Gli attacchi di Israele alle università palestinesi sono una minaccia per i diritti umani e una tragedia per questa generazione di studenti.

L’istruzione in Palestina deve fare i conti con il sistematico ostruzionismo israeliano: dalle chiusure forzate delle scuole, alle incursioni nei campus , all’oppressione dei singoli studenti e insegnanti, inclusi arresti arbitrari e detenzioni senza processo

Independent.co.uk. Sophia Brown. (Da InvictaPalestina). Il fondamentale diritto all’istruzione è sancito dal diritto internazionale. L’articolo 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo recita: “Ogni individuo ha diritto all’istruzione”, mentre decreta anche che “l’istruzione superiore deve essere ugualmente accessibile a tutti sulla base del merito”. Le sfide attualmente affrontate dalle università palestinesi  dimostrano che nei Territori Palestinese Occupati (OPT) questo diritto universale viene gravemente compromesso.

Come potenza occupante, lo stato di Israele è obbligato a garantire che i civili sotto occupazione non siano privati ​​dei loro diritti umani fondamentali. La quarta Convenzione di Ginevra  stabilisce che le potenze occupanti sono soggette a obblighi sostanziali, incluso il benessere generale della popolazione – che comprende l’accesso all’istruzione – e che la deportazione forzata è vietata. Mentre dalla comunità internazionale e dai suoi governi è ampiamente accettato che Israele continui a violare la quarta Convenzione di Ginevra, lo stesso Israele – nonostante abbia sottoscritto la Dichiarazione –  si rifiuta di applicarla ai TPO, mantenendo il suo dominio su ogni aspetto della società palestinese.

Cosa significa tutto questo per le università palestinesi oggi? La libertà di movimento è una questione sostanziale : la vasta rete di posti di blocco, il muro di separazione, le strade che sono chiuse ai Palestinesi e gli stessi insediamenti, che obbligano i Palestinesi a compiere viaggi sempre più tortuosi nel raggiungere le loro destinazioni. Quando ho parlato con alcuni  ricercatori di Al-Haq, un’organizzazione palestinese per i diritti umani con sede a Ramallah, nella West Bank, questi  hanno evidenziato l’impatto quotidiano  che tutto ciò ha sul regolare accesso all’istruzione. Gravi ritardi possono significare lezioni perse, un viaggio di 20 minuti può facilmente richiedere più di due ore. Ma  come sottolineano molti accademici e studenti, il più insidioso  è l’effetto cumulativo: le migliaia di ore altrimenti produttive perse nelle code dei checkpoint e i livelli di ansia e stress che ciò determina.

Nel frattempo, per decenni, il settore dell’istruzione – scuole e università – ha dovuto fare i conti con  il sistematico ostruzionismo israeliano, dalle chiusure forzate, ai raid nei campus e all’oppressione di singoli studenti e insegnanti, inclusi arresti arbitrari e detenzioni senza processo. Secondo Sam Bahour, ex membro del consiglio di amministrazione della Birzeit University e co-fondatore della campagna Right to Enter, un’organizzazione di base che difende i diritti di accesso, movimento e residenza negli OPT, è importante considerare questo attacco all’educazione come parte di un quadro più ampio dell’oppressione israeliana sulle vite dei Palestinesi e come una determinazione a soffocare la crescita naturale di una società, per non parlare dell’emergere di uno stato palestinese.

Bambini di Khan el Ahmar attendono la demolizione delle loro case in Cisgiordania

Facendo eco ai commenti di Bahour, gli analisti di al-Haq hanno notato che l’occupazione sta ridisegnando il tessuto della società palestinese proprio attraverso  le pressioni esercitate sull’educazione. Hanno sottolineato che le restrizioni imposte al movimento hanno cancellato per gli studenti la libertà di scelta su dove studiare, soprattutto a livello universitario. Questo è qualcosa che influisce negativamente  soprattutto sulle studentesse, con le famiglie sempre più preoccupate di lasciarle viaggiare per lunghe distanze, data la natura imprevedibile degli spostamenti  attraverso gli OPT. Secondo Bahour in questo modo si crea una forma di “consanguineità”; le università sono diventate troppo localizzate e isolate, con la mancanza di diversità e varietà di esperienze che hanno inevitabilmente un effetto negativo sulla pluralità di prospettive e idee. Di nuovo, questo fa parte del quadro più ampio dell’occupazione israeliana. “La frammentazione geografica degli OPT si riflette nella frammentazione della società che parte dalle università palestinesi”, afferma Bahour. Tali questioni sono fortemente esacerbate a Gaza, che è completamente isolata a causa del blocco in corso, mentre deve anche lottare con  una profonda crisi umanitaria.

