Guardia del corpo di ribelle siriano, disertore per passare all’Isil, svela i segreti della leadership jihadista

The Telegraph. Guardia del corpo di ribelle siriano, disertore per passare all’Isil, svela i segreti della leadership jihadista
L’ex guardia del corpo dice che, nonostante la propaganda che li dipinge come «leader dei musulmani», i comandanti dell’Isil sono pragmatici, spinti più dal potere e dal denaro che da ideologie religiose
Di Ruth Sherlock, Gaziantep
Saddam Jamal puntò la pistola a un padre e a una madre, e li costrinse a guardare il suo compagno jhiadista uccidere uno ad uno i loro figli.
Il comandante dell’Isil non provò rimorso per aver ucciso questa famiglia siriana, dice la guardia del corpo, né riteneva di compiere un atto richiesto da Dio: per lui essere un membro del gruppo estremista era una questione di affari, non una questione religiosa.
«A iniziare da un ragazzino tredicenne, allinearono i figli in ordine di altezza, e li decapitarono in quell’ordine», dice la guardia del corpo, che si fa chiamare Abu ‘Abdullah e che ora ha disertato.
«Poi appesero le teste alla porta della scuola nella quale la famiglia si era nascosta».
Prima di unirsi all’Isil, Jamal era stato uno spacciatore di droga, poi un comandante dell’Esercito siriano libero appoggiato dall’Occidente, con asseriti contatti alla Cia.
Potrebbe sembrare una storia poco coerente per un ideologo religioso, ma l’intervista rilasciata da Abu ‘Abdullah al Telegraph dimostra che la leadership militare dello Stato islamico dell’iraq e del levante è meno pura, dal punto di vista religioso, di quanto la propaganda non suggerisca.
Ora la coalizione guidata dagli Stati Uniti è impegnata in uno sforzo comune per distruggere la leadership dell’Isil. Per ora, limitati dalla mancanza di un’intelligence efficace, i loro attacchi aerei sono stati opportunistici, o di supporto a operazioni terrestri compiute da truppe curde o irachene.
Nello scorso fine settimana gli Stati Uniti hanno colpito almeno due volte dei bersagli di «leadership» – un convoglio vicino a Mosul venerdì, e una riunione nella cittadina di Al-Qaim sabato – su 18 attacchi in territorio iracheno.
Un portavoce del Pentagono ha detto che non era ancora sicuro se il leader dell’Isil Abu Bakr al-Baghdadi fosse rimasto ferito, ma il suo consigliere, Abu Suja, era stato ucciso.
Lunedì il ministro della difesa ha confermato che un drone Reaper, della Raf, aveva pure preso parte negli attacchi in Iraq, per la prima volta, sparando un missile Hellfire su dei combattenti che stavano lanciando delle bombe artigianali a nord di Baghdad.
Secondo gli analisti la perdita del «califfo» Ibrahim, come i seguaci chiamano al-Baghdadi, sarebbe un duro colpo per il loro morale, ma la struttura dell’Isil sopravviverebbe, avendo egli delegato i poteri a un circolo interno di «ministri» ideologi jihadisti.
Ma il grosso dei combattimenti è sostenuto da combattenti di provenienza diversa, anche dall’esercito smantellato di Saddam Hussein. Altri hanno un passato anche più oscuro.
Saddam Jamal era uno spacciatore di droga, dice Abu ‘Abdullah al Telegraph. Poi, a guerra iniziata, egli si arricchì con i suoi finanziatori, diventando infine un comandante di alto livello nell’Esercito siriano libero appoggiato dall’Occidente.
Dopo aver disertato per passare all’Isil, racconta Abu ‘Abdullah, egli seguì l’esempio di altri «emiri» e leader dell’Isil, che regnavano sui loro territori con la violenza, le estorsioni e l’ipocrisia.
«Rapiscono e ammazzano», egli racconta. «Non ci pensano due volte a far saltare un intero edificio occupato da donne e bambini solo per uccidere una persona».
Molti dei loro combattenti locali e stranieri fumano, ma se scoprono un civile che fuma lo arrestano, lo frustano e lo costringono a svolgere servizi per la comunità. Perché questo doppio standard?
La guerra contro la Siria è caratterizzata da alleanze instabili, che vedono i ribelli unirsi a gruppi armati secolari o islamisti, o a lasciarli, a seconda di chi può garantire migliori finanze.
In questo l’Isil non era molto diverso, dice Abu ‘Abdullah. Jamal, che ora è il secondo comandante per gli affari militari di tutta la Siria orientale, dietro al noto jihadista ceceno Abu ‘Omar ash-Shishani, è stato fino allo scorso anno un leader di alto livello del Consiglio militare supremo, un organismo di coordinamento che coordina i gruppi ribelli grazie al denaro e alle armi ricevuti dagli alleati occidentali, con il supporto della Cia.
Ma il gruppo che egli comandava, Liwa Allah Akbar, era una diramazione dell’Ahfad ar-Rasoul, un gruppo sostenuto dall’Occidente che si è separato dall’Isil l’anno scorso. L’Isil attaccò la sua base nella cittadina di Abu Kamal, nella provincia di Deir ez-Zour, vicino al confine con l’Iraq, distruggendo il gruppo e provocando la sua dispersione.
«L’Isil fece saltare la casa di Jamal, uccidendo uno dei suoi fratelli. Rapirono un altro dei fratelli e poi lo uccisero, dopo di che Jamal scomparve», racconta Abu ‘Abdullah.
Poi, nel novembre dell’anno scorso, Jamal riapparve in un video in cui giurava fedeltà all’Isil e definìva «apostati» i ribelli dell’Esercito siriano libero.
Ad aprile, Jamal, ora con una lunga barba, era egli stesso al comando di un attacco contro la ancora ribelle Abu Kamal, riuscendo a conquistarla e a dichiararla parte dello «Stato islamico».
Nei mesi seguenti egli diventò molto potente in quell’area, e represse selvaggiamente la rivolta contro l’Isil di una tribù locale, gli Shaitat, 700 dei quali, tra uomini e ragazzi, vennero uccisi.
La decapitazione dei bambini alla quale Jamal assistette, facevano parte di questa tribù.
«Ci vorrebbero giorni per poter raccontare la violenza alla quale ho assistito», dice Abu ‘Abdullah.
L’uccisione dei bambini non è stato nemmeno l’evento che lo ha sconvolto di più, e ricorda l’»emiro» della vicina cittadina di Shehil, il quale costrinse il proprio figlio di 8 anni a tagliare la gola a un prigioniero.
«Sorreggeva la mano col coltello di suo figlio, e gli fece tagliare la gola di un combattente dell’Esercito siriano libero accusato di organizzare attacchi contro l’Isil», racconta.
Quando non ce la fece più a sopportare il comportamento brutale del suo capo, Abu ‘Abdullah, con altri due gruppi di guardie del corpo, decise di andarsene.
Quattro di loro vennero uccisi quando si conobbero le loro intenzioni di andarsene.
Anche alcuni combattenti stranieri, adescati con le promesse della «santa jihad», avrebbero voluto andarsene una volta visto il comportamento reale del gruppo, ma non ce la fecero, dice Abu ‘Abdullah.
«Riguardo a Jamal, a lui non interessa davvero se la missione diffonde l’Islam. Tutto quel che gli interessa è diventare più potente. Ora, se dovesse emergere un’organizzazione più forte, entrerebbe a farne parte. E di uomini così, nell’Isil, ce ne sono molti».
Traduzione di Stefano Di Felice