Hamas, Mashaal e prospettive di una pace sostenibile. 2a parte

Hamas, Mashaal e prospettive di una pace sostenibile.

Palestinechronicle.com. Di Richard Falk.

2a parte.

Ci si potrebbe chiedere, come può Hamas avere il coraggio di farsi avanti con una richiesta del genere, visto che la continua pioggia di missili ha reso la vita pericolosa e miserabile per più di un milione di israeliani che abitano nella zona meridionale di Israele sin da quando Israele si è “disimpegnato” nel 2005? Una domanda retorica di questo tipo ripetuta più volte senza fare riferimento all’assedio o alla violenza di Israele ha distorto l’immagine che l’Occidente ha della situazione, suggerendo che quando Israele attacca l’indifesa Gaza sta semplicemente esercitando i suoi diritti di difesa, che sono un riconoscimento fondamentale per qualsiasi stato sovrano. Ancora, una più accurata interpretazione dipende dalla piena comprensione del contesto nel suo complesso, il quale include: il piano americano di sovvertire il risultato della vittoria elettorale di Hamas nel 2006, equipaggiando Fatah con armi pesanti; il blocco punitivo che Israele ha indetto da metà del 2007 [Vanity Fair, 2008] e molte istanze di violenza provocatoria da parte di Israele, tra cui un continuo flusso di omicidi mirati, reazioni eccessive e letali al confine con Gaza. Sebbene non sia tutta la storia, il rapporto unilaterale delle morti tra Israele e la Palestina è una buona approssimazione di responsabilità relativa nel periodo dell’ascesa di Hamas a Gaza, ed è scioccante. Innanzitutto, tra la tregua del 2009 e l’attacco di Israele nel novembre 2011, 271 palestinesi sono stati uccisi e non un solo israeliano. [Rapporto B’Teselm]. Il rispettabile opinionista di Haaretz, Gideon Levy, ha sottolineato che da quando i primi razzi furono lanciati contro Israele nel 2001, 59 israeliani sono morti in confronto a 4717 palestinesi.

I media occidentali sono sorprendentemente ignari di queste complicazioni di percezione e non divulgano quasi mai le provocazioni di Israele nella cronologia dei casi di violenza delle parti, inoltre omettono di riconoscere che sono stati gli israeliani, non i palestinesi, per la maggior parte i responsabili della fine di lunghi periodi di tregua. Ci sono inoltre altri elementi di confusione nel quadro degli eventi, tra cui la presenza di alcune milizie estremiste palestinesi che lanciano missili a dispetto della politica di Hamas, la quale negli ultimi anni ha generalmente limitato i missili a ruoli di rappresaglia. Tra le ironie dell’assassinio di al-Jabari c’è il fatto che il suo ruolo era evidentemente quello di bloccare tali milizie per conto di Hamas e di disciplinare gli estremisti che rifiutavano di rispettare la politica di limitazione dei missili a situazioni di rappresaglia.

Non c’è dubbio che il ricorso di Hamas a missili lanciati nella direzione della popolazione civile di Israele sia stata una violazione delle leggi internazionali in ambito umanitario, e dovrebbe essere condannata come tale, ma anche tale condanna non manca di aspetti problematici. Il Rapporto Goldstone ha condannato l’utilizzo di questi missili in un tono tipicamente decontestualizzato, cioè senza riferimenti all’illegalità dell’occupazione ed il largo utilizzo di punizioni collettive, nella forma di embargo, arbitrarie e violente incursioni e un terrificante regime di assoggettamento che trasmette ai palestinesi un senso di totale vulnerabilità e impotenza. Il Rapporto Goldstone ha inoltre omesso di sottolineare la natura e la portata di un diritto di resistenza palestinese. Tali condanne incondizionate di Hamas, definita come “un’organizzazione terroristica”, sono irragionevolmente unilaterali, al punto che i diritti morali, politici e legali dei palestinesi alla resistenza vengono ignorati e le politiche illegali di Israele non vengono considerate. Tale questione rivela inoltre una seria mancanza del diritto umanitario internazionale, specialmente, come in questo caso, in un contesto di occupazione prolungata che include numerose violazioni della maggior parte dei diritti fondamentali ed inalienabili di un popolo occupato. Le prerogative degli stati vengono difese, mentre quelle delle persone vengono ignorate o considerate inesistenti.

È inoltre importante tenere in considerazione l’assenza di mezzi alternativi con cui i palestinesi possano far valere i propri diritti secondo la legge internazionale e far fronte agli abusi di cui le politiche di occupazione di Israele sono imbevute. Israele con i suoi ronzii, i suoi elicotteri Apache, aerei da combattimento F-16, la sua Cupola di Ferro, e così via si gode il lusso di scegliere bersagli a proprio piacimento, ma i palestinesi non hanno una simile possibilità. Per loro, la scelta ricade sull’utilizzo di armi primitive ed indiscriminate a loro disposizione o rassegnarsi ad un intollerabile status quo. Sia chiaro, questo non rende legali i missili di Hamas, ma il loro utilizzo è davvero sbagliato, dato il contesto generale di violenza, che include impunità assoluta per le violazioni di Israele del codice penale internazionale? Cosa possiamo fare con il diritto internazionale quando è invocato solamente per controllare il comportamento della parte più debole?

