“Gaza, un’altra storia”

Di Monica Mistretta, da Gaza. Gaza, la prigione a cielo aperto dalla quale si può entrare e uscire solo da tre valichi: Rafah a Sud, Erez a Nord e Kerem Shalom, il terminale commerciale al confine con Israele. Ammesso che tu abbia un permesso per entrare e uscire. In questa striscia di terra, coltivabile solo nella zona al confine con Israele, vivono un milione e ottocentomila persone. Merci e alimenti entrano ed escono solo in base a disposizioni esterne.

È qui, in questo spazio sotto assedio, che lo scorso maggio è entrata la delegazione dell’Abspp – Associazione benefica di solidarietà con il popolo palestinese, guidata da Muhammad Hannoun e interamente composta da arabi. Marocchini, giordani, sauditi e, naturalmente, palestinesi della diaspora nel mondo che in passato hanno dato il loro aiuto economico a donne, uomini e bambini della Striscia di Gaza e che sono stati invitati dalle autorità locali a vedere i frutti concreti del loro sostegno. Primo fra tutti, le serre.

Le serre qui sono vitali: riuscire a coltivare frutta e verdura per il fabbisogno interno e magari arrivare anche esportarla sembrava una missione impossibile. Almeno fino a quando le uniche terre coltivabili erano in mano ai coloni israeliani. Oggi, a distanza di anni, dopo il ritiro di Israele dalla Striscia, le nuove serre gazawi producono ed esportano grazie all’impegno di uomini come Hannoun e gli altri arabi della delegazione, che dall’estero le hanno finanziate e non hanno mai smesso di credere che Gaza poteva crescere sotto i bombardamenti e l’embargo. Pomodori e cetrioli, orgoglio dei contadini gazawi, adesso vengono esportati in Europa. Ma con il marchio ‘made in Israel’.  È la ‘piccola’ clausola che regola le esportazioni da Gaza: per disposizione europea le merci possono essere vendute solo se sulle casse compare la dicitura ‘made in Israel’ , ma la gente di Gaza la prende con ironia e va avanti. E vicino al confine con Israele ha costruito, con l’aiuto di Abspp, un parco divertimenti per i bambini, con tanto di piscina e scivoli d’acqua: chissà mai che riescano a dimenticare il rumore dei bombardamenti e la perdita di tanti loro familiari.

Per i bambini a Gaza c’è un ospedale speciale, dedicato esclusivamente a loro. Il medico primario racconta ai rappresentanti della delegazione che qui manca praticamente tutto, eccetto medici e bambini malati: non ci sono medicine, attrezzature e cibo sufficiente. Scarseggia perfino il latte in polvere, che l’Abspp ha donato proprio durante la visita a Gaza. Durante Piombo Fuso, tra dicembre 2008 e gennaio 2009, l’ospedale ha accolto oltre 150 bambini. Girando tra i loro lettini nelle stanze spoglie, prive delle più elementari attrezzature ospedaliere, ci si chiede come quei medici abbiano potuto compiere il miracolo di salvare le loro vite.

Anche a scuola la vita può essere difficile a Gaza. Non solo perché molti ragazzi non hanno i soldi per studiare, ma anche perché manca un elemento banale ed essenziale: l’acqua da bere. L’acqua potabile nella Striscia è un bene prezioso, ma per arrivarci bisogna scavare pozzi e avere i mezzi finanziari per farlo. Uno degli uomini della delegazione dell’Abspp, un giordano, ha offerto a una scuola femminile i soldi necessari per la costruzione di tre pozzi, una somma di diciottomila dollari che può offrire istruzione e un futuro a molte bambine di Gaza. È così che le cose si costruiscono qui: passo per passo, sperando di volta in volta nella sensibilità di chi non vive nella Striscia. Le strutture per gli orfani, che a Gaza sono migliaia, seguono la stessa legge: sono soprattutto gli aiuti dall’esterno a fare la differenza. Basta una macchinina in regalo, come quelle portate dall’Abspp, per vedere sorridere questi bambini, anche se basta il rumore dei bombardamenti che esce improvvisamente da un registratore durante una recita a scuola per vederli correre terrorizzati sotto una sedia.

Nella Striscia oltre agli orfani non mancano gli invalidi. La delegazione di Hannoun ha incontrato anche loro in un centro speciale, attrezzato con piscina e parco, che le autorità di Gaza hanno costruito per accoglierli e non dimenticarli.  Sulle sedie a rotelle, mutilati di gambe e braccia, questi uomini hanno una fierezza speciale. Non si vergognano della loro condizione, sono orgogliosi di aver sacrificato parte di sé per difendere la propria gente. Uno di loro racconta come i soldati israeliani lo abbiano chiuso ferito in una cella sotto il sole, con le gambe sanguinanti. Ricorda il puzzo della sua cancrena, mentre con il passare dei giorni le ferite facevano pus senza che nessuno lo curasse. Quando lo hanno rilasciato a Gaza, perché ormai non poteva più muoversi, ha scoperto di non poter più camminare. Ma qui di ritorno nella sua terra ha capito che stare su una sedia a rotelle non significa aver smesso di vivere. L’anno scorso 50 invalidi si sono sposati: per molte donne loro sono eroi. Alcune coppie hanno già avuto dei bambini. Ancora una volta i soldi per arredare la casa e potersi sposare sono venuti dall’Abspp.

L’impegno di Hannoun e della sua associazione è ben noto a Gaza: a riceverlo con la sua delegazione all’arrivo nella Striscia è stato il primo ministro Haniyeh, che ha ospitato tutti nella sua modesta casa nel campo profughi di Shati, dove si sono presentate altre delegazioni con aiuti dalla Turchia e dall’Austria.

Nel porto di Gaza, da dove ogni giorno partono i pescatori gazawi sfidando i divieti israeliani, che impediscono di pescare oltre le tre miglia, accanto alla bandiera palestinese sventola quella turca.  Sotto le bandiere c’è il monumento in ricordo dei nove turchi uccisi sulla Mavi Marmara della Freedom Flottiglia. Portare aiuti a Gaza non è sempre indolore. E non lo è stato nemmeno per la delegazione dell’Abspp che è stata trattenuta per sei ore in uscita al valico di Gaza per un passaporto che le autorità egiziane, forse per errore, avevano staccato dalla copertina in entrata. Gaza cresce all’interno, ma attorno non sembra proprio essere cambiato nulla.