Hamas soppesa le opzioni per il riconoscimento di Israele

Al Monitor.comDi recente è stata a lungo dibattuta – e ancor più smentita – la possibilità che Hamas faccia propria la soluzione dei due stati. Sembrerebbe che Hamas oscilli di fronte all’idea di riconoscere in modo più o meno esplicito Israele. Infatti se da un lato il riconoscimento di Israele aprirebbe al movimento le porte del mondo, dall’altro un simile atto potrebbe essere interpretato come un tradimento dai suo sostenitori dentro e fuori la Palestina.

Hamas sa bene che la sua legittimità deriva dall’esplicito appoggio alla lotta armata all’interno della complessa realtà palestinese. Come sa pure che nel caso in cui dovesse accettare le condizioni poste a livello internazionale, il prezzo da pagare sarebbe alto. Un prezzo politico, ma soprattutto ideologico.

Hamas ha passato anni a scrivere e a parlare della sua visione di stato, del suo concetto, del ruolo dell’identità, dei confini, della costituzione e dell’Islam all’interno di esso. Per generazioni, i membri di Hamas sono stati cresciuti con questi ideali. Ideali però rimasti chiusi nell’immaginario, retaggio culturale di un sogno nostalgico che voleva la restaurazione di un califfato islamico.

Il concetto di stato

Al giorno d’oggi, il dibattito sul concetto di stato che anima Hamas è più concreto che teorico. Le condizioni politiche dei territori palestinesi non consentono di fantasticare sulle grandi teorie portate avanti da qualche movimento islamista. Hamas ha di fronte problemi concreti che richiedono soluzioni altrettanto concrete. Lo stato palestinese figurato dai politici palestinesi, arabi e internazionali si basa sui confini delineati nel giugno 1967. Ma corrispondono alla visione politica di Hamas e al suo orientamento intellettuale?

Generazioni di islamisti sono cresciuti con l’idea dello “stato islamico”, sinonimo di Califfato islamico. Ma la situazione di Hamas è diversa. L’occupazione israeliana di tutti i territori palestinesi è un vero ostacolo politico al sogno di uno stato islamico e obbliga a ponderare scelte più pragmatiche. Ecco perché Hamas ha cominciato a rilasciare dichiarazioni sulla possibilità di costruire uno stato palestinese all’interno dei confini del 1967.

Non c’è dubbio che questa evoluzione mostri un cambiamento intellettuale e politico. Più di vent’anni fa, il fondatore di Hamas, Sheikh Ahmed Yassin, propose una lunga tregua con Israele. Ma oggi quella proposta è più realistica e viene attribuita all’attuale leader Khaled Meshaal. L’Hamas del 2013 è diverso dall’Hamas del 1993. Hamas è un attore di peso e le sue posizioni sono tenute nella massima considerazione all’interno dei circoli decisionali locali e internazionali.

Riconoscimento e impegno

La spola diplomatica dei funzionari occidentali tra Gaza, sede della leadership di Hamas, e le capitali arabe di Doha, Cairo e Amman ha un solo obiettivo: far accettare a Hamas le condizioni che gli consentirebbero di essere accettata dalla comunità internazionale. Ovvero, vogliono che Hamas faccia propria la soluzione dei due stati. Ciò vuol dire, in modo esplicito o implicito, che Hamas deve riconoscere il diritto a esistere di Israele!

Chi ha seguito l’evoluzione di Hamas sin dalla sua fondazione, 25 anni fa, sa bene che periodicamente vengono esercitate pressioni su Hamas affinché accetti le condizioni date. Ma Hamas teme di cadere nello stesso tranello in cui sono caduti altri, come per esempio Fatah, senza ricevere nulla in cambio se non la perdita del consenso popolare, come hanno dimostrato le elezioni di sette anni fa.

Alla luce di tali richieste secondo cui il movimento dovrebbe riconoscere la soluzione dei due stati e prendere un impegno politico, alcuni gruppi influenti all’interno della leadership di Hamas ritengono che il movimento sia stato trascinato oltre il suo razionale discorso politico e come questo abbia a che vedere con la realtà dei fatti, con il riconoscimento di Israele e la necessità di dialogare con lui.

