Gerusalemme: Israele infiamma il conflitto religioso

Memo. La lotta per Gerusalemme occupata ha forse fatto emergere tutto il suo carattere religioso? Le recenti affermazioni del procuratore israeliano Yehuda Weinstein secondo cui la moschea di al-Aqsa è parte del territorio israeliano, hanno provocato la condanna nel mondo islamico.

Una provocazione quella di Weinstein quando ha detto che il terzo luogo sacro dell’Islam sarà soggetto alla legge israeliana, compresa le leggi sui beni dell’antichità. Queste affermazioni segnano un’escalation da parte del governo di Netanyhau, dove già l’atmosfera è carica di tensione.

Le dichiarazioni di Weinstein sono significative perché provengono dal nucleo dell’establishment israeliano. Tutti e tre gli organi di Stato, legislativo, esecutivo e giudiziario, sono pienamente concordi per quanto riguarda la moschea di al-Aqsa. Tutti sembrano spinti da identiche motivazioni e obiettivi, vale a dire la totale ebraicizzazione di Gerusalemme.

Di sicuro le parole di Weinstein non vengono dal nulla, tanto meno sono casuali. Nei colloqui di pace di Camp David (2000), l’allora premier Ehud Barak e la sua controparte palestinese, Yasser ‘Arafat discussero per la prima volta dello status di Gerusalemme e dei suoi siti religiosi. Com’è noto ‘Arafat respinse la proposta di Clinton di dividere la città e di rilasciare la sovranità israeliana sull’area sacra dove sorgono la moschea di al-Aqsa e il Duomo della Roccia. Poi i colloqui si arrestarono ed esplose l’Intifada al-Aqsa.

Le intenzioni dietro le dichiarazioni di Weinstein mostrano un tentativi israeliano di sfruttare le incertezze regionali. Gli israeliani sono convinti che i loro vicini – Egitto, Siria e Giordania – siano preoccupati a seguire gli affari interni e che non abbiamo tempo per guardare a Gerusalemme e alla moschea di al-Aqsa.

Il vice presidente del Movimento islamico in Israele (Territori palestinesi occupati nel ’48, ndr), Kamal al-Khatib sostiene che Weinstein aveva detto ciò perché spalleggiato dalle affermazioni provenienti dalla municipalità d’occupazione, secondo cui il sito in questione sia spazio pubblico e non un santuario religioso. Era stato anche affermato che la moschea di al-Aqsa non rientrasse nei 144mila metri quadri dell’area dell’Haram ash-Sharif, e che solo il Duomo della Roccia e la moschea Qibli fossero riconosciuti come siti religiosi.

E’ evidente che in Israele si rilascino simili dichiarazioni al fine di testare il terreno e rinforzare il proprio approccio. I palestinesi da lungo sono convinti cheIsraele intende demolire la moschea per costruirvi sopra il III Tempio. Tutto ciò a cui assistono quotidianamente rinforza questa loro tesi.

Anche Ekmeleddin İhsanoğlu, segretario generale di Oic, organismo che raggruppa 57 Stati, ha condannato l’affronto israeliano chiedendo agli ambasciatori del paesi islamici presso l’Unesco di agire per fermare l’aggressione israeliana ai danni dei siti religiosi dell’Islam a Gerusalemme.

Le parole di Weinstein giungono settimane dopo il riconoscimento da parte dell’Unesco di patrimonio artistico dell’umanità della Chiesa della Natività a Betlemme. La scelta comporterà lo stanziamento di fondi per il restauro dell’edifico antico 400 anni, costruito sulla grotta della Natività.

Di regola esponenti pubblici sono più cauti nel rilasciare dichiarazioni, ma nel caso israeliano è chiaro che la legge internazionale non merita alcun rispetto, quando ad essere in gioco sono i propri interessi particolaristici. Se Israele ha il diritto a legiferare a livello nazionale, allora dovrebbe pure conformarsi agli standard internazionali.

La situazione di Gerusalemme riflette quella nel resto dei Territori palestinesi occupati per i quali le Convenzioni dell’Aja (1899 e 1907), quella di Ginevra e, ancora quella dell’Aja del 1954, chiedono la tutela delle proprietà religiose in contesti di conflitto armato.

Le rivendicazioni israeliane hanno provocato allarme in Giordania. Ad-Dustur, giornale ufficioso, ha definito in un editoriale del 18 luglio scorso, le ultimissime provenienti da Israele come una violazione all’accordo di Wadi Araba (1994) quando si riconobbe alla Giordania un ruolo di custode special dei santuari islamici a Gerusalemme (art. 9).

Dichiarando al-Aqsa parte del territorio israeliano il governo di Netanyahu potrebbe voler accelerare il processo di ebraicizzazione, giungendo a un livello molto pericoloso. Anche ‘Abdel Qadir al-Hussaini, ex ministro degli Affari di Gerusalemme, è di questo parere e definisce le parole Weinstein un tentativo di fornire copertura legale e dare spazio a nuovi attacchi da parte dei coloni contro al-Aqsa e altri siti religiosi.

Il capo dei negoziatori palestinesi Sa’eb ‘Erakaat ad Annapolis aveva dimostrato flessibilità proprio sullo status finale dell’Haram ash-Sharif. Da un documento era emerso che il 30 giugno 2008 ‘Erakaat aveva detto al ministro degli Esteri israeliano Livni: “Stiamo concedendo la più grande Yerushalayim nella storia”. Ecco perchè le condanne per i piani israeliani provenienti dall’Olp, vengono accolte con scetticismo.

Quando il polverone sarà finito, una certezza resterà: Gerusalemme è territorio occupato e non oggetto di negoziazione. Israele può continuare ad occuparla, ma non sarà certo in grado di occupare i cuori dei popoli musulmani nel mondo i quali considerano al-Aqsa parte integrante della loro fede. Danneggiarla equivarrebbe a ledere la moschea della Mecca.

Per questa ragione il mondo deve agire subito per fermare le attività illegali di Israele all’interno e intorno alla moschea di al-Aqsa e presso il santuario che la circonda.