Gaza, Mubarak se ne lava le mani, La festa è quasi finita: domenica il valico chiuderà.

il manifesto del 25 Gennaio 2008

Gaza, Mubarak se ne lava le mani
La festa è quasi finita: domenica il valico chiuderà

L’Egitto aveva
assicurato il suo aiuto ai palestinesi

Michele Giorgio
Gerusalemme

Attraverso la «breccia di Rafah» con l’Egitto non sono passate solo
benzina, sigarette, cemento e altre mille cose introvabili a Gaza,
stretta nella morsa del blocco israeliano. Ma anche anche fidanzate e
mogli. Ha fatto il giro dei Territori occupati la storia di tre
ragazze che da diverse città egiziane sono corse a Rafah per ritrovare
i fidanzati «chiusi per l’embargo nella gabbia di Gaza». O quelle di
Omran che ha riabbracciato la sua Heba dopo due anni e di Abir che non
ha aspettato la chiamata del fidanzato Hussam ma è corsa lei subito a
Rafah non appena giunta la notizia dell’apertura della frontiera.
Queste e tante altre storie e il flusso continuo di migliaia di
persone da una parte all’altra del confine tra Gaza e l’Egitto,
rimarranno una pagina indimenticabile di storia palestinese. Pagina
che tuttavia è già finita.
L’Egitto che ieri mattina aveva annunciato che la frontiera rimarrà
aperta «fino a quando continuerà l’emergenza umanitaria a Gaza», nel
corso della giornata ha fatto un deciso passo indietro sotto l’urto
delle pressioni israeliane alle quali si sono aggiunte quelle
statunitensi: secondo la tv pubblica israeliana – che ha citato fonti
del Cairo – il valico di Rafah verrà rimesso in sesto entro domenica e
i palestinesi rimandati indietro.
Il ministro della difesa israeliano Barak che già mercoledì sera aveva
criticato duramente il Cairo per non aver ostacolato il piano di Hamas
di riaprire la frontiera, ieri ha ricordato che il suo governo è
pronto per un’operazione militare su larga scala a Gaza: «non abbiamo
fretta di riconquistare Gaza, ma non toglieremo nessuna opzione dal
tavolo finché c’è in ballo la sicurezza dei nostri cittadini». Ma le
parole che hanno destato più allarme al Cairo sono state quelle del
vice ministro della difesa israeliano Matan Vilnai, che ha offerto in
«regalo» Gaza all’Egitto.
«Quando la Striscia è aperta dall’altro lato (quello egiziano), noi
israeliani non ne siamo più responsabili», ha affermato. «Tutto quello
che avviene evidenzia la responsabilità dell’Egitto che deve risolvere
il problema», ha incalzato Arye Mekel, portavoce del ministero degli
esteri. Infine è scesa in campo Galei Tzahal, la radio militare, che
citando anonimi responsabili del ministero della difesa, ha parlato di
«atmosfera di crisi» tra Israele ed Egitto e aggiunto che «la
situazione attuale può durare soltanto alcuni giorni, gli egiziani non
possono permettere che i palestinesi circolino liberamente sul
territorio senza che il minimo controllo sia esercitato su di loro».
Il portavoce del ministero degli esteri, Hossam Zaki, ha respinto con
forza l’idea che lo Stato ebraico possa abbandonare ogni
responsabilità. «È una presunzione errata», ha spiegato, «l’attuale
situazione a Rafah è soltanto un’eccezione. La frontiera tornerà alla
normalità». Poi è sceso in campo lo stesso presidente Mubarak per
accusare Hamas di aver tentato di invischiare l’Egitto nelle dispute
fra palestinesi.
«Respingiamo ogni tentativo di coinvolgere l’Egitto e di fomentare una
crisi con le forze dell’ordine egiziane a Rafah», ha detto con tono
perentorio. Mubarak che mercoledì aveva risposto alle pressioni del
suo popolo facendo entrare i palestinesi di Gaza strangolati
dall’assedio israeliano in territorio egiziano, ieri ha ceduto di
schianto alle intimidazioni di Washington e Tel Aviv. Uno dei suoi
abituali «megafoni», Samir Ragab, direttore del quotidiano Al
Gomhureya, ha scritto che «c’è una gran differenza tra una pressione
causata da bisogni e il teppismo…a causa di Hamas i palestinesi non
conosceranno né stabilità né sicurezza». Un direttore indipendente
Ibrahim Issa, Al Dostour, al contrario è stato esplicito nel dire che
il governo egiziano, soggetto a un ricatto da Stati Uniti e Israele,
punterà l’indice contro Hamas. Per gli abitanti della prigione di Gaza
i viaggi in Egitto sono stati solo un «breve permesso». La frontiera,
dicono le indiscrezioni, dovrebbe richiudersi nelle prossime 72 ore, e
la presenza lungo il confine di migliaia di soldati egiziani, con
l’equipaggiamento antisommossa, indica che la situazione verrà
riportata alla «normalità», se necessario, con l’uso della forza.
L’accordo a tre – Hamas, Anp, Egitto – per l’amministrazione del
valico di Rafah, proposto dal leader del movimento islamico Ismail
Haniyeh, è già acqua passata. A discutere di Gaza e Rafah invece
saranno domenica il presidente dell’Anp Abu Mazen e il premier
israeliano Olmert.
***