Ad ogni modo, l’assedio ha gettato i territori palestinesi nella miseria. Per questo i capi alla guida di Hamas sono costretti a lanciare messaggi e segnali che non ledano i principi generali del movimento. Questi segnali però possono essere fraintesi. Ed è proprio qui che risiede il problema. Nessuno crede che i sostenitori di Hamas facciano di questi segnali un problema, ma ogni mossa effettiva verso il riconoscimento di Israele verrà scontata da Hamas a caro prezzo, un prezzo che non ritengo Hamas voglia pagare in questa fase così delicata.

All’esterno del movimento, i nemici di Hamas e i suoi oppositori potrebbero ritenere che l’assedio abbia dato i suoi frutti, seppur in ritardo, e che le recenti dichiarazioni di Hamas siano il segnale che, se l’assedio e sofferenze dei palestinesi continueranno, il movimento riconoscerà Israele in modo ufficiale. La qual cosa potrebbe alimentare il desiderio degli oppositori di Hamas di erodere ancor di più i suoi principi e la sua ideologia.

Non un conflitto esistenziale ma una disputa sui confini

Hamas è ben consapevole di tutto ciò, senza considerare che tra pochi mesi dovrà affrontare le elezioni e che i segnali di una sua apertura nei confronti della soluzione dei due stati verrà certamente usata contro di lui. Malgrado il movimento abbia proposto sul lato amministrativo un sistema diverso rispetto a prima, un cambiamento così importante nel programma politico del movimento potrebbe rivelarsi determinante per gli elettori.

E mentre Hamas viene soffocato, con qualche breccia qui e là, le pressioni per far sì che riconosca Israele non si fermano. In pratica Hamas deve decidere se accettare che Israele conservi il suo potere oppure perdere ciò che ha ottenuto in via democratica come punizione per aver rifiutato di inchinarsi alle condizioni poste dal resto del mondo.

A dire il vero, negli ultimi anni la comunità internazionale non ha modificato in maniera sostanziale il suo rapporto con i palestinesi, incluso Hamas. Ci sono stati solo alcuni ritocchi tattici e di facciata. Washington, l’Unione Europea e le Nazioni Unite non hanno solo indicato ad Hamas l’opportunità di aderire al processo di pace “accidentato e paralizzato” ma hanno insistito affinché i palestinesi riconoscano ufficialmente Israele. Questa volta, le potenze si coprono dietro “una cappa religiosa” che renderebbe il riconoscimento di Israele ancor più significativo, soprattutto dal momento che Hamas considera il conflitto con Israele come un “conflitto ideologico esistenziale e non come una disputa sui confini”.

La pressione si accompagna a quella crescente del blocco economico e finanziario, soprattutto perché i suoi artefici impediscono l’accesso di tutto ciò che è in grado di alleviare le sofferenze dei palestinesi. È evidente l’intenzione di punire i palestinesi per aver votato Hamas come pure la volontà di voler scoraggiare una sua rielezione; che è proprio quanto ci si aspetta se il processo di riconciliazione avrà esito positivo e le elezioni si svolgeranno per tempo.

Va inoltre reso noto che alcuni istituti di ricerca israeliani e occidentali hanno già previsto l’arco di tempo necessario ad Hamas per riconoscere in via ufficiale Israele. Nello statuto di Hamas si legge che «Israele è un cancro da estirpare» e che «la sua fine è una ineluttabilità coranica». Queste ed altre affermazioni rappresentano una componente fondamentale nel discorso politico di Hamas. Di conseguenza non è facile per Hamas cambiare orientamento di punto in bianco solo perché lo detta il realismo della politica e all’improvviso dire ai propri sostenitori: dovremmo riconoscere Israele, ma solo perché siamo costretti a farlo!

Adnan Abu Amer è preside della facoltà delle Arti, direttore della sezione Stampa e Informazione e lecturer in Storia della questione palestinese, sicurezza nazionale, scienze politiche e civiltà islamica alla Al Ummah University Open Education. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Storia politica presso la Demashq University. È autore di numerose monografie riguardanti la storia contemporanea della causa palestinese e del conflitto arabo-israeliano. Il suo contatto Twitter è @adnanabuamer1      

Traduzione per InfoPal a cura di Valentina Iacoponi