Giustizia israeliana, chiuso il 90% dei fascicoli sui crimini d’odio anti-arabi

Tel Aviv – MEMO. Israele ha chiuso nove indagini su dieci su casi di crimini d’odio religioso anti-arabi avvenuti tra il 2018 ed il 2020, perché non individuando i colpevoli. Tra i casi ci sono stati episodi di vandalismo contro almeno dieci moschee e chiese, sia nella Cisgiordania occupata sia all’interno di Israele. Sul decimo caso deve ancora essere presa una decisione da parte della Procura di Stato israeliana.

Il cimitero cristiano del monastero di Beit Jamal, vicino a Beit Shemesh, in Israele, ha subito quattro atti di vandalismo dal 2013 al 2018. Nell’ottobre del 2018, i monaci responsabili della manutenzione del cimitero hanno trovato circa 30 lapidi rotte. Nel 2016, ignoti hanno profanato il monastero, rompendo diverse statue. Nel 2013, una bomba incendiaria è stata lanciata alla porta e frasi con messaggi di odio sono state scritte lungo le pareti del monastero.

Una petizione sulla libertà d’informazione portata avanti contro la polizia dall’avvocato israeliano Tal Lieblich, dello studio legale Lieblich-Moser, ha fornito a Haaretz informazioni sui casi. La polizia ha risposto alla petizione fornendo i dati, anche se ha trascurato di includere tutti i dettagli riguardanti l’ultimo caso aperto.

Nonostante tutte le indagini riguardino casi di interesse pubblico già riportati dai media, una volta depositata l’istanza, la polizia ha fornito le informazioni senza collegarle ad un fascicolo investigativo specifico. Tra i crimini d’odio che si sono verificati nei due anni, ci sono la distruzione del cimitero del monastero di Beit Jamal, il vandalismo di una moschea a Jish, nonché il danneggiamento di decine di auto.

L’organizzazione israeliana per i diritti umani Yesh Din ha sostenuto che tre dei casi di vandalismo contro edifici religiosi in Cisgiordania sono stati chiusi. Uno di questi casi si è verificato nel 2019, quando una moschea è stata danneggiata nel villaggio di Deir Dibwan, e i vandali hanno anche scritto sulle sue mura “Am Yisrael Chai (il popolo d’Israele vive)” – ​​uno slogan per i nazionalisti israeliani. Solo due mesi dopo, il caso è stato chiuso a causa dell’incapacità delle autorità di identificare i colpevoli.

Nel villaggio di Aqraba nel 2018, una moschea non solo è stata danneggiata con questo tipo di scritte sui muri, ma è stata anche incendiata. Sebbene gli aggressori siano stati registrati dalle telecamere di sicurezza, il caso è stato chiuso due anni dopo l’incidente, nel giugno 2020.

Con l’avvenire dei crimini nel corso degli anni, la polizia israeliana ha costantemente omesso di identificare gli autori, estremisti ebrei. Secondo i dati forniti dall’organizzazione Yesh Din, che rappresenta solo i casi in Cisgiordania, l’82% dei crimini d’odio verificatisi dal 2005 al 2019 sono stati chiusi.

Questa settimana, il giudice della corte distrettuale Anat Singer ha deciso di non obbligare la polizia a rivelare i dettagli dell’ultimo caso aperto, che è in attesa di una decisione da parte dell’Ufficio del Procuratore di Stato.