il manifesto del 24 Gennaio 2008

Gaza, giù il muro Un esodo per il pane
Rotto l’assedio Hamas abbatte la barriera con la dinamite, oltre
300mila palestinesi corrono in Egitto a caccia di latte, farina,
medicine. E le guardie egiziane restano a guardare

Michele Giorgio
Inviato a Gaza

«Ho detto ai nostri soldati di lasciar entrare i palestinesi, che sono
venuti solo per mangiare e acquistare il cibo». Dietro quella che
passerà alla storia come una delle giornate più felici per la
popolazione di Gaza, c’è una decisione del presidente egiziano Hosni
Mubarak, spinto da spirito umanitario e, soprattutto, dalle crescenti
pressioni dalla sua gente di fronte alle sofferenze dei palestinesi.
Senza dimenticare le proteste dei Fratelli Musulmani egiziani ai quali
il rais ha riservato la dose abituale di manganellate durante una
manifestazione ieri al Cairo.
Comunque sia, è stata eccezionale la scena che tutti hanno avuto
davanti agli occhi arrivando ieri a Rafah, tra Gaza e l’Egitto, dopo
che militanti di Hamas e dei Comitati di resistenza popolare avevano
fatto saltare con la dinamite gran parte della barriera metallica
posta lungo il confine. Sotto gli occhi delle guardie di frontiera che
avevano ricevuto l’ordine di non intervenire, una folla immensa di
palestinesi entrava lentamente in Egitto attraverso i varchi nella
barriera e, allo stesso tempo, una massa di persone altrettanto enorme
faceva ritorno a casa portandosi dietro ogni ben di Dio.
Mucche, pecore, taniche di benzina, materassi, latte, farina,
sigarette e tutte le altre cose che a Gaza sono diventate rare o
impossibili da trovare. Sul volto delle gente finalmente è apparso un
sorriso. Sì, perché le restrizioni israeliane non sono cominciate
venerdì scorso con la chiusura totale dei valichi ordinata dal
ministro della difesa, il laburista Ehud Barak, ma ben prima. A fine
di giugno 2006, dopo la cattura del caporale Ghilad Shalit da parte di
un commando palestinese, Israele aveva bloccato il valico di Rafah e
imposto restrizioni ai movimenti delle merci e delle persone.
Misure che sono state acuite dopo la presa del potere di Hamas a Gaza,
fino a raggiungere il punto più estremo in questi ultimi giorni, in
risposta, dicono governo ed esercito di Israele, al lancio di razzi
artigianali da Gaza verso il territorio dello Stato ebraico. Ma tutti
sanno che la chiusura ha lo scopo principale di strangolare il
movimento islamico e tenere sotto pressione la popolazione.
«È stato uno spettacolo impressionante – riferiva ieri Saverio
Mannarella, cooperante della ong Cric, uno degli stranieri che da Gaza
city hanno raggiunto Rafah – nella barriera c’è un varco enorme da
dove è entrato di tutto. Mucche e altri
animali che seguivano i loro
nuovi padroni, persone cariche come mai si è visto che portavano a
casa tutto quello che è possibile trasportare. Sono state scene
