
Ramallah – The Palestine Chronicle. Giovedì le famiglie si sono riunite nel cuore di Ramallah per dare il benvenuto ai loro cari liberati dalle carceri israeliane nell’ambito dell’accordo di al-Aqsa Flood tra la Resistenza palestinese e il governo israeliano.
Tra i prigionieri liberati c’era Zakaria Zubeidi, una figura di spicco della resistenza palestinese, il cui rilascio è diventato un simbolo del trionfo di coloro che erano stati incarcerati per anni.
Sono stati liberati anche più di 110 prigionieri, tra cui quelli con condanne all’ergastolo.
In un’intervista esclusiva con Al-Jazeera, i prigionieri e le loro famiglie hanno condiviso le loro emozioni e i loro sentimenti al momento del rilascio.
Tra i liberati c’è Qasem Muslim, che ha trascorso 24 anni nelle carceri israeliane.
Muslim, che era stato imprigionato dal 2000, ha espresso la sua gioia ad Al-Jazeera, dicendo: “Questa gioia è indescrivibile. Sapevamo con certezza che saremmo stati rilasciati e che la resistenza non ci avrebbe abbandonato”.
Muslim, che oggi ha 56 anni, non era in grado di reggersi in piedi a causa di anni di abusi fisici subiti durante la sua prigionia e ha raccontato come la brutalità si sia intensificata negli ultimi mesi della sua detenzione.
“Ogni giorno venivamo picchiati, anche il giorno del nostro rilascio, a partire dall’una di notte. Le percosse non si sono mai fermate”, ha spiegato ad Al-Jazeera.
I festeggiamenti non hanno riguardato solo i prigionieri di alto profilo, ma anche coloro che sono stati condannati all’ergastolo in condizioni durissime.
Il rilascio di Hytham al-‘Anteri, che aveva trascorso 24 anni dietro le sbarre, ha portato particolare gioia alla sua famiglia, soprattutto alla sorella Thaira.
La donna ha dichiarato ad al-Jazeera: “Era come un figlio per me dopo la morte di mia madre, e non avrei mai pensato di rivederlo senza una barriera tra noi”.
Thaira ha mostrato con orgoglio una perlina di preghiera rossa, uno dei pochi oggetti che ha ricevuto dal fratello nel corso degli anni, e l’ha indossata come simbolo del loro legame duraturo.
Molte famiglie, come quella di Mariam Murshoud del campo profughi di Balata, hanno atteso con ansia la liberazione dei loro cari, cantando canzoni di liberazione.
“Questo è il giorno del suo matrimonio”, ha detto Mariam, riferendosi al figlio Ahmed, condannato all’ergastolo. Le sue parole hanno fatto eco a quelle di molte famiglie che hanno festeggiato con gioia e apprensione il cammino dei prigionieri verso la libertà.
Nonostante la gioia, non tutte le famiglie hanno potuto festeggiare come volevano. Alcune hanno dovuto sopportare un ulteriore dolore, come nel caso di Samih al-Shobki, che ha trascorso 22 anni in prigione per poi venire a sapere della morte della madre durante la sua detenzione.
Sua zia Khatam, che aveva viaggiato dalla Giordania per incontrarlo, ha rivelato ad Al-Jazeera le ultime parole della sorella in sogno, che la esortavano a prendersi cura di Samih.
“So che ci sta guardando dall’alto, che sta sorridendo in questo momento”, ha detto Samih, confortato dal pensiero che sua madre sarebbe orgogliosa del suo rilascio.