Gli abitanti di Gaza vivono con la crescente paura di morire pagando un pesante prezzo psicologico

Bambini Palestinesi trovano rifugio in una scuola delle Nazioni Unite
dopo che hanno dovuto lasciare le loro case vicino alla città di Gaza, 13 luglio 2014 
(AFP/Mahmud Hams)

Betlemme-Ma’an. Di Charlie Hoyle. L’assalto militare israeliano alla Striscia di Gaza sta deteriorando lo stato di salute mentale degli abitanti dell’enclave, poiché i gazawi fanno fatica a trovare un modo per fronteggiare la costante paura di morire.

Oltre all’alto numero di vittime, 1,8 milioni di gazawi vivono in uno stato di ansia perenne: in questa enclave di terra densamente popolata le famiglie non trovano rifugio dagli attacchi aerei, dai droni e dai bombardamenti via mare.

Rana Nashashibi, una psicologa del Palestinian Counseling Center, ha riferito a Ma’an che il sapere che si può morire in una carneficina, ma non sapere quando e come, ha l’effetto di rendere gli abitanti di Gaza più fragili e meno fiduciosi. Ciò fa parte delle tecniche di guerra usate da Israele per indebolire la popolazione.

La guerra psicologica è sempre usata parallelamente a quella convenzionale con l’uso della forza militare. Lo scopo principale è fare in modo che la popolazione si senta senza speranza e debilitata, come per dire: “Noi siamo potenti e ti facciamo questo”.

Secondo Rana, il blocco israeliano di Gaza, imposto nel 2007, ha esaurito le risorse e le energie dei gazawi per riuscire a fronteggiare le pesanti sfide degli attacchi militari.

“Solo sopravvivere e essere in grado di far fronte alle sfide di ogni giorno è estenuante”.

Secondo quanto riportato dai medici, adulti e bambini della Striscia di Gaza soffrono di profondi traumi psicologici che inevitabilmente si acquiscono durante i periodi di conflitto intenso.

In seguito alla guerra di Israele su Gaza, nel novembre 2012, l’incidenza di traumi psicologici e disturbi post-traumatici è aumentata del 100%, secondo l’UNRWA.

Dati rilasciati dall’UNICEF mostrano come dopo il conflitto si è registrato un aumento del 91% di disturbi del sonno nei bambini e dell’85% di perdita dell’appetito negli adulti.

UNRWA riporta inoltre un considerevole aumento degli aborti spontanei.

Nashashibi riferisce che disturbi del sonno, enuresi notturna, ansia e sintomi psicosomatici come problemi di cuore, alta pressione e perfino il cancro sono tutte conseguenze del vivere nella paura continua.

Ne risente anche la capacità delle persone di svolgere il loro lavoro e la forte ansia causa mancanza di concentrazione nei bambini impedendo lo sviluppo delle loro capacità intellettuali ed emotive.

“Lanciare dei missili su qualcuno che sta dormendo è come dire ‘non puoi scappare’. Ma anche se volessi scappare, dove vai? Gaza è una grande prigione”.

“Israele punta a far sentire le persone indifese e spera che esse non riescano più a sopportare queste condizioni. Per sperare di realizzare i tuoi sogni devi sapere di essere al sicuro e al riparo, in mancanza di questo le persone non sentono d’avere un futuro”.

“Gli abitanti di Gaza mostrano cosa significhi restare umani”

Il medico norvegese Mads Gilbert a Gaza ha riferito a Ma’an che circa il 10% della popolazione di Gaza soffre di sintomi clinici e i bambini dopo gli attacchi israeliani di solito soffrono di enuresi notturna e forte ansia per un periodo che va dai tre ai sei mesi; la maggior parte di essi ha già visto la morte e altre tragedie. 

Gilbert afferma che “c’è un modo molto semplice per far sì che i bambini non siano più traumatizzati: semplicemente fermare i bombardamenti. C’è un modo semplice per alleviare il disagio psicologico: la fine del blocco”.

Egli sostiene che, nonostante il pesante fardello psicologico che il vivere in una zona di guerra comporta, la struttura della famiglia nella società palestinese, il senso di comunità e la religione sono le risorse com le quali gli abitanti di Gaza sviluppano la capacità di recupero e fronteggiano i continui disagi.

“Sono stato qui nel 2006, 2008 e nel 2012 ed ogni volta vivo la stessa esperienza. La cosa più impressionante è questa loro capacità di far fronte alle difficoltà, non si spezzano sotto pressione, vengono piegati ma non trasformati e mantengono la loro umanità”.

Nonostante la necessità medica di assistere i feriti fisici e psicologici a Gaza, Gilbert è fermamente convinto che solo un’equa soluzione politica e la fine del sistema discriminatorio di Israele possano portare sollievo a questa popolazione sotto assedio.

“A Gaza dopo sette anni di assedio nel quale nessuno dovrebbe essere forzato a vivere, l’anormalità diventa normalità. Il mondo deve capire che la popolazione di Gaza, come ogni altro popolo, vuole vivere in pace ed avere dignità ed equità”.

L’enorme divario, in termini di forza militare, dà ad Israele un vantaggio automatico, ma Gilbert sostiene che Israele sta affrontando un popolo che non si piegherà.

“Li puoi bombardare quanto vuoi ma non si arrendereanno. Gli abitanti di Gaza mostrano cosa significhi restare umani in condizioni atroci, nonostante Israele li tratti come animali”.

Nashashibi concorda che il livello di capacità di ripresa mostrato dai gazawi difronte alle atrocità è notevole, e sostiene che i suoi colleghi a Gaza sono più motivati rispetto a quelli in Cisgiordania e Gerusalemme Est: anche questo dimostra quanto gli abitanti di Gaza “amino la vita e vogliano cercare il loro benessere interiore”.

“Noi come palestinesi, non solo come gazawi, non abbiamo altra scelta che resistere perché per il nostro benessere mentale la nostra unica opzione è resistere. La nostra motivazione, la nostra volontà di resistere, è quello che ci fa andare avanti, e credo sia molto importante”.

“Il valore della vita”

Nonostante l’alto numero di vittime a Gaza, i media israeliani e i portavoce militari hanno deciso di ignorare l’impatto dell’azione militare di larga scala sui civili, riferendosi a loro come complici di Hamas, o semplicemente vittime poiché si trovavano nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Le immagini circolate online di cittadini israeliani a Sderot che mangiavano popcorn mentre esultavano quando le bombe cadevano su Gaza, sono una dimostrazione che la vita dei gazawi conta meno di quella degli israeliani.

“Solo per un istante proviamo a sederci davanti allo specchio e chiediamoci cosa sarebbe accaduto se, Dio non voglia, 18 membri di una famiglia israeliana fossero stati uccisi da un attacco palestinese. O cosa accadrebbe se 100 osraeliani morissero”, chiede Gilbert.

“In questa semplice domanda sta proprio il problema di cui i palestinesi sono perfettamente consci: il diverso valore delle loro vite”.

Nashashibi sostiene che il livello della violenza usata da Israele e il supporto di alcuni settori della popolazione, è una tendenza di cui la società israeliana dovrebbe preoccuparsi.

“Come psicologa vorrei dire che Israele dovrebbe preoccuparsi di come questi atti incidano sulla comunità perché sono pieni di odio. Quei soldati pieni di odio non odiano solo i palestinesi: il loro odio avrà un impatto negativo anche sulla loro vita. Se la società israeliana non farà niente per aiutarli, essa soffrirà per l’odio crescente presente al suo interno”.

Traduzione di Amina Hussein