Da questa prospettiva si potrebbe immaginare la situazione invertita rispetto al periodo dell’occupazione Nazista durante la Seconda Guerra Mondiale. Coloro che combattevano con la resistenza venivano percepiti dall’Occidente liberale come eroi assoluti, senza porre alcuna attenzione al fatto che le tattiche mettessero ingiustificatamente in pericolo le vite di civili innocenti. Coloro che hanno perso la vita per la resistenza sono stati onorati come martiri. Mashaal e altri leader di Hamas hanno affrontato discussioni simili in diverse occasioni, chiedendosi effettivamente che cosa debbano fare i palestinesi per esercitare una resistenza date le circostanze, che si sono protratte per un periodo così lungo, dati i fallimenti della diplomazia tradizionale e delle Nazioni Unite per assicurare i diritti della popolazione ai sensi del diritto internazionale.

In effetti, una comprensione sensibile del contesto è cruciale per capire a fondo la situazione, la quale rende fuorvianti le compiaciute condanne dei punti di vista e delle tattiche di Hamas e di Khaled Mashaal. Inoltre, se si presta attenzione, condanna le parti ad un destino di eterno conflitto. I principali media occidentali, di certo, non aiutano, presentando gli attacchi missilistici come se accadessero nel vuoto, senza rilevanti provocazioni di Israele. Certamente i sostenitori di Israele risponderebbero che è facile fare certe affermazioni da una distanza di sicurezza, ma qual è la distanza di sicurezza? “Solo noi corriamo rischi”, direbbero con una comprensibile ostilità. Ma cosa si potrebbe dire della tremenda situazione dei palestinesi, non hanno anch’essi il diritto di rimediare?

C’è una via d’uscita da questo dilemma? Dal mio punto di vista, solo quanto il contendente più forte tratta militarmente “l’altro”, come se avesse diritti, motivi di risentimento, e riconosce che la sicurezza “del sé” si deve basare sulla reciprocità, una pace sostenibile avrà una possibilità di successo. In questo conflitto, gli israeliani hanno perso una grande opportunità per muoversi in questa direzione, quando la parte palestinese, quella più debole, ha fatto una concessione storica, limitando le proprie ambizioni alla Palestina Occupata (il 22% della Palestina storica, metà del territorio che le Nazioni Unite proposero nel piano di spartizione del territorio) in conformità con l’immagine di consenso di una soluzione proposta nella Risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Al contrario, Israele, ha cercato di invadere sempre di più su ciò che rimaneva della Palestina, con i suoi insediamenti, muri di separazione, l’apartheid delle strade e annessioni, lasciando i palestinesi senza un’alternativa se non la resistenza all’oppressione. Non ci si stupisce che l’accomodante Autorità Palestinese abbia supportato i recenti festeggiamenti per l’anniversario di Hamas e si sia unita proclamando l’intenzione di riconciliarsi, riunendo Hamas e Fatah sotto l’OLP, Organizzazione per la Liberazione della Palestina.

È possibile considerare il discorso di Khaled Mashaal a Gaza come la visione definitiva del credo di Hamas, ma sembra un giudizio prematuro e non saggio. Al contrario, è tempo di dare una possibilità ad una diplomazia equa, se davvero c’è ancora spazio politico per implementare il consenso alla creazione di due stati. Nel caso in cui non ci fosse, allora è tempo di considerare delle alternative, tra cui il ritorno ad una Palestina unita, che sia governata seguendo gli standard dei diritti umani e il diritto internazionale. Se la realtà del 2012 è che la diplomazia è in un vicolo cieco, allora si dovrebbe concludere che la leadership sionista in Israele si è spinta troppo oltre, specialmente nella sua insistenza a considerare la Cisgiordania e la Gerusalemme Est come parti integranti dell’Israele biblico, riferendosi alla prima come “Giudea e Samaria” e alla seconda come l’eterna capitale ebraica. Ciò ha minato la fattibilità politica, morale e legale del piano sionista. Queste opzioni alternative avrebbero dovuto essere chiarite molto tempo fa, ed ora, prendendo sul serio “l’alternativa pacifica” definita da Mashaal, specialmente a seguito dell’appoggio Assemblea Generale allo Stato di Palestina e ad una imminente unità palestinese, rimane un’ultima possibilità di adottare una soluzione pacifica. Bisognerebbe accordare una possibilità, seppure remota, alle posizioni orientate alla pace di guidare i nostri pensieri, i nostri sentimenti e le nostre azioni.

– Richard Falk is Albert G. Milbank Professor Emeritus of International Law at Princeton University and Visiting Distinguished Professor in Global and International Studies at the University of California, Santa Barbara. He has authored and edited numerous publications spanning a period of five decades, most recently editing the volume, International Law and the Third World: Reshaping Justice (Routledge, 2008). He is currently serving his third year of a six year term as a United Nations Special Rapporteur on Palestinian human rights. (Visit his blog: http://richardfalk.wordpress.com).

Traduzione per InfoPal a cura di Cinzia Trivini Bellini