Guerra a Gaza: perché Israele sta perdendo la battaglia delle pubbliche relazioni?

Middle East Eye. Di Mohamad Elmasry. Israele si trova ad affrontare numerose battute d’arresto militari a Gaza e fa di tutto per ottenere il sostegno globale al suo bombardamento indiscriminato dei palestinesi.

Nella sua attuale guerra contro Gaza Israele non è stato in grado di compiere progressi significativi rispetto al suo obiettivo militare primario: eliminare Hamas.

Dopo più di 80 giorni di combattimenti, Hamas rimane in gran parte intatto, continuando a lanciare razzi su Israele e a infliggere pesanti perdite al personale militare israeliano all’interno di Gaza.

Israele inoltre non è riuscito a realizzare il suo obiettivo militare secondario: liberare tutti gli ostaggi israeliani presi da Hamas nell’ambito dell’attacco del 7 ottobre.

Giudicate esclusivamente in base agli obiettivi dichiarati, le cose per l’esercito israeliano non stanno andando come previsto. Anche se l’esito della campagna militare israeliana resta da vedere, non c’è dubbio che Israele stia decisamente perdendo la guerra delle pubbliche relazioni.

Le perdite di PR di Israele vengono riconosciute anche dagli analisti israeliani che scrivono sul Jerusalem Post e sul Times of Israel, così come, tra gli altri, dai simpatizzanti israeliani del Washington Post e della Casa Bianca.

Non sono solo le persone del mondo arabo e musulmano, o più in generale del Sud del mondo, a rivoltarsi contro Israele. I cittadini delle società occidentali, soprattutto i più giovani, stanno diventando sempre più critici nei confronti di Israele.

Genocidio in live streaming.

I sondaggi sull’opinione pubblica dell’Europa occidentale sono illuminanti. Essi hanno rilevato che solo il 35% dei tedeschi sostiene la posizione filo-israeliana del proprio governo, gli spagnoli sono più propensi a sostenere la Palestina che Israele e una stragrande maggioranza degli irlandesi si oppone all’operazione militare israeliana a Gaza.

I britannici sono effettivamente divisi su Israele-Palestina, una realtà che rappresenta un allontanamento dal precedente, schiacciante sostegno pubblico britannico a Israele.

I dati dei sondaggi negli Stati Uniti raccontano una storia simile. Ad esempio, un recente sondaggio di Harvard-Harris ha mostrato che gli americani nella fascia di età compresa tra i 18 e i 24 anni sono equamente divisi tra il sostegno ad Hamas e il sostegno a Israele.

In modo più significativo, forse, circa il 60% dei giovani americani di età compresa tra i 18 e i 24 anni ritiene che l’attacco di Hamas contro Israele del 7 ottobre fosse giustificato, con quasi la metà di quelli nella fascia di età tra i 25 e i 34 anni e il 40% di quelli tra i 35 e i 44 anni che la pensano allo stesso modo.

Esiste probabilmente una correlazione tra consumo dei media e opinione pubblica. In Occidente i media mainstream, che storicamente hanno sostenuto in maniera schiacciante Israele, non hanno più il monopolio dell’informazione.

Centinaia di milioni di occidentali, e in particolare di giovani occidentali, sono collegati a siti di social media come TikTok, YouTube, Instagram e X (ex Twitter). Questi utenti dei social media hanno visto, spesso in modo vivido, la carneficina inflitta da Israele a civili innocenti sia a Gaza che in Cisgiordania.

Questo tipo di immagini sui social media è diventato così diffuso ed è così dannoso per Israele che il governo israeliano si è lamentato con TikTok e Meta, proprietaria di Facebook e Instagram, chiedendo la rimozione di migliaia di post.

A quanto pare, gli sforzi israeliani hanno dato i loro frutti, con la censura sistematica dei contenuti filo-palestinesi che sta diventando pervasiva.

Per almeno due ragioni, tuttavia, gli sforzi di censura saranno di scarsa utilità, almeno nel breve termine.