indimenticabili». Si sono rivissuti gli stessi momenti del settembre
2005, quando, dopo l’evacuazione di soldati e coloni israeliani da
Gaza, migliaia di palestinesi forzarono il valico di Rafah ed
entrarono in Egitto. Ieri i primi a passare sono stati i palestinesi,
molte centinaia, che attendevano di rientrare a Gaza perché bloccati
da mesi sul versante egiziano.
«Ho atteso cinque mesi e non mi sembra vero poter riabbracciare i miei
familiari», ha raccontato Azem Yizji, 67 anni, che in Egitto era
andato per una operazione chirurgica. Per tutto il giorno autocarri a
pieno carico provenienti da tutto il Sinai hanno raggiunto il confine
dove in pochi attimi sono stati svuotati dai palestinesi. «Sono
riuscito a portarmi a casa 250 litri di benzina e decine di scatolette
di carne. Una parte la terrò per me e il resto cercherò di
rivenderlo», ha detto Samer Abu Samadana, un manovale. «Con l’aiuto di
mio figlio ho preso tre sacchi di farina, adesso farò di nuovo il pane
in casa», ha affermato con aria soddisfatta la signora Umm Kais, di
Khan Yunis. Il cemento è stato uno dei prodotti più acquistati dagli
almeno 400 mila palestinesi che sono entrati in Egitto.
Negli ultimi sei mesi Israele ne ha limitato al minimo la
disponibilità a Gaza. E chi ne ha avuto la possibilità economica – ben
pochi – non ha mancato di raggiungere la cittadina egiziana el Arish,
sulla costa mediterranea, per gustare il pesce locale. Per l’economia
di questa parte del Sinai, la più povera, è stata una iniezione
ricostituente di milioni di dollari in poche ore. E’ andata avanti
sino a notte e probabilmente sarà così anche oggi. Domani, al più
tardi sabato, secondo alcune voci, il confine verrà chiuso di nuovo,
come deciso di comune accordo dalle autorità egiziane e da Hamas.
La reazione israeliana non si è fatta attendere. Tel Aviv ha ricordato
all’Egitto di rispettare gli accordi e di tenere sotto controllo la
frontiera da dove ieri, secondo Israele, sarebbero entrati a Gaza
decine di ricercati di Hamas e anche militanti di altre organizzazioni
islamiche radicali. E alle parole sono seguiti subito i fatti, a danno
però della popolazione di Gaza.
Israele avrebbe sospeso – ieri sera si attendeva una conferma
ufficiale – le forniture di gasolio iniziate martedì, in risposta
l’abbattimento della barriera a Rafah. Kamal Obeid, vicedirettore
dell’Ente nazionale per la energia a Gaza, ha riferito che martedì
sono arrivati circa 720 mila litri (che hanno consentito la
riattivazione della centrale elettrica) e ieri altri 180 mila. Dopo di
che, ha aggiunto, le forniture sono cessate.
L’Egitto da parte sua si è affrettato a ribadire il suo rispetto degli
accordi con Israele, anche se, ha spiegato un portavoce, la decisione
di lasciar entrare i palestinesi «che stanno morendo di fame per colpa
dell’assedio israeliano», è stata presa senza consultare Tel Aviv.

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