Gravi torture nelle carceri israeliane mirano al crollo della fermezza palestinese: Walid Hanatsheh, Samer Arbeed, Mays Abu Ghosh ed altri

ImemcNegli ultimi mesi del 2019 e all’inizio del 2020 è stato documentato un numero crescente di casi di gravi torture fisiche contro i detenuti palestinesi durante gli interrogatori israeliani dello Shin Bet. La tortura e gli abusi di vario genere sono stati un pilastro negli interrogatori israeliani, ma dopo una sentenza della Corte suprema israeliana del 1999, al centro dell’attenzione internazionale, la tortura sotto interrogatorio per alcuni anni si è concentrata su tecniche fisiche e psicologiche che avevano meno probabilità di lasciare segni fisici. Tuttavia queste tattiche, tra cui la privazione del sonno, il caldo e il freddo estremi, l’isolamento e l’uso prolungato di catene in posizioni dolorose, sono spesso efficaci nell’ottenere confessioni forzate.

Tortura: un pilastro dell’apartheid e del colonialismo israeliani.

In effetti, molte delle stesse tecniche sono state documentatamente utilizzate negli interrogatori statunitensi di detenuti a Guantanamo, e le agenzie di sicurezza statunitensi e israeliane hanno condiviso informazioni sulle tecniche di interrogatorio e tortura. Va notato che la Corte suprema israeliana non ha mai criminalizzato la tortura; ha continuamente permesso “eccezioni” designando un detenuto come “bomba a orologeria”. In pratica, le vittime della tortura palestinese hanno ripetutamente cercato di ottenere la responsabilità legale per i crimini commessi contro di loro, per scoprire che la Corte Suprema israeliana ha considerato la loro tortura una forma consentita di “estremo interrogatorio”, giustificata per la “sicurezza dello stato” di occupazione, colonialismo, apartheid e razzismo.

La tortura è senza dubbio illegale ai sensi del diritto internazionale. La Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura definisce la tortura come qualsiasi pratica che infligge intenzionalmente un grave dolore fisico o mentale a una vittima al fine di ottenere informazioni o una confessione, o per punire la vittima per la sua condotta o sospetta condotta. La tortura è inoltre vietata dalle leggi di guerra e dal Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici.

La tortura di Samer Arbeed.

Il caso di Samer Arbeed ha contribuito a evidenziare il crescente ritorno di gravi torture fisiche come politica ufficiale dello Shin Bet israeliano. Solo pochi giorni dopo il suo arresto, Arbeed fu trasportato in stato di incoscienza all’ospedale di Hadassah con undici costole rotte, lesioni polmonari e insufficienza renale. Durante il suo ricovero in ospedale, una guardia israeliana ha rilasciato gas lacrimogeni nella sua stanza, dopo di che Arbeed ha sviluppato la polmonite. Nonostante le evidenti prove di gravi torture e la documentazione medica del suo abuso, la Corte Suprema israeliana ha negato ad Arbeed la protezione legale del suo avvocato per un lungo periodo, mentre agli avvocati palestinesi è stato ripetutamente ordinato il silenzio.

Samer Arbeed non è il solo. Mentre i portavoce israeliani dello Shin Bet infangano i prigionieri palestinesi con attacchi mediatici, questi stessi prigionieri sono sottoposti a gravi torture fisiche e psicologiche durante gli interrogatori. In una conferenza stampa di dicembre, Addameer Prisoner Support e Human Rights Association hanno messo in evidenza alcune delle tecniche di tortura utilizzate dagli interrogatori israeliani, tra cui duri pestaggi, posizioni di stress come la “rana” o “banana”, privazione del sonno e minacce contro i familiari.

Gli avvocati palestinesi evidenziano torture e abusi.

Come osservato da Addameer, “il 10 settembre 2019, è stato emesso un ordine di bavaglio per un certo numero di casi sotto interrogatorio presso il centro di interrogatorio di al-Mascobiyya. Pertanto, è vietato al pubblico – incluso Addameer, il rappresentante legale – pubblicare qualsiasi informazione relativa a questi casi. L’ordine di bavaglio è stato emesso sulla base di una richiesta dell’agenzia di intelligence israeliana e della polizia israeliana, ed è stato rinnovato più volte. Nonostante l’ordine del silenzio, i media israeliani e l’agenzia di intelligence israeliana hanno pubblicato informazioni al pubblico su alcuni di questi casi. Questa incoerente esecuzione dell’ordine del bavaglio, in cui le fonti israeliane hanno esercitato la libertà di pubblicare, può essere intesa solo come un mezzo per influenzare l’opinione pubblica. Ancora più importante, l’emissione di questo ordine di bavaglio è un tentativo di nascondere i crimini commessi contro i detenuti e di impedire al pubblico e ai rappresentanti legali di esporre i dettagli dei crimini di tortura e maltrattamenti commessi contro i detenuti in questione nei mesi scorsi”.

Walid Hanatsheh: tortura sotto interrogatorio.