Innanzitutto, il proverbiale danno è già stato fatto: i post grafici condivisi milioni di volte possono essere rimossi, ma non dalla memoria di chi li ha visti. In secondo luogo, e cosa ancora più importante, è probabile che la censura filo-israeliana scateni una rabbia anti-israeliana ancora maggiore proprio tra i gruppi demografici che Israele vorrebbe conquistare.

Perché Israele sta perdendo la guerra delle pubbliche relazioni?

Ci sono almeno tre cause principali dei problemi di pubbliche relazioni di Israele. In primo luogo, ci sono difficoltà di base associate al fare pubbliche relazioni per uno stato occupante dell’apartheid che sta portando avanti attivamente un genocidio. In secondo luogo, alcuni israeliani si sono comportati in modo ribelle e hanno diffuso messaggi dannosi per gli sforzi di pubbliche relazioni del loro paese. In terzo luogo, gli sforzi ufficiali di pubbliche relazioni israeliane hanno sofferto di una fondamentale incompetenza. Voglio affrontare le questioni singolarmente.

Causa 1: le PR non possono fare miracoli.

Le organizzazioni, compresi i governi, dispongono di piani di controllo dei danni ma sperano di non doverli mai utilizzare. Un’utile linea guida sulle PR consiglia di evitare comportamenti negativi che renderanno necessario il controllo dei danni.

Per più di 80 giorni Israele ha bombardato indiscriminatamente aree civili densamente popolate e ucciso più di 21.000 persone, il 70% delle quali bambini e donne.

In molti casi, Israele ha preso di mira direttamente i civili e le infrastrutture civili, inclusi ospedali, rifugi, scuole, case e le cosiddette “rotte sicure”.

Più di 100 lavoratori delle Nazioni Unite sono stati uccisi, il numero più alto di qualsiasi altro conflitto nella storia delle Nazioni Unite, oltre a quasi 70 (sono oltre 100, ndr) giornalisti uccisi in quello che il Comitato per la protezione dei giornalisti ha descritto come “il periodo più mortale per i giornalisti” da quando l’organismo di vigilanza ha iniziato a raccogliere dati nel 1992. 

Ciò che rende le pubbliche relazioni peggiori per Israele è che il suo bombardamento militare è stato preceduto da numerose dichiarazioni di suoi alti funzionari che suggerivano intenti genocidari.

Ad esempio, il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha affermato di aver ordinato un “assedio totale” di Gaza, impedendo a tutto il cibo, l’acqua e il carburante di raggiungere la Striscia; il primo ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato la sua intenzione di trasformare Gaza in una “isola deserta”; il presidente Isaac Herzog ha affermato che Israele non fa alcuna distinzione tra civili palestinesi e combattenti di Hamas.

Gallant ha anche detto che Israele “eliminerà tutto”, mentre il portavoce militare Daniel Hagari ha detto che l’enfasi militare di Israele sarà sul “danno e non sulla precisione”.

Israele ha anche impedito l’ingresso di medicinali a Gaza, e le pochissime strutture mediche rimaste operative sono state costrette a eseguire interventi chirurgici, comprese le amputazioni, senza anestesia.

Un recente rapporto del Programma alimentare mondiale afferma che gli abitanti di Gaza soffrono ora di una “fame catastrofica”.

Numerosi esperti di diritto umanitario internazionale hanno affermato che la distruzione di Gaza da parte di Israele, combinata con le dichiarazioni ufficiali che mostrano intenti genocidi, suggerisce che Israele stia compiendo un genocidio secondo il diritto internazionale. Raz Segal, un professore associato israeliano di studi sull’olocausto e sul genocidio, ha affermato che Israele sta portando avanti un “caso da manuale di genocidio”.

Anche i migliori professionisti delle pubbliche relazioni avrebbero difficoltà a lucidare un genocidio. Come dice il vecchio adagio: “Puoi mettere il rossetto su un maiale; è pur sempre un maiale.

Causa 2: comunicazione non autorizzata.

Subito dopo l’attacco del 7 ottobre, un giornalista del canale israeliano i24 News ha riferito che i militanti di Hamas avevano decapitato bambini israeliani. Nel suo rapporto egli ha fornito informazioni su un comandante israeliano.

