MEMO. Di Yvonne Ridley. Trump inserisce il leader di Hamas nella lista dei terroristi globali.
Il governo degli Stati Uniti ha etichettato il leader di Hamas Ismail Haniyah come “un terrorista globale appositamente designato” e ha imposto una serie di sanzioni contro di lui. Ciò si traduce fondamentalmente in un congelamento di qualsiasi attività che gli Stati Uniti potrebbero mettere in atto.
Ho incontrato Haniyah due volte a Gaza, quando ricopriva il ruolo di primo ministro dell’Autorità palestinese, e la possibilità di una qualche sua attività in America è ridicola. È probabilmente l’unico leader politico nel mondo contemporaneo ad avere ancora la propria casa in un campo profughi; se gode di privilegi, non ne ho vista alcuna prova.
Fondamentalmente ci troviamo di fronte all’ennesimo esempio di come l’amministrazione di Donald Trump mostri una scarsa comprensione della politica medio orientale, della gente che vi abita e delle conseguenze delle azioni americane. Al di là di tutto, Hamas non ha mai, e sottolineo mai, messo in atto alcuna forma di resistenza all’occupazione militare israeliana oltre i confini della Palestina. Pertanto, etichettare lui o altri come lui “terroristi globali” è totalmente inopportuno, da qualunque parte la si guardi.
Anche la Turchia ha espresso costernazione nei confronti della decisione degli USA di aggiungere il nome di Haniyah alla sua sempre più insignificante lista nera dei principali terroristi. Il portavoce del ministero degli Esteri, Hami Aksoy, ha inviato una dichiarazione scritta di disapprovazione, nella quale afferma che “la mossa americana ignora la realtà dei fatti” e che questa potrebbe danneggiare il processo di pace nel Medio Oriente, “compresi gli sforzi per la riconciliazione intra-palestinese”.
Senza ombra di dubbio, Haniyah è una figura fortemente rispettata in tutto il Medio Oriente, sia tra i gruppi laici che tra quelli islamici. Egli è certamente uno dei leader politici della regione ad aver preso parte a tutte le preghiere del venerdì, ed è amato e conosciuto dalla quasi totalità dei palestinesi.
Ho incontrato l’ex primo ministro nella sua abitazione dopo la devastante offensiva israeliana denominata “Piombo fuso”, tra il 2008 e il 2009. La visita è stata molto toccante per tutti noi, poiché si trattava del suo primo ritorno a casa dopo più di 100 giorni, a causa della reale minaccia di essere assassinato dal governo israeliano; lo stato sionista ha, infatti, una comprovata esperienza nel prendere di mira i leader politici di Hamas.
Haniyah ha incontrato la nostra delegazione dal convoglio Viva Palestina e ha tracciato i nostri progressi guidando decine di ambulanze britanniche in tutto il Nord Africa per raggiungere la Striscia di Gaza devastata dalla guerra. Mentre era seduto a parlare con noi, una porta si spalancò e una bambina entrò di corsa e afferrò la sua gamba in cerca di protezione, mentre osservava sospettosa il nostro gruppo. Era chiaramente stufa del fatto che le stavamo rubando del tempo prezioso per stare con suo padre, e l’affetto con cui egli reagì nei confronti di uno dei sui tredici figli, ci fece capire che Ismail Haniyah è un uomo che vive per la sua famiglia. Ho scoperto più tardi che, oltre ad avere una sua famiglia, che vive in condizioni molto modeste, egli ha anche adottato alcuni orfani palestinesi.
Nel giugno 2006 si è personalmente occupato economicamente della dodicenne Huda Ghalia, sborsando la sua paga mensile. Un video straziante mostra la bambina correre e urlare il nome del padre, appena ucciso dalle forze israeliane, lungo la spiaggia di Gaza. Cadendo in ginocchio sulla sabbia, piangendo inconsolabilmente accanto al corpo del padre, questa bambina incarna la lotta di tutti i palestinesi.
Abbiamo successivamente appreso dell’uccisione di tutta la sua famiglia, compresa la matrigna e tutti i suoi cinque fratelli. Stavano trascorrendo allegramente la giornata con un picnic in famiglia quando una raffica di proiettili israeliani ha trasformato la spiaggia in un mattatoio. L’anno scorso, con una cerimonia molto commovente, Huda si è laureata in legge presso l’Università islamica di Gaza.