Il 17 gennaio 2020, le foto di Walid Hanatsheh, uno dei palestinesi detenuti, sono state rilasciate ai media: il suo corpo mostrava chiari segni di tortura avvenuta durante gli interrogatori. Bayan Hanatsheh, la moglie di Walid, ha dichiarato in un’intervista pubblicata su Hadf News che la famiglia ha ottenuto delle foto che mostravano i lividi su mani, collo, piedi e su tutto il corpo. Ha dichiarato che dopo il suo interrogatorio è stato portato al tribunale militare su una sedia a rotelle e che Walid ha dichiarato in tribunale di non essere in grado di camminare a causa delle gravi torture subite. Il suo avvocato – di Addameer – ha chiesto al giudice di rivelare le circostanze in cui Hanatsheh è stato interrogato.

“Dopo che la corte di occupazione ha revocato il divieto di partecipazione al processo, siamo entrati in aula per due minuti e abbiamo visto un uomo che sembrava un vecchio: all’inizio non lo abbiamo riconosciuto, ma poi egli mi si è rivolto chiamandomi per nome”, ha detto Bayan. “Inorridii nel vederlo, i suoi occhi lacrimavano, la sua barba era a chiazze e strappata … la sua unica preoccupazione era di rassicurarci perché gli era stato proibito di comunicare con noi durante il suo interrogatorio”.

Bayan ha anche raccontato che la loro figlia, Mays, 21 anni, è stata detenuta dalle forze di occupazione israeliane per tre giorni nel tentativo di estrarre una confessione forzata da suo marito. Gli dissero che sua figlia era incarcerata e minacciata e gli mostrarono anche un video in cui le forze di occupazione israeliane irrompono nella loro casa di famiglia a Ramallah e prendono le misure per la sua demolizione.

Gli avvocati di Hanatsheh hanno dichiarato che egli è stato interrogato continuamente per 23 ore alla volta, con la sostituzione degli interrogatori ogni otto ore circa. È stato incatenato in varie posizioni di stress e picchiato fino a farlo cadere a terra. Gli sono stati strappati i peli della barba ed è stato colpito in faccia in più interrogatori.

Crimini sconvolgenti richiedono un’azione.

Sahar Francis, direttore esecutivo di Addameer, osserva che le foto nel caso di Hanatsheh “sono importanti per dimostrare e documentare la tortura. Sfortunatamente non riusciamo a ricevere foto per tutti i casi. In altri casi abbiamo rapporti medici senza immagini ma con una descrizione della situazione del prigioniero, come nel caso di Samer Arbeed”.

L’ex prigioniero, che a lungo ha attuato lo sciopero della fame Khader Adnan, ha commentato le foto, definendole “sconvolgenti”. Ha sollecitato l’attenzione nazionale palestinese a rispondere con urgenza ai crescenti crimini di tortura, paragonando l’esperienza dei prigionieri palestinesi alle famigerate immagini della prigione di Abu Ghraib sotto l’occupazione americana in Iraq.

Il Fronte popolare per la liberazione della Palestina ha rilasciato una dichiarazione in risposta ai ripetuti casi di torture gravi, rilevando che “Il Fronte ha sperimentato e affrontato la politica della tortura per oltre 50 anni e ha sviluppato una scuola che ha diplomato generazioni di rivoluzionari, che hanno lottato e continuano a lottare nei sotterranei e nelle celle degli interrogatori, che non si spaventano per i crimini e le politiche di tortura.

Il Fronte ha sottolineato che la comunità internazionale e le istituzioni interessate hanno trascurato i crimini che si svolgono nei sotterranei delle prigioni dell’occupante sionista, indicando ancora una volta la complicità dell’imperialismo in questi crimini “.

Vittime della tortura non sono solo Hanatsheh e Arbeed; secondo quanto riferito, si sono verificate gravi torture fisiche nei casi di Qassam Barghouthi e Karmel Barghouthi, la cui madre Widad è stata detenuta come metodo di pressione sui suoi figli, e nei casi di Yazan Maghamis e Nizam Mohammed.

I giovani attivisti palestinesi subiscono torture.

Diversi altri prigionieri hanno subito torture fisiche, tra cui percosse e l’uso di posizioni di stress: tra loro la giovane attivista palestinese neolaureata Abu Ghosh, i cui genitori hanno raccontato di come l’hanno trovata dopo gli effetti della tortura e degli interrogatori. Più che essere accettati in visita in famiglia, i genitori di Abu Ghosh sono stati in realtà utilizzati un ulteriore tentativo di ottenere da Abu Ghosh una confessione falsa e forzata.

L’attivista palestinese Tareq Matar è stato ripetutamente incarcerato senza accusa o processo sotto detenzione amministrativa; dopo il suo ultimo arresto e interrogatorio, nel novembre 2019, dopo essere stato picchiato in posizioni di stress durante gli interrogatori Matar ora si sposta su una sedia a rotelle, nonostante il suo precedente stato di salute fisica e la pratica atletica. 

