Guerra al BDS: le priorità di Israele e dell’AIPAC sono ora quelle degli USA

MEMO. Di Ramzy Baroud. La guerra dichiarata da Israele e dagli Stati Uniti al movimento di boicottaggio sta per esplodere, con tentativi ben orchestrati di soffocare ogni forma di protesta contro il processo di colonizzazione della Palestina.

Tuttavia, nonostante il sostegno statunitense, una ‘vittoria’ israeliana è tutt’altro che scontata. Quando si tratta di giustificare l’uccisione dei manifestanti pacifici al confine con Gaza, Israele tira fuori la carta dell’autodifesa. Ma promulgare leggi incostituzionali che minano il diritto delle persone a boicottare uno stato che commette crimini di guerra potrebbe non essere altrettanto semplice.

Il fatto che 26 Stati negli USA abbiano già approvato normative tese, a diverso titolo, a condannare i gesti di disobbedienza civile promossi dal movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) dovrebbero, in effetti, destare sospetti sull’influenza negativa esercitata da Israele sugli Stati Uniti.

Il primo decreto del Senato Statunitense del 2019, intitolato “Rafforzamento della sicurezza dell’America in Medio Oriente nel 2019” faceva appello ai governi a livello statale e locale affinché non siglassero contratti con ditte o liberi professionisti che boicottano Israele.

Il decreto non è stato approvato, e questo è un segnale incoraggiante. Tuttavia, appare significativo, e per certi versi anche oltraggioso, che uno stato che in questo momento è paralizzato da un blocco governativo e da una profonda crisi politica trovi urgente e necessario promuovere una legislazione in difesa di un Paese straniero.

Con ogni probabilità, il decreto verrà riproposto. Purtroppo, gli americani dovrebbero abituarsi all’idea che le priorità di Israele, per quanto irrazionali e viziate dalla necessità di difendere l’occupazione militare illegale della Palestina, diventeranno il cavallo di battaglia dei governi statunitensi nel prossimo futuro.

Sicuramente, questo non stato è un concetto estraneo alla politica degli Stati Uniti neanche in passato, ma finora i comuni cittadini non erano mai stati il bersaglio diretto degli obiettivi strategici del governo di estrema destra guidato da Benjamin Netanyahu.

Di fatto, contro questo governo non è consentita neanche l’espressione del dissenso. Angela Davis, 74 anni, simbolo della lotta per i diritti civili negli USA, e giustamente tenuta in grande considerazione per il suo contributo alla civiltà americana, si è vista negare un premio attribuitole dal Birmingham Civil Rights Institute a causa del suo sostegno ai Palestinesi e al BDS.

Questa caccia alle streghe, oltre a colpire i più stimati intellettuali americani, inizia a mirare anche i comuni cittadini, e questo è un segnale inquietante che denuncia la nefasta influenza esercitata da Israele sugli Stati Uniti.

Ma in che modo Israele e i suoi sostenitori hanno acquisito un simile, sproporzionato potere sul governo e sulla società americani?

Due parole: la lobby.

Sotto la spinta dell’American Israeli Public Affairs Committee (AIPAC) e di altri lobby filo israeliane, il congresso statunitense è ora alla guida della guerra condotta da Israele contro il popolo palestinese e contro gli attivisti che lo sostengono. Nel fare questo, tentano di minare alle basi i valori democratici americani.

Questa battaglia, che vedrà un sicuro inasprimento nel 2019, è iniziata quando l’AIPAC ha dichiarato, nella sua “2017 Lobbying Agenda” (PDF) che la priorità era la criminalizzazione del BDS.

Il congresso statunitense, da sempre prono agli interessi del governo e delle lobby israeliane, ha sposato con entusiasmo la causa dell’AIPAC. Tutto questo è culminato nel Senate Bill S.720, anche noto come “Anti-Israel Boycott Act” (Atto contro il boicottaggio), teso a vietare le azioni di boicottaggio nei confronti di Israele e degli insediamenti ebraici illegali nei territori occupati della Cisgiordania.

Il decreto ha ottenuto il parere favorevole di 48 senatori e di 234 membri del congresso. Come prevedibile, la prima bozza è stata redatta dallo stesso AIPAC.

Secondo il disegno di legge, i trasgressori verrebbero puniti con una sanzione pecuniaria tra i $250,000 e $1 milione e con 10 anni di detenzione.

Le misure anti-palestinesi non sono una novità negli USA: il Partito Democratico e il Partito Repubblicano condividono il fervore filo israeliano, unito alla completa indifferenza nei confronti dei Palestinesi. Resta da vedere se l’elezione di donne progressiste e musulmane possa cambiare o quanto meno mettere in discussione questo dato di fatto.

Per il momento, la triste verità è che chi dovrebbe fungere da guardiano della Costituzione la sta violando impunemente. Il primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti è sempre stato il pilastro in difesa del diritto di parola, di stampa, e del “diritto di riunirsi pacificamente, e di in assemblea e di fare petizioni al governo per la riparazione dei torti”.

Tuttavia, questo diritto è stato sovente limitato in difesa di Israele. Il Centro per i Diritti Costituzionali fa riferimento a questo fatto come alla “Eccezione palestinese”.

Per quanto assurdo possa sembrare, ci sono anche degli aspetti positivi. Già da anni, la richiesta di sostegno contro i palestinesi e gli arabi da parte di Israele viene percepita come l’ingerenza di un Paese straniero nel sistema politico statunitense, e come una minaccia alla democrazia americana.

L’Atto contro il Boicottaggio è il più osceno fra questi interventi, perché va a demolire il Primo Emendamento, usando come carnefici gli stessi parlamentari americani.

Ma questo scenario non si verificherà, semplicemente perchè gli ideali più nobili non possono essere sconfitti.

Inoltre, per Israele, si tratta di un nuovo approccio, non limitato alle tradizionali tattiche di minaccia e intimidazione, forte del sostegno degli Stati Uniti.

Più la lobby prova a schiacciare il BDS, più porta alla luce il controllo serrato che esercita sui media e sul governo americano.

Israele non sembra un buon discepolo della storia. Non ha imparato niente dall’esperienza della lotta contro l’apartheid in Sudafrica. Non sorprende che sia rimasto l’ultimo sostenitore del regime di apartheid che vigeva in quel Paese, prima della sua caduta.

Questo è il momento propizio per gli autentici paladini dei diritti umani, indipendentemente dalla loro razza, religione o cittadinanza, perché nessun cambiamento avviene se le persone non sono unite nella lotta e nel sacrificio.

Traduzione per InfoPal di Romana Rubeo