Nessuno di questi problemi è nuovo. Né lo sono i tentativi di resistervi. Negli anni ’70  ad esempio l’Università di Birzeit, vicino a Ramallah,  diede vita a Right to Education, una campagna per assistere il personale e gli studenti in caso di arresto e di reclusione. Ma la necessità di proteggere l’accesso all’istruzione dei Palestinesi è più urgente che mai. A luglio la campagna Right to Enter  ha denunciato l’intensificazione, durante lo scorso anno, della politica di Israele nell’indebolire l’educazione palestinese a tutti i livelli,  citando poi una serie di esempi per illustrare le loro gravi preoccupazioni: demolizioni di scuole, minacce di ulteriori demolizioni, espulsione di accademici internazionali e negazione dei visti a ricercatori in visita.

Lo scorso anno a un numero crescente di titolari di passaporti stranieri (molti dei quali di origine palestinese, che non avevano i documenti di soggiorno richiesti da Israele ma il cui rilascio dipende da Israele stesso) è stato negato l’ingresso nel Paese o non è stato loro rinnovato il visto. La situazione a Birzeit, dove attualmente sono a rischio 15 membri di facoltà, è talmente disastrosa che a luglio è stata rilasciata una dichiarazione che avvertiva che “se questa politica continuerà, le università palestinesi, compresa l’Università di Birzeit, saranno ulteriormente isolate dall’ambiente accademico globale” . Da allora, due professori sono già stati costretti ad uscire dal Paese.

Raja Shehadeh, l’eminente avvocato palestinese e avvocato per i diritti umani, ha descritto il complicato processo per ottenere il permesso di lavoro in Israele e il sistema dei visti come “un vero processo kafkiano”. In un recente articolo sul “Times Higher Education”, ha deplorato l’estrema incertezza creata da un sistema in cui un visto può essere rilasciato un anno e poi sommariamente ritirato il successivo. Scrivendo su Haaretz, Daphna Golan l’ha definita “una forma di violenza burocratica”.

Un aspetto fondamentale del mondo accademico è lo scambio internazionale: l’opportunità di studiare all’estero, di partecipare a conferenze, di imparare dai docenti in visita, di beneficiare di uno staff e di un corpo studentesco diversi. In effetti, è anche sicuramente uno dei diritti dell’uomo, dato che l’articolo 26 afferma che l’educazione “deve promuovere comprensione, tolleranza e amicizia tra tutte le nazioni, gruppi razziali o religiosi”. Il mondo accademico palestinese invece viene forzatamente e sempre più isolato dal mondo. Come sottolinea Shehadeh: “Gli studenti palestinesi hanno poche opzioni per studiare all’estero, quindi se vogliono acquisire un’istruzione di qualità con una prospettiva internazionale è vitale che le università locali siano in grado di attingere all’esperienza internazionale”.

Bahour afferma che in ​​risposta alla loro “educazione sotto costrizione” i Palestinesi sono diventati creativi e adattabili  nel cercare di sfruttare al meglio le limitate opportunità offerte. Avendo visitato le università della West Bank e  partecipato alle lezioni, anch‘io l’ho notato . Ma gli studenti palestinesi dovrebbero essere in grado di proseguire i loro studi senza queste enormi e inarrestabili sfide. E i loro docenti, compresi quelli della comunità internazionale, dovrebbero essere liberi di poter insegnare.

La dott.ssa Sophia Brown è un’accademica il cui lavoro si concentra sulla letteratura palestinese contemporanea. Recentemente, è stata visiting fellow presso l’Istituto Kenyon di Gerusalemme Est.

(Foto di copertina: Bandiere palestinesi nel villaggio beduino di Khan al-Ahmar in attesa di sfratto. Bel Trew).

Traduzione per InvictaPalestina di Grazia Parolari.

Fonte: https://www.independent.co.uk/voices/israel-palestine-conflict-universities-education-students-gaza-middle-east-a8594446.html?fbclid=IwAR25x_LDP2NbtV6Pcm9c0yfn9gABWLRNI7rvG-55qm_UgZdyReQ0TjDDTEc