Jamil Darawi, 37 anni, ha trascorso 14 anni in una prigione israeliana. È stato nuovamente arrestato nel novembre 2019 quando i soldati israeliani hanno fatto irruzione nella sua casa di famiglia vicino a Betlemme, abbattendo la porta e chiudendo sua moglie Rawan in una stanza con le loro tre figlie. Come i suoi compagni prigionieri palestinesi, Darawi è stato duramente picchiato e torturato durante gli interrogatori. Rawan racconta che quando lo ha visto in tribunale non lo ha riconosciuto finché non si è sentita chiamare: “Sono qui, Rawan, sono Jamil!” La sua mascella era fratturata per i pugni ricevuti da un interrogatore israeliano, il quale gli aveva poi calpestato il viso una volta caduto a terra. È stato riportato all’interrogatorio dopo aver ricevuto antidolorifici e il suo volto era ancora sfigurato quando è stato finalmente portato davanti ai tribunali militari.

Si chiede giustizia.

Addameer ha annunciato l’intenzione di sollevare questi casi dinanzi a organismi internazionali, per chiedere giustizia per le vittime palestinesi della tortura e per dichiarare responsabile lo stato israeliano, l’autore di questi crimini. A Gaza, il Fronte popolare per la liberazione della Palestina ha inscenato una protesta lunedì, davanti all’ufficio del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR), per chiedere un’azione internazionale sulla tortura israeliana istituzionalizzata.

L’uso sistematico della tortura negli interrogatori israeliani non intende solo estrarre confessioni false e forzate dai palestinesi sotto interrogatorio; mira anche a minare e prevenire la loro fermezza, la riluttanza a confessare. Il sumoud palestinese (fermezza) sotto interrogatorio e il rifiuto di fornire informazioni è stato oggetto di numerosi studi e tributi. Il libro, “Filosofia del confronto dietro le sbarre”, descriveva in dettaglio come i prigionieri si rafforzino per resistere a tutte le forme di tortura. Durante gli oltre 70 anni di occupazione israeliana, oltre 70 prigionieri palestinesi sono stati uccisi sotto tortura.

Negli ultimi decenni, tuttavia, nella stragrande maggioranza dei casi i prigionieri palestinesi sono giunti al patteggiamento: le forze di occupazione israeliane prolungano le sessioni giudiziarie militari, gli interrogatori e negano le visite dei familiari al fine di estrarre una qualche forma di confessione limitata per un accordo di appello. I prigionieri che si rifiutano di fornire la confessione richiesta sono spesso trasferiti in detenzione amministrativa, detenzione senza accusa o processo indefinitamente rinnovabile. I palestinesi hanno trascorso periodi lunghi anni in detenzione amministrativa.

Attacchi ai prigionieri palestinesi e attacchi ai movimenti globali.

La cosiddetta “Commissione Erdan”, nominata dal ministro israeliano della pubblica sicurezza (sul servizio carcerario israeliano) Gilad Erdan – che funge anche da ministro degli affari strategici, responsabile dell’attacco alle campagne mondiali per la solidarietà palestinese e per il movimento del Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (Bds) – ha annunciato un giro di vite sui successi ottenuti dai prigionieri palestinesi in anni di lotta. Pertanto, alle donne detenute viene negato l’accesso a una biblioteca o agli strumenti per ricamo e artigianato; i bambini detenuti vengono trasferiti senza i loro rappresentanti; si sta riducendo l’accesso al cibo e all’acqua; le condizioni di vita sono appena tollerabili.

La riaffermazione delle torture fisiche viene di pari passo con questa politica generale di guerra israeliana contro i prigionieri palestinesi. Viene anche di pari passo con gli attacchi crescenti a livello internazionale contro le organizzazioni palestinesi per i diritti umani e contro gli attivisti globali per i diritti dei palestinesi, infangati dal ministero di Erdan con accuse basate su confessioni forzate rilasciate sotto tortura o sulla propaganda militare israeliana diretta.

Erdan ha tentato di far tagliare i finanziamenti alle organizzazioni palestinesi per i diritti umani che si occupano dei prigionieri palestinesi. Il suo ministero ha anche tentato – fallendo – di impedire agli attivisti di Samidoun e alle persone di sinistra palestinesi come Khaled Barakat di parlare al Parlamento europeo sulla repressione israeliana.

Necessità di agire.

Samidoun Palestinian Prisoner Solidarity Network riconosce l’urgente necessità di rafforzare il fronte per affrontare la tortura israeliana a livello internazionale attraverso la lotta popolare, compresa l’escalation della campagna di Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (Bds). Non dobbiamo permettere all’occupazione israeliana di tenere i prigionieri palestinesi in isolamento o che essi siano lasciati soli per il nostro silenzio. La tortura è stata parte integrante delle armi di controllo coloniali israeliane per oltre 70 anni e l’impunità dello stato israeliano – sostenuta dalle potenze imperialiste statunitensi, europee, canadesi ed altre – potrebbe non essere autorizzata a continuare. Invitiamo tutti ad agire.

Chi desideri unirsi alla crescente campagna contro la tortura, è pregato di contattarci all’indirizzo samidoun@samidoun.net.

Traduzione per InfoPal di Stefano Di Felice