Gaza, un massacro di innocenti.

Da www.ilmanifesto.it del 4 marzo 2008

Secondo l’organizzazione B’Tselem, metà dei 110 uccisi dai raid
israeliani non erano combattenti

Gaza, un massacro di innocenti

L’esercito si ritira dalla Striscia, Hamas canta vittoria. Condanne
per le vittime civili da Unicef e Amnesty. Condoleezza Rice oggi a
Ramallah, in un clima tesissimo

Michele Giorgio
Inviato a Gaza

È difficile persino sognare in un campo profughi come Jabaliya eppure
la stanza di Jacqueline parla di un’esistenza felice. Orsetti e
bambole di peluche adornano la scrivania dove la bambina faceva i
compiti. Sulle pareti foto di ragazzine sorridenti e disegni colorati
si abbinano bene al piumone rosa e celeste con Micky Mouse sul lettino
sfatto.
«Jacqueline era una studentessa modello, tra le prime della sua
classe», racconta un cugino, «lei e suo fratello Iyad sarebbero andati
il prossimo anno ad una scuola migliore». Ma la bambina non varcherà
il cancello di quella nuova scuola. Jacqueline è morta venerdì notte,
in casa, mentre cercava di portare soccorso a Iyad, centrato alla
testa dai colpi sparati da un tiratore scelto israeliano. Colpi che
non hanno risparmiato nemmeno lei, scambiata come il fratello per un
combattente palestinese, da chi aveva ricevuto l’ordine di sparare
contro qualsiasi ombra, senza pensarci due volte.
La gente di Jabaliya è in strada a celebrare il ritiro dei reparti
israeliani dal campo profughi e dal villaggio adiacente, ma anche per
rendersi conto dei danni gravi che strade, case, negozi, piloni
dell’elettricità hanno subito dal passaggio dei giganteschi Merkava
israeliani. I bulldozer comunali sono già al lavoro per cercare di
rendere percorribili le vie bloccate da detriti o impraticabili per le
buche profonde. Molti inneggiano ad Hamas che, in quel momento, sta
tenendo un raduno a Gaza city.
Il ritiro israeliano da Jabaliya e Beit Lahiya, dopo giorni di
incursioni e raid aerei che non hanno fermato mai i lanci di razzi
palestinesi su Sderot e Ashqelon, per il movimento islamico è
l’inequivocabile segnale della vittoria. «Il nemico è stato
sconfitto», ha commentato Sami Abu Zuhri, il portavoce di Hamas –
«Gaza sarà sempre un cimitero per le forze di occupazione».
Ma non tutti hanno voglia di festeggiare. «Mi piacerebbe sentirmi
sereno, ma non ci riesco. Jacqueline e Iyad sono morti e anche la mia
famiglia ha vissuto momenti difficili», spiega Rames Tbel, lo zio dei
bambini uccisi, che si è visto occupare l’abitazione dalle truppe
israeliane. «I soldati hanno sfondato la porta e sono entrati in casa
in piena notte, tra venerdì e sabato» – racconta – ci hanno costretto
a rimanere tutti in una stanza: io, mia moglie, mia sorella, i miei
genitori e i bambini. In tutto 13 persone, sorvegliati da tre
militari. L’incubo è terminato solo stamani all’alba». La casa dei
Tbel è stata usata, assieme ad altre, come postazione militare e per
la famiglia il dolore è stato doppio. «I soldati hanno sparato proprio
dal nostro appartamento contro la casa di Jacqueline e Iyad», aggiunge
Rames. Ieri l’Unicef ha espresso «profonda preoccupazione» per i
bambini e adolescenti palestinesi rimasti uccisi e ricordato che
occorre prendere tutte le misure possibili per garantire protezione e
assistenza ai minori. L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i
Diritti Umani, Louise Arbour, ha chiesto a Israele di avviare una
indagine sull’uccisione di civili.
Dalla Cisgiordania – ma anche da Siria, Libano ed Egitto – intanto
arrivano notizie di manifestazioni e scontri con l’esercito e quella
di un ragazzo palestinese ucciso da un colono israeliano. A Gaza
sperano in una sollevazione a Ramallah, quando oggi alla Muqata il
presidente Abu Mazen incontrerà il Segretario di stato Usa Condoleezza
Rice.
«Sono di Fatah e non di Hamas – dice Rames Tbel – ma ad Abu Mazen dico
di annullare subito il meeting con Condoleezza Rice. Il presidente non
può stringere la mano di chi arma Israele contro i palestinesi».
Intorno alcune persone annuiscono e vorrebbero rispedire al mittente i
cinque milioni di dollari che Abu Mazen ha promesso alle famiglie
colpite dalle operazioni militari israeliane. Jabaliya oggi respira ma
a Gaza nessuno si fa illusioni. Le truppe israeliane torneranno,
prevedono in tanti, non appena la Rice sarà ripartita, e forse
penetreranno più a sud, a Khan Yunis e Rafah. D’altronde gli
avvertimenti del premier israeliano Olmert non lasciano spazio a
ipotesi più confortanti e i 110 palestinesi uccisi da mercoledì scorso
– almeno il 50% erano civili (25 avevano meno di 18 anni), ha riferito
ieri il centro israeliano per i diritti umani «B’Tselem» – potrebbero
rivelarsi solo un anticipo di massacri futuri.
E per impedirli non bastano le condanne di Amnesty che ha accusato
Israele di aver avuto «un incurante disprezzo per le vite civili».
Nella Gaza priva di tante cose dopo mesi e mesi di duro embargo
economico e che pure regge l’urto degli attacchi militari, ora si
pensa a come aiutare i feriti. «È un lavoro immenso – spiega il dottor
Raed Arini, dell’ospedale Shifa – l’Egitto ha aperto le sue porte ai
nostri feriti più gravi ma non possiamo inviarli tutti al Cairo perché
abbiamo appena 4-5 ambulanze equipaggiate per la terapia intensiva e
in ogni caso manca la benzina». Arini mostra le foto dei feriti, molti
dei quali hanno subito orrende mutilazioni a causa di proiettili e
schegge che provocano un foro minuscolo ma poi «bruciano» negli arti
colpiti. «Dopo tanto giorni di emergenza scarseggiano i kit di pronto
soccorso e di chirurgia – avverte Arini – risparmiamo su tutto, ma
nessuno può compiere l’impossibile
».

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