Hamas, Mashaal e prospettive di una pace sostenibile. 1a parte.

Palestinechronicle.com. Di Richard Falk.

Prima parte. Traduzione a cura di Cinzia Trivini Bellini.

In seguito alla commovente visita di Khaled Mashaal a Gaza, per celebrare il 25esimo anniversario di Hamas, i commenti di Israele e del’Occidente si sono focalizzati sulle sue osservazioni ad una manifestazione, definiti come “devianti” e come dimostrazione della “vera faccia” di Hamas. Particolare enfasi è stata posta sulla plateale promessa di Mashaal di restaurare l’antica Palestina, dal Mediterraneo alla Giordania, “centimetro per centimetro”, non importa quanto tempo ciò richiederà. Mashaal ha inoltre sfidato la legittimità del progetto sionista e giustificato la resistenza palestinese in tutte le sue forme, sebbene abbia disapprovato l’intenzione di attaccare i civili in quanto tali e negato qualsiasi complicità di Hamas nell’incidente del 21 novembre in Israele, quando una bomba è esplosa in un autobus a Gerusalemme.

Queste osservazioni di certo suscitano preoccupazione tra gli israeliani moderati, i quali continuano a sostenere una soluzione che preveda due stati, in accordo con la Risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza ONU, allo stesso tempo; tuttavia, è importante prestare attenzione alle richieste di Hamas, prima di raggiungere una soluzione definitiva. Bisogna tenere in considerazione che ciò che Mashaal ha detto a Gaza, lo ha affermato durante un raduno volto a riaffermare gli sforzi della regione, subito dopo i recenti attacchi di Israele (nome in codice Colonne di Nuvole), durati 8 giorni. Inoltre Mashaal è un leader che per la prima volta in 45 anni ha osato mettere piede nella sua madrepatria oppressa e sotto occupazione. Egli ha vissuto in esilio, in vari stati della regione, da quando aveva 11 anni, dato che è nato nel quartiere di Selwad a Ramallah, allora sotto il controllo della Giordania. Mashaal è tra coloro che Israele ha cercato di assassinare nel 1997, in un noto incidente in Giordania, in cui solo la cattura degli agenti del Mossad indusse Israele a fornire l’antidoto salvavita contro il veleno spruzzato nelle orecchie di Mashaal, in cambio del rilascio dei propri agenti dalle prigioni giordane. Nell’immaginario di Mashaal, questo ritorno a Gaza è stato la sua “terza nascita”, considerando come prima la data della sua nascita nel 1956, come seconda il momento in cui è sopravvissuto all’attacco israeliano e come terza quando, ritornato a Gaza, ha potuto baciare la sua terra. Questi dati biografici sembrano piuttosto rilevanti nell’analisi delle sue osservazioni fatte in pubblico.

La realtà dei fatti è stata amplificata dal successo di Gaza e Hamas nel resistere agli ultimi violenti attacchi militari di Israele, che ha portato ad ottenere una tregua con alcune condizioni favorevoli per Gaza, tra cui l’impegno di Israele di astenersi da omicidi mirati in futuro. Il contesto è stato influenzato da dolorose memorie recenti e passate, che sono state la causa scatenante lo scoppio della violenza. In modo particolare l’omicidio del leader militare e diplomatico di Hamas, Ahmed al-Jabari, ed il 22 maggio 2003, data dell’assassinio del fondatore spirituale, disabile, Sheikh Ahmed Yassin. Dopo la morte dello Sheikh Yassin, Marshaal è stato dichiarato il “leader mondiale” di Hamas.

L’elemento più importante del contesto, che è necessario tenere in considerazione, è l’apparente incongruenza tra il linguaggio infervorato usato da Mashaal a Gaza e il suo tono moderato nel corso di varie interviste con giornalisti occidentali nelle ultime settimane. In tali interviste, Marshaal ha chiaramente sottolineato di essere pronto ad una tregua a lungo termine (a long-term hudna or truce), purché Israele ponga fine all’occupazione della Cisgiordania, di Gerusalemme est e di Gaza e acconsenta a confermare i diritti dei palestinesi secondo la legge internazionale. Ha inoltre chiarito che tali diritto includono il diritto al ritorno appartenente a circa 4-5 milioni di palestinesi che vivono nei campi profughi o in esilio. Mashaal ha inoltre asserito che tale diritto merita di essere riconosciuto più del diritto al ritorno che Israele garantisce a tutti gli ebrei, anche a quelli che non hanno alcuna precedente connessione con la Palestina storica. Di certo una richiesta di questo diritto è potenzialmente una minaccia per Israele e per il Sionismo, in quanto potrebbe, almeno in teoria, minacciare la maggioranza ebraica in Israele. Il fatto che molti palestinesi, di fronte alla possibilità di tornare a vivere in Israele e abitare le case dei propri antenati, scelgano di ritornare sembra discutibile. In ogni caso il diritto di decidere spetta indiscutibilmente ai palestinesi, quantomeno a coloro che hanno abitato nell’attuale Israele in precedenza.

