Hrw: ‘Israele fermi le demolizioni di case palestinesi’

9 marzo 20110

Al-Quds (Gerusalemme) – ReliefWeb“Lo Stato di Israele deve immediatamente porre fine alle indiscriminate demolizioni ai danni delle proprietà dei palestinesi residenti all'interno di Israele (Territori occupati nel '48, ndr)”. Lo ha dichiarato ieri, 9 marzo, Human Rights Watch (Hrw). 

Israele deve garantire pari trattamento nelle procedure di pianificazione e di costruzione ai suoi cittadini non ebrei, e deve ricorrere alle demolizioni solo come ultima soluzione, previa compensazione o fornendo agli sfrattati una sistemazione abitativa alternativa” (sic!). 

“Le autorità israeliane permettono ai cittadini ebrei di costruire, mentre procedono a demolire le abitazioni dei loro vicini palestinesi”, ha dichiarato Sarah Leah Whitson, direttore di Hrw in Medio Oriente. “Si tratta chiaramente di una discriminazione contro i cittadini israeliani non ebrei e non sussiste giustificazione alcuna per una simile disparità di trattamento tra cittadini”. 

Il 13 dicembre 2010, gli ispettori dell'Amministrazione fondiaria insieme alla polizia israeliana hanno demolito sei abitazioni palestinesi nel quartiere di Abu Tuk, a Lod, cittadina vicino a Tel Aviv. Come risultato, 67 residenti, 27 dei quali bambini, della famiglia Abu Eid sono stati sfrattati. 

Il 2 marzo 2011 la polizia israeliana è tornata nel quartiere distruggendo due prefabbricati che la famiglia precedentemente sfrattata aveva eretto. Gli sfollati avevano ripiegato dai vicini o in tende. Le autorità israeliane sostengono che queste abitazioni non disponevano delle licenze edilizie, ma, da parte loro, si sono sempre rifiutati di rilasciare questi permessi in quanto si tratta di area “agricola” e non residenziale”. E Israele non intende ri-classificarla come residenziale, almeno nei confronti dei residenti palestinesi. 

Di recente, infatti, le autorità israeliane hanno costruito proprio sulla terra adiacente al sito delle demolizioni; qui si sta pianificando di sviluppare abitazioni destinate al personale di sicurezza israeliano. Un altro piano è stato approvato per l'apertura di un collegio religioso ebraico in un sito vicino. 

Sulla base dei dati governativi israeliani, il 30% dei 70 mila residenti di Lod sono palestinesi e, sebbene non siano disponibili altri dati ufficiali, stando alle statistiche emerse dal progetto “Shatil” di un'Ong israeliana, oltre il 70% delle case palestinesi di Lod e della vicina Ramle non sono riconosciute “legalmente”. Centinaia di abitazioni a Lod sono a rischio immediato di demolizione e gli ordini sono stati già consegnati, in pratica, si tratta esclusivamente di quartieri palestinesi, ancora secondo “Shatil”.

Inoltre, nonostante circa 1.600 unità abitative a Lod siano attualmente classificate come “legali”, esse hanno comunque ricevuto ordini di demolizione. Anche in questo caso per mancanza di permessi edilizi, secondo fonti di governo. I residenti palestinesi hanno confermato tutti di aver incontrato ad oltranza il rifiuto di Israele a concedere tali permessi, e che Israele sta comunque procedendo a progetti di costruzione nelle aree demolite con un campus di sette ettari dove sorgerà un collegio religioso ebraico. 

Se da un alto le autorità israeliane sostengono che le abitazioni palestinesi non dispongono dei permessi necessari, la questione ritorna alle stese autorità responsabili di rilasciare la documentazione. A Hrw non risulta che gli ufficiali israeliani abbiano buoni motivi per sottoporre i residenti palestinesi ad un circolo impossibile di permessi o, in generale, a riconoscere loro accesso alle aree residenziali. 

