Gerusalemme è e resterà israeliana.

Gerusalemme è e resterà israeliana

Come e perché il prossimo vertice convocato da Bush a Annapolis sarà una trappola in cui il presidente palestinese Abu Mazen andrà a cacciarsi. La città e la Cisgiordania isolati l’una dall’altra. Allo «Stato» di Palestina andranno solo alcuni quartieri etnicamente arabi
Michele Giorgio
Gerusalemme

Per un antropologo prestato all’impegno politico come Jeff Halper la realtà non è di difficile intepretazione. E le previsioni sono quasi automatiche. L’incontro di Annapolis, previsto tra una decina di giorni, al quale l’amministrazione Bush attribuisce un potere taumaturgico, non solo non offrirà soluzioni in linea con il diritto internazionale ma si svolgerà in un percorso definito con largo anticipo da Israele. E’ un tragitto, spiega l’esperto israeliano, volto a convincere la leadership palestinese a rinunciare alla Gerusalemme araba (est), occupata militarmente nel 1967, in cambio di una vaga sovranità su qualche rione o sobborgo della città abitato da palestinesi. «E’ un progetto politico – spiega Halper, noto in Italia come coordinatore dell’Icahd (Israeli Committee Against House Demolitions) – che è partito subito dopo l’occupazione con la costruzione di insediamenti ebraici nella zona est dove ormai, dopo 40 anni, vivono circa 200mila coloni israeliani». Tuttavia, aggiunge l’antropologo, per annettere in via definita Gerusalemme est a Israele e mantenere la città a maggioranza ebraica non è sufficiente costruire gli insediamenti. «Nella ridefinizione dei confini che avevano e hanno in mente i dirigenti politici israeliani è necessario tagliare fuori dalla città quanti piu palestinesi possibile». Non soprende, aggiunge, «che i centri abitati palestinesi ad alta densità di popolazione siano stati escluse dai confini della linea rossa che definisce l’area sulla quale sta sorgendo la Grande Gerusalemme. In sostanza hanno annesso zone che un tempo non facevano parte di Gerusalemme e hanno estromesso aree che prima vi erano incluse».
Ad Annapolis il premier israeliano Ehud Olmert e i suoi collaboratori andranno decisi a strappare al presidente palestinese Abu Mazen quel «sì» che l’ex primo ministro Ehud Olmert non riuscì ad ottenere dal rais Yasser Arafat. Andranno negli Usa con in mente la Grande Gerusalemme, un progetto che passo dopo passo sta trasformando la città santa in una vera e propria regione inserita, come un cuneo, nel cuore della Cisgiordania, spaccandola in due.
«Quando si parla di Stato palestinese, uno Stato sovrano che può autosostenersi economicamente, ci riferiamo ad un territorio omogeneo, non a macchia di leopardo, collegato in tutte le sue parti da una rete stradale – aggiunge il geografo Khalil Tufakji, noto esperto palestinese di Gerusalemme -. Ci deve essere, ad esempio, una autostrada che metta in comunicazione il nord col sud della Cisgiordania, per il movimento di beni e persone, altrimenti non si può nemmeno parlare di un vero Stato». Tenendo conto della geografia, spiega Tufakji, il transito tra nord e sud della Cisgiordania si interrompe tra la colonia ebraica di Maale Adumim e Gerusalemme est. «In quel punto – prosegue – Israele sta costruendo un’area che si chiama "E1" e che chiude l’unico corridoio che hanno i palestinesi, costringendoli a passare per Gerusalemme per poter recarsi da nord a sud. In sostanza, i palestinesi in futuro saranno sotto costante controllo perchè per spostarsi lungo il loro territorio dovranno chiedere il permesso a Israele».
Il muro di separazione costruito intorno a Gerusalemme (181 km), spiega Tufakji, «è parte essenziale del progetto riguardante la zona "E1": da un lato delimita il territorio palestinese che Israele intende attennersi e dall’altro isola i 250.000 palestinesi di Gerusalemme est dal loro Stato e da Ramallah, la città più importante della Cisgiordania. Il muro garantisce inoltre l’annessione di tutti i blocchi di insediamento intorno alla città e la loro espansione sulle terre palestinesi confiscate durante la costruzione della barriera».
Il governo Olmert, incurante delle incerte e deboli obiezioni statunitensi, è deciso ad andare avanti e descrive il progetto per la zona "E1" come un passaggio necessario per garantire la «sicurezza» di Gerusalemme, tutta sotto sovranità israeliana, ad eccezione, come spiega Halper, delle aree densamente popolate da palestinesi. A fine settembre ha perciò rilanciato il progetto e ordinato la confisca delle terre palestinesi a ridosso di Maale Adumim che, grazie alla costruzione di altre 3500 case per coloni, si ritroverà collegata a Gerusalemme. Le confische riguardano di 110 ettari di terre di Abu Dis, Sawahreh a-Sharqiye, Nabi Mussa e Khan Ahmar, nei pressi di Gerusalemme est e sulla strada che porta a Maale Adumim. Così modo i palestinesi perderanno continuità territoriale con la valle del Giordano.
A lanciare il progetto "E1" è stato nel 1994 il «martire della pace» Yitzhak Rabin. Mentre ritirava il premio Nobel per la pace assieme a Yasser Arafat e all’allora ministro degli esteri Shimon Peres, il premier israeliano assassinato 12 anni fa da un estremista di destra ebreo, garantiva la crescita della colonie e l’annessione, in forma dilatata rispetto al 1967, della Gerusalemme palestinese. Il progetto "E1" venne congelato nel 2005 su pressione di Washington e non casualmente ha ripreso slancio proprio subito dopo l’annuncio dell’incontro di Annapolis fatto da George Bush. «L’espansione delle colonie nella regione di Gerusalemme, va a minare, anzi annientare gli sforzi di pace», ha dichiarato Saeb Erekat, negoziatore palestinese e stretto colaboratore di Abu Mazen. Tuttavia l’Anp non ha mai posto come condizione per andare ad Annapolis lo stop dei progetti israeliani a Gerusalemme e nei Territori occupati.
Abu Mazen ad Annapolis corre il rischio concreto di vedersi accusare, proprio come accaduto al suo predecessore Arafat a Camp David, di non aver accettato le «generose offerte» (il controllo di qualche rione arabo) presentate da Olmert su Gerusalemme e Cisgiordania (Gaza, strangolata dal blocco economico e militare, formalmente è un territorio che Israele ha restituito ai palestinesi). «Si sta scherzando con il fuoco perché questa terra determinerà se ci sarà o meno la pace – sottolinea Jeff Halper -. Israele ha il controllo di tutta Gerusalemme, dei confini, delle strade e dell’acqua. E stando così le cose come si potrà costituire uno Stato palestinese?».
il manifesto del 18 Novembre 2007 pagina 10

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