Gaza, la strage dei se e dei ma.

 

Gaza, la strage dei “se” e dei “ma”

L‘abisso che spacca il mondo passa attraverso Israele-Palestina.

Negli anni Cinquanta, gli algerini insorsero contro i coloni francesi, che in oltre un secolo di dominio si erano impossessati delle città e delle terre fertili, relegando i nativi algerini – privi del diritto di voto – tra le aride montagne, nel deserto, o in affollati quartieri urbani senza servizi.

Gli insorti commisero notevoli atrocità contro i coloni e i loro collaborazionisti, e i parà mandati dalla Francia ne commisero di peggiori.

Entrambi in fondo non avevano scelta: se non hai aerei per bombardare dall’alto, devi far saltare in aria i bar affollati; se vuoi scoprire la rete di coloro che mettono le bombe, devi torturare i prigionieri; e ancora, se vuoi creare un antidoto alla paura della tortura, deve incutere il terrore della vendetta in coloro che potrebbero parlare.

I coloni erano i reietti d’Europa, o comunque i loro figli e nipoti.

Debitori liberati dalle carceri, orfani, poveri, profughi, analfabeti, anarchici e socialisti – tutti andavano o venivano direttamente mandati in quella discarica umana che era l’Algeria. E fecero in qualche modo fiorire il deserto, introducendo sistemi intensivi e moderni di coltivazione. Non conoscevano altro che quel loro mondo, dove gli arabi dovevano camminare a capo chino e dove si viveva in villaggi che erano piccole copie di quelli alsaziani, raccolti attorno al campanile della chiesa, o in città che erano piccole Marsiglia.

Quindi non è questione di dire che i coloni erano mostri, o gli arabi selvaggi: solo Dio, dicono, sa guardare nei cuori degli uomini. Ma gli uomini possono benissimo vedere la spaventosa ingiustizia che era la situazione algerina in sé.

Gli insorti algerini avevano il sostegno unanime, diretto e attivo del mondo arabo; un sostegno economico, logistico e in armamenti. Alle Nazioni Unite, si poteva discutere liberamente dell’indipendenza algerina, e persino il senatore John Kennedy poté fare una pubblica dichiarazione di critica alla politica francese.

Però è interessante notare come i ribelli avessero l’appoggio anche di una rete di francesi, persino di colon. Che  fornivano rifugi e armi agli insorti e talvolta combattevano a loro fianco. Diversi di loro hanno scontato lunghi anni di carcere, sono stati torturati, ghigliottinati o uccisi in maniera più informale.

Altri francesi e coloni hanno sostenuto pubblicamente, in discorsi e scritti, la resistenza algerina, correndo non pochi rischi. Non hanno solo criticato gli eccessi dell’esercito francese, perché il problema non era quello: gli eccessi nascevano da un’ingiustizia di fondo, che solo la resistenza poteva correggere.

Queste persone coraggiose erano comuniste, anarchiche, cattoliche; e sostenevano una rivolta che non era comunista, non era anarchica e non era cattolica, ma era semplicemente giusta. Ho avuto l’onore anche di conoscere qualcuna di queste persone straordinarie.

Ma oggi, in un mondo terribile quanto quello di allora, sembra che non se ne producano più, o quasi, dalle nostre parti.

Certo, in America Latina e nel mondo islamico, centinaia di milioni di persone sono a favore della resistenza palestinese.

Ma il soffocamento della loro voce è infinitamente più forte di quanto fosse allora.

Il più popoloso dei paesi arabi, l’Egitto, partecipa con la massima durezza all’assedio a Gaza. Ieri sera a Rafah, la polizia egiziana ha sparato sui palestinesi che cercavano di passare il muro per fare la spesa.

Ricordiamo poi che l’embargo a Gaza non è solo israeliano ed egiziano: nel marzo del 2006, quando Hamas vinse democraticamente le elezioni, fu imposto a tutta la Palestina non solo da Israele, ma anche dal cosiddetto “quartetto”: l’Unione Europea, le Nazioni Unite, la Russia e gli Stati Uniti. [1]

Un muro ancora più terribile di quello che taglia la Palestina sembra dividere noi europei dagli altri, che almeno si dichiarano dalla parte della resistenza.

Non parliamo di coloro che sostengono direttamente l’aggressione israeliana: è una posizione legittima.

Parliamo piuttosto di coloro che la condannano.

Dichiararsi a favore della resistenza non è ancora reato, come era invece in Francia negli anni Cinquanta. Eppure, l’identificazione occidentalista è diventata talmente forte, che pochissimi vanno oltre una posizione di equidistanza: certo contro gli “eccessi” israeliani, pieni di compassione per i “poveri civili”, ma gridando ai quattro venti la condanna della resistenza che quei civili hanno voluto.

Israele ha questa tremenda funzione simbolica nell’economia dell’imperialismo: se si sente il bisogno di giustificarsi di fronte a questi sicari, e a rinnegare chi resiste a loro, prima o poi si finisce per diventare complici di tutti i sicari e nemici di tutti coloro che resistono.

Gennaro Carotenuto è una fonte insostituibile di notizie sull’America Latina; ed è uno dei pochissimi giornalisti a rispondere subito alle critiche e a correggere i propri errori. Segue anche con implacabile coraggio le falsificazioni dei media italiani.

Ieri mattina mi ha quindi rattristato assai, leggere i “se” e i “ma” con cui Gennaro Carotenuto si difende in anticipo da ogni possibile accusa di stare dalla parte dei dominati.

“E’ necessario sempre uno sforzo grande per capire le ragioni di Israele e sarà necessario compierlo anche domani e dopodomani. Bisogna sforzarsi di capire l’ebreo di Masada e separarlo da un impresentabile espansionismo colonialista decimononico e dalla follia del voler essere l’ultimo avamposto d’Occidente (e dell’imperialismo statunitense) invece di essere il cuore del Medio Oriente. E’ ben difficile anche aver simpatia per Hamas, trogloditi razzisti e sessisti, e solo dei folli possono scambiare le sue organizzazioni clientelar-caritatevoli come progressiste.”

Nel novembre del 1957, i francesi catturarono in battaglia la bellissima Raymonde Peschard, gravemente ferita.

Raymonde era figlia di coloni, eppure comunista e militante della resistenza algerina.[2]

Quando la presero, non fece nessuno “sforzo grande” per capire le ragioni dei suoi sicari, che avevano ucciso davanti a lei due trogloditi arabi prigionieri. Coprì di insulti coloro che l’avevano presa prigioniera, finché un ufficiale non tirò fuori la pistola e le sparò in testa.

Anche lui avrà avuto le sue ragioni, no?

Note:

[1] Che poi versarono milioni di dollari nei conti privati dei dirigenti di al-Fatah, i cui miliziani e clienti erano quindi gli unici a ricevere stipendi, fino al golpe di Abu Mazen in Cisgiordania.

[2] Raymonde Peschard fu protetta peraltro, per un certo periodo, dalle Suore Missionarie di Nostra Signora d’Africa, che erano perfettamente al corrente delle sue attività.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.