Hamas, i FM, la Palestina e il Risiko mediorientale

Di Angela Lano. Il mondo arabo sunnita va alla “guerra”, e lo fa con il sostegno di Paesi della Nato, come la Turchia e gli USrael, e delle petro-monarchie liberticide e violatrici dei più basilari diritti umani – Qatar e Arabia Saudita in testa. La guerra, mediatico-politica, e militare, è contro il regime siriano, anch’esso certamente liberticida, ma non peggiore dei ricchissimi e ipocriti – veri sepolcri imbiancati – reami del Golfo Arabico, pieni di petrolio, dollari, corruzione e violenza di Stato contro oppositori, e le cui carceri rigurgitano di prigionieri politici. E contro l’Iran, sciita e non allineato ai diktat Usraeliani.

L’Ufficio politico di Hamas si è apertamente e chiaramente schierato contro il governo di Damasco, fino a poco più di un anno fa amico (nonostante allora non fosse meno regime di adesso), attirandosi addosso le comprensibili critiche di gran parte del mondo laico pro-palestinese, di sinistra come di destra, dei cristiani, degli sciiti e di quei sunniti che non fanno parte della sempre più potente e dilagante confraternita della Fratellanza Musulmana.

Non è estraneo certamente a tale scelta radicale del movimento di resistenza islamica il fatto che ora la sua sede politica sia in Qatar: questo piccolo e miliardario Stato si sta comprando gran parte del mondo arabo (governanti, leader, partiti, notabili e notabilotti) e pure qualche porzione dell’Occidente in crisi.

Che in Siria ci sia bisogno di risolvere urgentemente la crisi in corso ormai da un anno e mezzo, e con strumenti interni e non esterni, è evidente, ma che la strategia “atlantica” scelta da Hamas sia condivisibile è tutto da vedere. Ciò che è chiaro è invece la lacerazione del mondo islamico e la sua conflittualità ormai palese. Ne è un esempio proprio il caso “Hamas” e l’ondata di accuse lanciate da un fronte e dall’altro sulla presa di posizione anti-Assad.

Chi ha gestito la questione siriana – attori prevalentemente esterni  – e chi si è lasciato coinvolgere dalle manovre imperialiste – la Fratellanza Musulmana – non solo per patriottici obiettivi locali ma per mire espansioniste e tattiche poco lungimiranti – sapeva bene quale direzione prendere e dove andare a parare: la divisione inter-islamica, la frattura di un potente un asse di resistenza contro Israele, il caos mediorientale e quindi la sua gestione da parte USraeliana. Che Hamas abbia voluto prendere le distante da un regime flirtando con altri ancora peggiori, e fino a poco tempo fa nient’affatto alleati, per riallinearsi con la Fratellanza Musulmana dalla quale è nato, non ha motivazioni umanitarie immediatamente riconoscibili, a meno di non voler credere davvero che Qatar e Arabia Saudita siano dei paladini dei diritti umani…

In tutto questo complicato, contraddittorio e nebuloso Risiko mediterraneo, dove le ribellioni accreditate ufficialmente sono mediterraneo e vicino-orientali in quanto ne lasciano fuori altre, altrettanto importanti, come in Bahrein, Arabia Saudita, Yemen, la posta in gioco sono la Palestina, la Siria e l’Iran. Tutte e tre strategicamente fondamentali per le politiche imperialiste di Stati Uniti e Israele, e per le aspirazione turche di guida dei Paesi islamici. Ogni giocatore ha il proprio piano di conquista e vittoria da raggiungere e non lesina alleanze strategiche con i co-protagonisti locali: Fratelli Musulmani e filiazioni varie, anch’essi con obiettivi di potere tutt’altro che irrilevanti.

Siria e Iran probabilmente riusciranno a non soccombere – per capacità interne, potenza militare e politica, e per il sostegno di Russia e Cina, contrarie a ogni intervento militare. Sarà la Palestina a perdere tutto. Non ci sarà uno Stato palestinese degno di questo nome: la Cisgiordania e Gerusalemme stanno perdendo terra in modo esponenziale a causa delle rovinose politiche dell’Anp gestita da Fatah, e della grande distrazione di massa offerta dalle primavere arabe, che distolgono l’attenzione da Israele che sta spingendo l’acceleratore sulla colonizzazione della Palestina storica. La Striscia di Gaza non sta affatto meglio ora che in Egitto ci sono i Fratelli, che non hanno aperto il valico di Rafah, limitandosi a promesse, affettuosi abbracci, tante delegazioni e molta retorica. E ora che ci si mette pure Hamas a scendere a patti con i piani imperialisti Usa-qatarioti-sauditi, il “game-over” è alle porte.

Certamente il movimento di resistenza islamica, coraggioso e perseguitato per decenni, potrà apprezzare il piacevole relax di non essere più bandito dalla comunità internazionale occidentale (e pure araba), e ascendere, come sta accadendo da un anno a questa parte alla sua organizzazione madre, la Fratellanza, alle vette delle diplomazie ufficiali europee e statunitensi, ma a che prezzo?

A meno che il piano strategico non sia la creazione di una sorta di neo-califfato, una volta che i FM avranno conquistato il potere, insieme agli altri loro alleati tattici, i neo-salafiti wahhabiti e jihadisti, dal Mediterraneo al Medio Oriente. Un califfato che scatenerebbe una guerra santa contro Israele e si rivolterebbe contro l’alleato del momento, gli Usa.

Tuttavia di mezzo, e di traverso, ci saranno proprio i salafiti, che hanno sempre dimostrato che appena accedono al potere ricoprono del loro manto oscurantista, ignorante e violento tutto ciò che toccano, seminando distruzione; e c’è la fitna intra-islamica tra sunniti e sciiti, voluta dal fondamentalismo sunnita e incoraggiata da USrael, che porterà, se i giochi di alleanze e conflitti in corso andranno avanti senza soluzioni pacifiche, a una vasta guerra regionale che distruggerà il Mediterraneo e il Medio Oriente. A quel punto, addio al califfato e pure alla Palestina. E lunga vita al fondamentalismo USraeliano-saudita.