I cristiani condannano le restrizioni israeliane ai siti sacri

palestinian-christians-at-ar-raqqah-al-qusayr-church-in-ramllah-Feb-2015-2Memo. «Anziché passare la settimana di Pasqua pregando, combattiamo i soldati israeliani», dice l’ex ministra palestinese.
Una delegazione di cristiani palestinesi in visita in Sudafrica si è lamentata delle discriminazioni israeliane che limitano l’accesso ai siti sacri di Gerusalemme durante le ricorrenze cristiane.
«Dal 2005 Israele ci nega l’accesso alla Città Santa di Gerusalemme per praticare tradizioni vecchie di 2000 anni», ha detto l’ex ministra palestinese Hind Khoury in un’assemblea a Johannesburg la scorsa settimana.
«Nella settimana di Pasqua Israele organizza posti di blocco ogni pochi metri», riferisce.
Israele segue la politica di non lasciar ritornare i palestinesi alle proprie città se vivono all’estero da molto tempo.
«Sono stata ambasciatrice in Francia, e dopo quattro anni mi hanno detto che io non vivo più qui, anche se qui ci sono mio marito, la mia casa e i miei figli», ci dice.

Yusef Daher, segretario esecutivo del Centro interconfessionale di Gerusalemme, concorda con Khoury.
«Mio fratello è andato con le sue tre figlie e sua moglie negli Stati Uniti, con un permesso lavorativo triennale. Ora non può più tornare a vivere a Gerusalemme, dove sua moglie e le sue figlie sono nate», racconta.
Daher ci dice che secondo la legge israeliana la sua famiglia può accedere a Gerusalemme solo come cittadini americani, con un visto turistico di tre mesi, mentre Israele può far accedere migliaia di ebrei da diverse parti del mondo dando loro la cittadinanza.
Egli ci dice inoltre che, nonostante vi siano decine di migliaia di cristiani palestinesi in Palestina, Israele garantisce solo pochi permessi di accesso ai siti sacri durante la Pasqua.

«Durante le ricorrenze ebraiche Israele chiude completamente la Cisgiordania e apre Gerusalemme agli ebrei israeliani che entrano a piedi, a Gerusalemme est, senza trovare un solo ostacolo», egli aggiunge.
Un pastore cristiano americano di base presso la Chiesa evangelica luterana a Gerusalemme ha detto alla stessa assemblea che il conflitto israelo-palestinese non riguarda la religione bensì il territorio e le risorse.
«E’ un conflitto sulla terra, un conflitto politico sulle risorse e sui principi di autodeterminazione e decolonizzazione» ha detto il reverendo Robert O. Smith, che occupa l’incarico di co-moderatore al Forum ecumenico israelo-palestinese del Consiglio mondiale confessionale.

Traduzione di Stefano Di Felice