Gruppo di esperti: gli aiuti Usa fanno male all’economia d’Israele

Imemc. L'influente Istituto di Gerusalemme per gli studi sul mercato (Igsm) ha pubblicato uno studio secondo il quale gli aiuti finanziari degli Stati Uniti a Israele rappresentano una perdita netta per il paese.

Secondo l'analisi, ogni dollaro di aiuti Usa costa infatti a Israele fino a 1,4 dollari, un dato che fa commentare a Yarden Gazit, l'esperto dell'Igsm autore dell'articolo, che “Israele sarebbe più ricco se ne facesse a meno”. Questo è dovuto alle condizioni con cui gli Stati Uniti forniscono tre miliardi di dollari [circa 2,2 miliardi di euro, ndr] ogni anno a Tel Aviv, che prevedono che venga fornito un sostegno simile anche all'Egitto, alla Giordania, all'Arabia Saudita ed ai palestinesi. Di conseguenza, lo Stato israeliano è costretto a spendere più di tre miliardi di dollari nella difesa, in modo da mantenere l'equilibrio di potenza nei confronti degli altri paesi della regione.

Lo studio osserva anche un altro problema, e cioè che il valore effettivo degli aiuti americani è di molto inferiore ai tre miliardi. Washington richiede infatti che il 75% della cifra venga speso negli Usa. “Quando si ricevono dei voucher del valore di 300 dollari validi solo in un determinato negozio, è ovvio che questi valgono in realtà meno di 300 dollari: con una parte della somma, il cliente acquisterà beni che avrebbe potuto comprare altrove a un costo inferiore, e con un'altra parte acquisterà beni che non aveva intenzione di comprare. Similmente, il requisito 'comprare americano' fa sì che Israele importi, a un prezzo superiore, prodotti per la difesa di cui magari non ha neanche bisogno.

“L'industria israeliana perde così fino a 750 milioni di dollari [circa 560 milioni di euro, ndr] a causa degli aiuti di Washington”.

Ma non basta, poiché anche il settore della difesa in Israele è danneggiato in ben quattro modi. In primo luogo, secondo l'Igsm, il ministero acquista prodotti Usa anche se l'industria israeliana è di per sé in grado di produrre articoli più economici e maggiormente compatibili con le esigenze dell'esercito. L'industria stessa si ritrova quindi con una perdita annuale che va dai 600 ai 750 milioni di dollari [dai 450 ai 560 milioni di euro, ndr].

In secondo luogo, il ministero della Difesa richiede spesso che le compagnie israeliane acquistino delle costose materie prime negli Stati Uniti per sfruttare le concessioni finanziarie. Questo però innalza i costi dei prodotti finali venduti dall'industria israeliana, e ne danneggia la competitività sul mercato internazionale.

Terzo, l'esercito israeliano, facendo le sue compere principalmente negli Usa, evita di utilizzare parte dei prodotti per la difesa disponibili sul mercato nazionale. Questo danneggia la reputazione dell'industria israeliana sul mercato internazionale, e potrebbe causare una perdita di acquirenti.

Infine, l'industria israeliana perde dei potenziali contratti vantaggiosi a causa delle limitazioni imposte dagli Stati Uniti sulle esportazioni dei prodotti militari.

L'Igsm fa anche notare che i miliardi di dollari garantiti ogni anno all'apparato della difesa disincentivano il ministero a riformarlo e ad economizzare sulle spese: “Perché un politico o il capo di un ministero dovrebbe investire del capitale politico nel promuovere l'efficienza e le riforme per la crescita, se può sempre ricorrere agli americani e chiedere altri aiuti, altre garanzie e condizioni più favorevoli?” è la domanda che pone Gazit.

In conclusione, e secondo le previsioni dell'istituto, la crisi economica e il deficit in continua crescita degli Stati Uniti, insieme all'ascesa di nuove potenze quali India e Cina, entrambe interessate ai prodotti israeliani, sono fattori che accresceranno il danno economico e strategico degli aiuti statunitensi negli anni a venire. Per questo, gli esperti raccomandano al governo israeliano di cominciare a fare a meno dei finanziamenti Usa.

 

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