Tra l’altro, quando Hamas è entrato in carica alla guida dell’Autorità Palestinese, le sanzioni imposte ai palestinesi per aver votato in modo “sbagliato” hanno avuto un solo significato: Israele è a corto di soldi. Haniyah ha ordinato che gli stipendi degli impiegati palestinesi venissero pagati prima di qualunque funzionario o ministro. Questa è stata una misura che ha rappresentato la sua integrità e senso del dovere nei confronti della sua gente.
Ho incontrato per la prima volta il primo ministro Haniyah durante la presentazione degli attivisti internazionali per la pace nel mondo a bordo di due navi della Free Gaza, che hanno rotto l’assedio dell’enclave costiera ad agosto 2008 con passaporti diplomatici palestinesi, me compreso. Era una rara occasione e aveva un sorriso raggiante mentre ci chiedeva di diventare ambasciatori del suo paese.
Comunque, immagino che la decisione degli USA di inserire il suo nome nella lista dei terroristi indurrà un altro sorriso simile, dato il paradosso derivante da tutto ciò. Haniyah rappresenta la chiave per qualunque futuro negoziato di pace e gli sciocchi e ottusi rappresentanti dell’amministrazione Trump hanno deciso di escluderlo, non essendo in grado di sedersi a discutere con lui.
Che piaccia o no, Hamas è il principale rappresentante della politica palestinese. L’ex delegato per la pace in Medio Oriente Tony Blair ha fallito nel suo ruolo, ma ha recentemente ammesso che è stato un errore lasciare Hamas fuori dai negoziati. Quando il popolo palestinese ha esercitato democraticamente il proprio diritto al voto eleggendo il Movimento di Resistenza Islamico, suscitò le ire dell’allora presidente americano George W Bush e del primo ministro Blair. La loro prima risposta fu il taglio degli aiuti e la recisione delle relazioni con la neoeletta Autorità palestinese guidata da Hamas. A proposito, gli osservatori internazionali hanno giudicato libere ed eque le elezioni che hanno portato alla sua elezione.
Ancora una volta gli Stati Uniti si sono dimostrati in disaccordo con le politiche del Medio Oriente, affermando che non potrà mai rivelarsi un imparziale mediatore di pace. La ridicola decisione di imporre sanzioni senza senso a Haniyah, l’unico leader arabo nato e cresciuto in un campo profughi, dove per giunta vive tuttora, danneggerà la Casa Bianca molto più di quanto non influisca sul leader di Hamas.
Haniyah è, inoltre, uno dei principali critici nei confronti della decisione di Trump di riconoscere Gerusalemme capitale d’Israele, altra mossa statunitense ad aver provocato unanimi condanne e derisioni in tutto il mondo arabo e musulmano. Di conseguenza, l’America è l’ultimo posto in cui Haniyah investirà il proprio denaro; è molto più probabile che venga utilizzato al servizio degli orfani e dei rifugiati di Gaza.
Sotto la sua presidenza, l’Autorità Palestinese è stata a lungo libera da forme di corruzione, che invece affliggono il regime guidato da Abbas. Hamas non può essere comprata, a differenza degli opportunisti di Fatah favoriti per questo dall’Occidente e da Israele, per i quali fungono da schermo di sicurezza.
L’aver definito Haniyah un “terrorista globale” rappresenta uno dei principali errori strategici messi in atto da Trump durante la sua presidenza, ma forse è questo il motivo per cui la decisione è stata presa. Israele è terrorizzata nel vedere che Hamas e Fatah sono sul punto di riconciliarsi e formare un vero governo nazionale palestinese, in quanto tutto ciò porterà alla luce le bugie sula fatto che sia la Palestina a porre un freno sulla pace. Lo status quo si adatto molto meglio a Israele e alla sua occupazione coloniale; dividere e governare è una vecchia tattica colonialista, e noi la conosciamo molto bene.
La cosa importante è che Ismail Haniyah e chiunque altro sia sinceramente interessato a riportare la pace in Medio Oriente ignorino semplicemente le accuse di terrorismo e continuino la resistenza contro la brutale occupazione militare di Israele fino al giorno in cui non venga garantita giustizia per i palestinesi. E quel giorno non tarderà ad arrivare.
Traduzione di Lorenzo D’Orazio