F-16. Conoscono tutta questa terminologia bellica, ma come genitori cerchiamo di trovare, credo, i modi giusti per affrontare il trauma dei nostri figli.

Dopo e durante ogni aggressione e col trascorrere dei mesi sotto continuo ed ermetico assedio da parte di Israele, con conseguenti gravi privazioni economiche, la salute mentale dei bambini di Gaza è ovviamente destinata a peggiorare.

Ad esempio, nel 2018 il 60% dei bambini riferiva di sentirsi meno sicuro lontano dai genitori, ma poco prima dei recenti attacchi questa cifra raggiungeva il 90%, secondo Save the Children.

Nel 2018, il 50% dei bambini di Gaza dichiarava di avere paura e il 55% di provare ansia, mentre solo pochi mesi prima di questo ultimo attacco le percentuali erano salite di molto: il 78% dei bambini riferiva di aver paura e l’84% di provare ansia.

Si può soltanto immaginare come si possano sentire oggi.

Durante la trasmissione Palestine Deep Dive, il dottor Yasser Abu Jamei, direttore del programma di salute mentale della comunità di Gaza, ha sottolineato la continuità, senza quasi alcuna interruzione, degli eventi traumatici che non permettono o limitano l’applicabilità dei disturbi noti alla psichiatria occidentale, come ad esempio il “Disturbo post-traumatico da stress”, rendendo quindi difficile un reale recupero.

“Innanzitutto, già gli eventi pre-traumatici non rendono la vita facile, senza problemi, ecc. Parliamo di assedio, parliamo di occupazione, parliamo di oltre i due terzi della popolazione di Gaza che vivono come rifugiati. Quindi parliamo di decenni. Non si tratta solo del 1967, ma anche del 1948. Poi, non solo, ma si vive sotto embargo, non solo, ma all’interno del blocco si è esposti ad operazioni su larga scala… e nonostante questo, si sentono continuamente questi problemi, cose che ricordano gli eventi traumatici che stanno accadendo intorno a noi. Si ascoltano i telegiornali, si vedono come avvengono le cose a caldo. Guardate i cieli, sentite continuamente i suoni forti dei droni e tutto ciò vi porta alla mente i brutti ricordi.

Poi, nel successivo periodo post-traumatico… non esiste un vero e proprio ritorno alla vita normale. È di nuovo la vita di sempre sotto l’occupazione, sotto i droni, sotto l’embargo, ecc. La tradizionale nozione occidentale di disturbo post-traumatico da stress non direi che non si può applicare ad un luogo come Gaza, ma direi che la situazione a Gaza è più complessa. Non possiamo descriverla come un PTSD [Disturbo da Stress Post-Traumatico, ndt] nella sua nozione più semplificata. No, va ben oltre”.

Nel 1991, Israele ha ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del fanciullo, secondo la quale tutti i bambini hanno il diritto fondamentale alla vita, alla sopravvivenza, allo sviluppo, alla protezione dalla violenza e a un’istruzione che consenta loro di realizzare il proprio potenziale.

Eppure, con l’apartheid, Israele viola impunemente questa convenzione in tutta la Palestina. Anche in Israele, nella maggior parte dei casi le scuole palestinesi o arabe ricevono quasi sei volte meno fondi per ciascun bambino rispetto alle scuole frequentate dagli studenti ebrei, poiché non hanno diritto a ricevere gli stessi finanziamenti delle istituzioni sioniste. I bambini palestinesi e arabi sono quindi discriminati sul mercato del lavoro e sottoposti a 65 leggi razziste israeliane.

In Cisgiordania, i bambini palestinesi sono soggetti a leggi e pratiche discriminatorie. Il diritto all’istruzione viene loro continuamente negato quando sono costretti ad aspettare ore ed ore ai posti di blocco e le loro lezioni possono essere interrotte dall’esercito israeliano in qualsiasi momento.