In queste interviste, Mashaal si è dimostrato coerente riguardo alla volontà di Hamas di perseguire questi obiettivi di interesse nazionale in maniera non violenta, senza “armi e sangue”, nel caso in cui Israele accetti tale contesto per assicurare la pace. Le sue parole alla CNN in un’intervista del 22 novembre sono degne di nota rispetto a quanto sopra: “Siamo pronti a ricorrere ad una via pacifica, una via puramente pacifica senza armi e sangue, a patto che le richieste palestinesi siano soddisfatte”. L’entità delle “richieste palestinesi” non è stata precisata, ciò crea ambiguità sul fatto che con questa espressione intendesse riferirsi ad una accordo o ad una sorta di ri-creazione di un’entità palestinese unificata. Inoltre non è chiaro se la strada pacifica possa precedere la fine dell’occupazione o debba essere imboccata a seguito della creazione di uno stato. Da un altro punto di vista, Mashaal ha indicato che una volta che lo Stato palestinese fosse pienamente realizzato, il problema dell’accettare o meno la legittimità di Israele diventerebbe parte dell’agenda politica. Il suo vice, Mousa Abu Marzouq, durante una conversazione al Cairo, mi ha detto in una maniera simile, che l’impegno di distruggere lo stato sionista, presente nello Statuto di Hamas, è diventato “un falso problema”. Questo esponente del pensiero di Hamas, con un brillante dottorato di ricerca alla Louisiana Tech, ha ribadito l’approccio moderato di Mashaal e ha sottolineato che, come il modo di trattare la schiavitù nella Costituzione USA, lo Statuto di Hamas si è evoluto nelle circostanze di cambiamento, e le sue clausole sono state soggette a modifiche di interpretazione.

Seguendo una linea simile, Mashaal ha parlato di Hamas come “realistico” in riferimento ad un apprezzamento dell’equilibrio delle forze relative al conflitto, e ha fatto riferimento alla responsabilità di Arafat per coloro che hanno insistito sul fatto che Israele sarebbe a rischio se uno Stato palestinese fosse fondato in Cisgiordania. Il precedente leader dell’OLP aveva sottolineato che qualsiasi movimento palestinese per minacciare Israele militarmente, sarebbe stato impensabile in simili circostanze. Avrebbe sicuramente provocato una attacco devastante che avrebbe distrutto per sempre le speranze palestinesi.

A questo punto ci si pone una domanda fondamentale: qual è la vera voce di Hamas? Sembra che ci sia un intenso contrasto tra il linguaggio impetuoso di Mashaal alla manifestazione per l’anniversario a Gaza e il suo tono decisamente più calmo ed accomodante nelle interviste e in altre dichiarazioni negli ultimi anni. Una comprensione più speranzosa suggerirebbe una differenza tra l’occasione emotiva del suo discorso e i punti di vista più razionali espressi coerentemente in altre occasioni. Una simile spiegazione è l’opposto dell’ostinazione occidentale a considerare il discorso alla manifestazione come l’autentico atteggiamenti di Hamas. Al contrario, io darei maggiore rilevanza alle affermazioni moderate, se non altro a scopo conoscitivo. In un contesto diverso, a Gaza, Mashaal stava probabilmente esprimendo una visione massimalista della storia palestinese, collegata al suo senso di legittimità, mentre in situazioni più riflessive, sin dall’entrata di Hamas nelle politiche elettorali, nel 2006, la preoccupazione principale di Mashaal si è concentrata nel seguire un programma politico che considerasse una pacifica coesistenza a lungo termine con Israele: mettendo da parte le questioni di legittimità, almeno finché l’occupazione fosse definitivamente terminata e i diritti dei rifugiati palestinesi riconosciuti in conformità con il diritto internazionale.

Continua.

Fonte: http://palestinechronicle.com/hamas-mashaal-and-prospects-for-a-sustainable-peace/