La storia è stata ampiamente ripresa dai principali organi di informazione occidentali ed è stata persino menzionata più volte dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden, che ha affermato di aver “visto” lui stesso le immagini. Sia il governo israeliano che la Casa Bianca sono stati costretti a respingere questa affermazione, che era palesemente falsa.

Il novembre scorso un video che mostrava un’infermiera palestinese che denunciava Hamas è diventato virale. Il ministero degli Affari Esteri israeliano ha ritwittato il video.

Tuttavia, il governo israeliano è stato successivamente costretto a cancellare il video perché si è scoperto che era stato messo in scena da un’attrice israeliana che fingeva di essere palestinese.

Durante tutta la guerra a Gaza, i soldati israeliani hanno filmato e diffuso video in cui commettevano grottesche violazioni dei diritti umani contro i palestinesi. Questi video, così come video simili pubblicati dai soldati israeliani nella Cisgiordania occupata, hanno ulteriormente danneggiato l’immagine di Israele.

Gli attivisti per i diritti umani hanno pubblicato i video come prova delle atrocità israeliane. Negli ultimi giorni tali video hanno anche generato una copertura mediatica critica.

Causa 3: Incompetenza.

Almeno alcuni dei problemi di pubbliche relazioni di Israele possono essere attribuiti alla pura incompetenza. Due settimane fa l’esercito israeliano ha organizzato un presunto arresto di massa di combattenti di Hamas, che erano stati spogliati, bendati e filmati mentre si arrendevano a Israele.

Apparentemente l’evento aveva lo scopo di mostrare al pubblico israeliano che i militari stavano facendo progressi nella cattura dei “terroristi”.

Le indagini però hanno presto rivelato due dettagli importanti. Innanzitutto, gli uomini erano palestinesi comuni, non combattenti. In secondo luogo, l’evento è stato inscenato, con i soldati israeliani che hanno ordinato ai prigionieri palestinesi di eseguire più riprese di un’apparente resa con le armi. A causa dell’indignazione diffusa, Israele alla fine è stato costretto a prendere le distanze dal video.

In un altro incidente, l’esercito israeliano ha fornito un tour videoguidato dell’ospedale al-Shifa di Gaza, che aveva attaccato e saccheggiato. Il portavoce militare Daniel Hagari ha recitato nel video, con l’intenzione di dimostrare che Hamas aveva utilizzato l’ospedale come “centro di comando e controllo”.

Ad un certo punto, Hagari ha indicato un calendario arabo, sostenendo che mostrava un programma di turni terroristico. Indicando il calendario, Hagari ha detto: “Questa è una lista di guardiani, dove ogni terrorista scrive il suo nome e ogni terrorista ha il suo turno”. Come hanno subito notato gli spettatori arabi, il calendario era un semplice calendario da parete contenente solo i giorni della settimana. Il video è diventato virale sui social media, con migliaia di post e meme che deridevano la fallita trovata pubblicitaria.

Israele ha perso ulteriori punti in termini di pubbliche relazioni quando le indagini, inclusa una del Washington Post, hanno concluso che Hamas non stava utilizzando al-Shifa come centro di comando o per qualsiasi altro scopo militare.

Le PR fallite hanno importanza?

Israele si rende conto di perdere terreno nella battaglia per l’opinione pubblica, soprattutto tra i giovani. Questo è probabilmente il motivo per cui il governo israeliano sta inondando i social media con pubblicità a pagamento e sta puntando pesantemente su TikTok, Instagram e altri siti di social media.

Se Israele fosse una società, una celebrità o un paese non alleato con gli Stati Uniti, ci sarebbero gravi conseguenze per una gestione così miserabile dell’immagine.

Nel lungo termine esiste il rischio reale che Israele perda qualunque posizione gli sia rimasta, cosa che potrebbe avere un impatto sulle realtà politiche sul campo.

Nel breve termine, però, Israele può essere rassicurato sul fatto che sta convincendo le uniche persone che contano: i funzionari statunitensi. Finché gli Stati Uniti continueranno a usare il proprio peso per proteggere Israele e promuovere la sua narrativa, Israele potrà permettersi di rovinare la propria immagine.

Traduzione per InfoPal di Stefano Di Felice