Secondo Defense for Children International, ogni anno in Palestina circa 500-700 bambini palestinesi, alcuni dei quali di soli 12 anni, vengono arrestati e perseguiti dai tribunali militari di Israele con processi farsa. L’accusa più comune nei loro confronti è il lancio di pietre.

Il disprezzo di Israele per i diritti fondamentali dei bambini palestinesi, tra cui il diritto stesso alla vita, smaschera il vero volto di Israele: da una parte afferma il proprio impegno a raggiungere una pace futura mentre, coi fatti, dimostra che si tratta di una palese menzogna.

Ma non solo, il silenzio opprimente della comunità internazionale dimostra che la disumanizzazione dei bambini palestinesi si estende ben oltre lo stato di apartheid di Israele.

All’indomani dell’ultimo attacco, il presidente Biden ha elogiato Israele per aver “difeso il suo popolo”, aggiungendo che grazie ai suoi sistemi militari sono state “salvate innumerevoli vite”.

Nel frattempo, in questi ultimi giorni i politici conservatori britannici in lizza per diventare primo ministro, Rishi Sunak e Liz Truss, sembrano entrambi sostenere lo spostamento della loro ambasciata a Gerusalemme.

L’Occidente, invece di imporre sanzioni, incita ogni giorno ancor di più Israele all’aggressione, senza che nulla venga proposto per scoraggiare il prossimo brutale ciclo di bombardamenti, quando purtroppo si verificherà. Le armi continuano a confluire da uno stato all’altro e la copertura diplomatica continua a fare da scudo alla giustizia.

Eppure, i bambini palestinesi, che saranno gli artefici di un futuro finalmente stabile, dimostrano più volte apertamente il loro ardente desiderio di una vita migliore, una richiesta di libertà, e di non accontentarsi di niente di meno che della completa e totale liberazione dagli occupanti.

Con tassi di alfabetizzazione ai vertici mondiali, organizzando gruppi di danza, club di parkour e producendo artisti di talento come il rapper tredicenne MC Abdel, stella nascente, i bambini palestinesi di Gaza sono ancora in grado di insegnare al resto del mondo come si fa a vivere, mentre camminano tra le macerie:

“Mi piace sempre sottolineare il lato positivo di noi Palestinesi che viviamo in una prigione a cielo aperto. Stiamo facendo del nostro meglio rinchiusi qui dentro. Come ho detto, non abbiamo molte opportunità, ma dall’altra parte stiamo cercando di crearcele in mezzo a tutte le macerie nelle quali viviamo da oltre 15 anni”, racconta Hind a Palestine Deep Dive.

Anche il dottor Yasser Abu Jamei illustra vividamente questa verità a Palestine Deep Dive, descrivendo come vede i bambini di Gaza indossare con orgoglio i vestiti per l’Eid che, nel maggio 2021, non avevano potuto indossare a causa degli attacchi di Israele:

“Si tratta di un accostamento molto ironico. Mentre guidi l’auto o cammini per strada, vedi da un lato le macerie, la distruzione e le case distrutte, e dall’altro puoi osservare bambini molto eleganti che camminano tra le macerie per andare a scuola e prendere i loro certificati”.

Ovviamente, la crisi della salute mentale a Gaza e le continue ingiustizie dovute alla brutale apartheid e alla colonizzazione israeliana non si limitano ai bambini, ma colpiscono i Palestinesi di tutte le età.

Ma negli ultimi tempi è divenuto assolutamente chiaro che ogni bomba sganciata da Israele e ogni giorno che Israele continua ad assediare Gaza sono un’ingiustizia intollerabile contro coloro che vengono universalmente considerati gli esseri più innocenti, i bambini.

Sotto l’assedio israeliano, Gaza continua ad essere una prigione per un milione di bambini ed è ormai giunto il tempo in cui i governi di tutto l’occidente riconoscano finalmente questa verità per porre fine all’impunità di Israele, e che le istituzioni internazionali, comprese le Nazioni Unite, intervengano su questa dura realtà senza più alcuna esitazione.

Traduzione per InfoPal di Aisha T. Bravi