Intorno alle 8 del mattino, circa 500 poliziotti sono giunti nel quartiere di Abu Tuk. Il 13 dicembre stava piovendo quando i residenti palestinesi furono sfrattati e le loro abitazioni furono demolite. L'agenzia d'informazione palestinese “Ma'an” ha raccontato la storia di un poliziotto che aveva assaltato “con arma da fuoco” un'abitazione. Due ragazzi, fratello e sorella di 11 e 12 anni, erano stati minacciati quando il poliziotto aveva urlato loro: “Non muovetevi”, per poi costringerli fuori dalla loro casa. Altri residenti avevano raccontato a Hrw che i poliziotti non avevano nemmeno dato ai residenti il tempo di portare via i beni e gli effetti personali all'interno delle abitazioni demolite. Dopo esser riusciti a mettere in salvo appena qualche bene raccolto dalle macerie, le famiglie avevano allestito cinque tende ricevute in dono. 

“Campo profughi Abu Eid”, si legge sulla tenda della famiglia Abu Eid. Circa 30 membri della famiglia vivono in cinque tende in mezzo alle rovine della loro casa. Le donne sono andate a stare dai vicini. Dopo le prime demolizioni, queste famiglie avevano deciso di erigere due piccole abitazioni prefabbricate, ma il 2 marzo, circa 200 poliziotti israeliani hanno distrutto anche queste e sono sorti scontri con i residenti.

Alcuni sono rimasti feriti: Kawser Abu Eid, 39 enne, madre di 5 figli è una dei residenti palestinesi coinvolti in questi episodi. Anche la sua abitazione è stata abbattuta. La donna ha raccontato a Hrw che, al momento della demolizione avvenuta a marzo, tre dei suoi figli erano a casa. Il figlio di 12 anni è stato ferito alla gamba ed è stato condotto in ospedale, mentre, stando al racconto di testimoni oculari, un'altra figlia ha riportato la frattura del braccio per aver tentato di proteggere il ragazzo. Un portavoce della polizia ha riferito a Hrw che nessun poliziotto è stato ferito.  

La polizia aveva anche arrestato quattro membri della famiglia Abu Eid insieme ad un altro residente per resistenza allo sfratto. Il giorno dopo sono stati rilasciati tutti, ma sono stati sottoposti agli arresti domiciliari. Gruppi della società civile israeliana hanno confidato a Hrw di non riuscire a spiegarsi cosa intendano le autorità israeliane quando affermano “arresti domiciliari” nei confronti degli sfrattati. 

I residenti hanno anche fatto sapere che la famiglia lesa si è rivolta a al gen. Ilan Harari per chiedere spiegazioni sugli episodi di dicembre. L'ufficiale israeliano, fino a febbraio scorso a capo del comune di Lod, aveva risposto loro di aver scritto al ministro del Welfare, a quello per le abitazioni e all'amministrazione fondiaria di Israele chiedendo assistenza per queste famiglie. Hrw si avvale del dubbio che un'azione in questo senso sia stata promossa davvero. Ad oggi i residenti non hanno ricevuto assistenza. “I miei bambini non hanno una casa, in queste condizioni non possono studiare”, si è sfogata Kawser Abu Eid. “Da mesi la dirigenza municipale si era impegnata ad assisterci, e non si è mosso nulla”. 

Intanto, nelle aree demolite, le autorità per la pianificazione di Israele hanno approvato progetti residenziali e per l'istruzione rivolti esclusivamente ai cittadini ebrei. Nel 2008 nel quartiere ebraico confinante di Ganei Aviv, sono partiti lavori edilizi su terra agricola convertendola così in area residenziale. Ad ottobre 2010 il governo israeliano ha chiesto alle agenzie di governo di accelerare  il piano edilizio nei prossimi sei mesi affinché l'area veda a breve la realizzazione di abitazioni destinate all'esercito e ad altro personale della sicurezza. 

Proprio affianco alle abitazioni palestinesi demolite, le autorità israeliane hanno approvato un piano per la costruzione di una scuola religiosa (Yeshiva) che si estenderà su sette ettari di terreno. Lo si può constatare pure sul sito web del comune di Lod “portare migliaia di studenti e famiglie a Lod”. Harari si è detto certo che questo collegio porterà “residenti di alto livello”.  

Il 7 ottobre il ministro dell'Interno, Eli Yishai aveva riferito alla stampa locale: “Quello che conta è che si arriverà a portare a Lod altro 50 mila ebrei. Ecco perché manterremo la città, personalmente non vedo altre soluzioni“. 

Intanto, il progetto per 14 milioni di dollari sarà destinato all'area precedentemente definita “spazio pubblico aperto”. Per questo progetto, 'approvazione nel comune di Lod è avvenuta all'unanimità. 

“Quando si affronta la questione abitativa a Lod, sembra che gli ufficiali israeliani applichino una regola nei confronti dei cittadini palestinesi ed un'altra per gli ebrei”, ha affermato Whitson. “Stiamo parlando di una discriminazione che è stata respinta in tutto il mondo”. 

Membri della famiglia Abu Eid hanno raccontato a Hrw che vivono a Lod dal 1950, dopo un primo sfratto, sempre da parte delle autorità israeliane, dalle loro case originarie nella regione della Valle di Hula, a nord di Israele. Poi la famiglia aveva preso in affitto dallo Stato di Israele della terra a Lod. Il governo controlla il 93% della terra e, nella maggioranza dei casi, non vende, ma affitta lotti per periodi di 49 o 98 anni. Essendo classificata come terra agricola e non residenziale, l'intera area in questione è stata sottoposta a restrizioni di costruzione e di densità delle abitazioni. Hrw ha controllato, e ha trovato che anche i quartieri ebraici di Lod, in origine, erano area agricola; qui però, le autorità israeliane hanno proceduto ad una conversione in aree residenziali. 

Le autorità per la pianificazione israeliane hanno negato ai residenti palestinesi i permessi di costruire e, come conseguenza, le loro abitazioni sono ricadute nello status “dell'illegalità”. 

Il primo ordine di sfratto emesso dall'amministrazione fondiaria israeliana risale al 2002. Nel 2010 la famiglia ha perso la lunga lotta legale, quando una pretura di Ramla ne aveva respinto l'appello contro gli ordini di demolizione, sulla base della loro costruzione su terra agricola. 

Ma insieme alla famiglia Abu Eid, fino a fino 2010, altre 45 famiglie palestinesi hanno ricevuto ordini di demolizione. Ad ottobre le autorità israeliane hanno proceduto all'abbattimento di due case di palestinesi nella stesso quartiere. 

La legge israeliana dispone che i proprietari delle case demolite debbano pagare alla municipalità il costo della demolizione oppure saranno perseguiti penalmente. E' prevista anche l'incarcerazione. Di fronte a questo, alcune famiglie di Lod sono state costrette a demolire da sé le proprie case. 

Ad ottobre 2010, il governo ha approvato un paino per “l'assistenza d'emergenza” diretto a “rafforzare e sviluppare le misure contro il crimine” a Lod. 1/4 dei fondi per questo piano, vale a dire 11 milioni di dollari saranno così destinati all'istituzione di “un'autorità per gli sfratti” competente, nei prossimi due anni, “dell'applicazione delle disposizioni previste per i casi di costruzioni illegali”. E' prevista anche la possibilità di un aumento del budget di circa 3 milioni di dollari. 

Da un'altro lato, la stessa delibera prevede un budget di 850 mila dollari per progetti che si propongono di operare un “progresso” presso la comunità palestinese in città, pur non prevedendo alcuna costruzione edilizia. Il piano prevede la costruzione di unità abitative e la conversione di aree agricole in residenziali nel quartiere “Pardes Snir”, a Lod, ma contiene la raccomandazione che, prima di tutto, molte abitazioni palestinesi debbano essere abbattute. 

In tutto lo Stato di Israele, decine di migliaia di case palestinesi non dispongono del permesso edilizio e, pertanto, sono a rischio di demolizione. Solo nel 2009, le autorità israeliane hanno demolito 165 abitazioni palestinesi in tutto il Paese. 

Hwr ha scoperto che le procedure discriminanti vigono anche presso la comunità palestinese non riconosciuta (da Israele) di Dahmash, vicino a Lod.

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